Moderno e Postmoderno: un cambiamento di paradigma nella lotta contro il Capitale

Da Nietzsche a Lyotard, le basi della critica all'idea di sviluppo illimitato e lineare del capitalismo.

25 / 7 / 2023

La modernità, fin dalla sua nascita, si basa su una concezione di uno sviluppo illimitato del progresso, della scienza, della tecnica. Una concezione positivista della storia, che procede senza intoppi per perseguire il “bene dell’umanità”. Ciò trae nella sua origine nell’idea cartesiana di separazione tra soggetto e oggetto, tra natura ed essere umano e dà l’avvio a una concezione meccanicistica e deterministica della storia, lineare, permanente, priva di contraddizioni. Così come nei presupposti metodologici della scienza di Newton, Bacone, tanto per citare alcuni, che danno avvio alla “grande narrazione” a fondamento della modernità. Un pensiero profondamente segnato dalla teologia cristiana: questa separazione fa del soggetto-uomo un essere onnipotente, fatto a immagine e somiglianza di Dio, che può manipolare la natura a suo piacimento per perseguire il “bene” universale.

Questo insieme di concetti si accompagna alla nascita del capitalismo come modo di produzione, allo sfruttamento dell’uomo sull’ uomo e dell’uomo sulla natura. Il soggetto è l’uomo bianco, eurocentrico, patriarcale, la cui volontà di potenza si estende - con la violenza e con la forza - oltre i limiti ed i confini del cosiddetto “occidente”: nelle conquiste coloniali, lo sterminio e sottomissione delle popolazioni inferiori, il razzismo, sempre in nome dello sviluppo illimitato e del progresso “marchiato con il sangue e con il fuoco”, come diceva Marx rispetto all’accumulazione originaria.

Questa visione del mondo si va affermando attraverso l’Illuminismo prima e poi con il Positivismo lungo tutto l‘800. C’è da dire che questa mostra già le sue prime criticità nella critica romantica, pensiamo innanzitutto a Goethe. Ma pensiamo soprattutto a Friedrich Nietzsche, nella seconda metà dell‘800: una critica distruttiva e decostruttiva, genealogica, che svela come dietro tutti questi processi, fondamenti metodologici della scienza, della storia, della morale si nasconda qualcosa d’altro, la “volontà di potenza”, di dominio, di sopraffazione.

Non vi è nessuna linearità nel processo storico, nessun meccanicismo, nessun fine predeterminato, nessuna “teleologia”. Per questo Nietzsche viene annoverato tra i “maestri del sospetto”, come Marx e Freud: cosa si nasconde dietro alla forma merce e all’accumulazione di denaro, se non lo sfruttamento e il dominio sul lavoro altrui; cosa dietro gli istinti, le passioni, i desideri, come nell’inconscio di Freud? La critica nietzschiana - fatte le debite differenze con il marxismo - all’idea di progresso indefinito troverà una tragica conferma nello scoppio delle due guerre mondiali e metterà in luce gli aspetti oscuri e nascosti della società borghese-capitalista, ammantata di mistificazioni, quali stato di diritto, democrazia, pace, diritti universali. Ed è qui che avviene il crollo della Ragione illuministica, come messo in luce dalla Scuola di Francoforte.

Su questo filo di ragionamento, non meccanico e pieno di differenze, negli anni ’70 si svilupparono due movimenti in Francia, lo strutturalismo e il post-strutturalismo. Lo strutturalismo afferma che non è tanto il “soggetto” a determinare la storia, bensì la “struttura”, l’ordine sistemico in cui ognuno è collocato ed è negata, di fatto, la libertà di scelta. Ognuno si trova gettato in esso, al di là della propria consapevolezza e le dinamiche storiche