Il minuto prima della crisi

18 / 7 / 2011

1) Senza un’opposizione che si batta con determinazione sul terreno parlamentare e sociale la manovra massacrerà operai, precari e buona parte dei ceti medi.

2) Senza un’opposizione che faccia il suo mestiere, perfino in una logica moderatamente riformista, dilagherà un’antipolitica ben al di là della critica della rappresentanza e della sfiducia nel parlamentarismo.

3) Senza un’opposizione (che ormai è maggioranza effettiva in termini referendari e virtuale in termini elettorali) la manovra farà flop sui mercati davanti all’assalto speculativo e aggraverà la crisi italiana dal punto di vista debitorio e produttivo su scala ancor maggiore di quella europea.


Il primo punto non necessita neppure di una spiegazione. Sta sotto gli occhi di tutti e crediamo che ben presto gli effetti si manifesteranno in qualcosa di più di una generica e mite indignazione, specialmente se il processo di dissesto sarà cumulativo e passerà in prima battuta e in misura ancor più cruenta per un’inflazione efferata sui generi di prima necessità, i trasporti e i presidi sanitari. Ricordiamoci allora che la manovra è passata in tempi record grazie alla rinuncia a una battaglia di emendamenti e rammentiamolo pure come segno di malaugurio. Nell’estate 2008 Tremonti fece approvare senza discussione dal CdM in 9 minuti e mezzo una finanziaria prodigiosa, che si proponeva di arrivare al pareggio di bilancio entro il 2011. L’isola-che-non-c’è serve sempre a giustificare la macelleria sociale. Chiacchiere e distintivo. Nel nostro caso quello delle Fiamme Gialle.


Sul secondo punto facciamoci quattro risate ma poi mettiamoci in guardia. Sull’onda delle rivelazioni di Spidertruman saltano fuori tutti gli obbrobri della casta, limitatamente alle due assemblee elettive (a livello regionale e locale c’è anche di peggio): dai privilegi meschini e onnipervasivi dei già ben foraggiati e vitaliziati parlamentari all’avido brulicare dei loro comprimari. Pagare un barbiere di Montecitorio 11.000 € al mese è davvero scandaloso, quando tanti precari estirperebbero gratis baffi, barba e capelli a La Russa, Paniz, Formigoni d’antan. Come documentano Stella e Rizzo, gli indignados Rcs, in rapporto alla popolazione ogni americano spende per il suo Parlamento 5,10 euro l'anno, ogni italiano 27,40: cinque volte e mezzo di più. Potrebbe risultarne uno tsunami antipolitico, che dirotterebbe su obbiettivi sacrosanti ma secondari la protesta di massa, degradata a collera risentita, invidia per gli effetti senza aggredirne le cause. Ci sono i preti dell’indignazione come i sacerdoti delle istituzioni: due brutte genìe entrambe. Un antiparlamentarismo di destra senza critica radicale della rappresentanza (anzi con delega a mestatori e demagoghi), uno sfogare la lotta di classe in giustizialismo manettaro, come se servisse a molto arrestare qualche magistrato corrotto e qualche generale fellone. Non che ci facciano pena, ma abbiamo già constatato nel 1992 quanto poco cambi e come gli agitatori di cappi siano diventati zelanti partecipi di nuova corruzione. I famosi costi della politica sono oggetto legittimo di indignazione, ma non devono oscurare i costi sociali ben maggiori della nuova disciplina contrattuale adottata con entusiasmo da Marcegaglia, Bonanni e Camusso. Prioritario è inceppare e distruggere il sistema del precariato, non quello delle province. Perfino una ragionevole politica socialdemocratica (che però aggiornasse il keynesismo ai meccanismi postfordisti) funzionerebbe meglio del patetico neoliberismo del centro-sinistra italiano, che marcia verso il luminoso orizzonte di privatizzazioni centrali e municipali senza capire che sta segando il ramo dei successi referendari ed elettorali su cui immeritatamente si è appollaiato. A quando una versione dem del nucleare e delle Grandi Opere? Veronesi resta per ora isolato sulla prima opzione (vigliaccamente abbandonato dai dirigenti Pd che fino a ieri lo fiancheggiavano), ma la Tav segna la strada della seconda, con apprezzabili effetti collaterali sull’espansione in Piemonte delle ‘ndrine e sulla fabbricazione industriale dei gas CS e del filo spinato.


Il terzo è il punto qualificante, anche a breve periodo, se si considera l’intreccio fra sommovimenti governativi e catastrofe economica incombente. I mercati testimoniano già il lunedì 18 il fallimento della manovra varata alla fine della settimana precedente. Lo spread Btp-Bund va 325 punti base, mentre la Borsa milanese oscilla fra perdite dell’1 ,e del 2%, comunque peggio di tutte le consorelle europee. I titoli bancari assumono un andamento rovinoso. Il messaggio è: più manovra, tagli anticipati rispetto all’opportunistico rinvio del grosso al 2012-2013. Mentre Giuliano Ferrara difende i deputati corrotti e il libertinismo creativo blaterando contro i pericoli di una dittatura della virtù, i mercati impongono la dittatura della finanza mediata dalla virtù di un governo emergenziale, che butti quattro stracci giudiziari al popolo e dismetta ogni residuo Stato sociale. Ci faranno pagare Berlusconi con vere lacrime e sangue. Ci butteranno in pasto perfino Tremonti (saranno loro a raccogliere la sconsiderata campagna pidiellina secondo il metodo Boffo) per imporre il triumvirato Napolitano-Draghi-Monti, con o senza elezioni anticipate. Magari con la resurrezione della Dc al centro. Papa Draghi e Papa Ratzinger al posto del povero on. Papa.

Ma è chiaro che così non se ne esce. Si va incontro a un aggravamento della crisi, perché senza ripresa produttiva e sviluppo capitalistico il deficit sovrano non crollerà mai e i ricatti speculativi avranno sempre la meglio. Riuscirà ancora il capitalismo a recuperare una dimensione industriale dello sviluppo e a conciliarsi con la democrazia? Non per lodare i suoi oscuri successi nel passato, ma per farci una domanda sull’immediato avvenire. Sul prossimo minuto. E nello specifico italiano, dove il capitalismo resta ben lontano dalla crescita cinese e dagli standard democratici europei. Non interroghiamoci, al momento, su quanto un meccanismo rappresentativo e una logica sviluppista abbiano ancora un futuro in generale o se, al contrario, l’Italia non costituisca un laboratorio politico della crisi piuttosto che un disgraziato esempio limite.

Stando al qui e ora, osserviamo che, senza un’inversione decisa della logica delle compatibilità (cioè della subordinazione al finanzcapitalismo globale), senza l’abbandono del messianico pareggio del bilancio entro il 2014 l’Italia andrà a picco, con la magra consolazione di trascinarsi sotto anche i buffoni che hanno guidato diritto il Titanic contro l’iceberg. Guardiamoli bene in faccia: il nano di Arcore che ha sempre negato la crisi, il nano di Venezia che se l’era lasciata alle spalle già nell’estate 2008, l’abbronzato del Pirellone che commenta compassionevole da Porto Cervo, il pallido Tremonti, mago di volta in volta della finanza creativa e del neo-colbertismo, dei condoni per i ricchi e dei sacrifici per i poveri, predicatore di austerità e affittuario gratuito e inconsapevole di un appartamento da 8500 € al mese. Guardiamoli in faccia, sputiamo pure, ma che ce ne viene? Chi è che oggi vuole anticipare e rafforzare i tagli, correre più veloci verso l’iceberg facendo suonare l’inno nazionale all’orchestrina di bordo? Non saranno, per caso e sotto l’illuminata guida del Presidente più amato dagli italiani, proprio i leader del centro e della sinistra, i veri “responsabili”, non quegli straccioni dulcamara e mafiosi di F.S. Romano e Scilipoti?


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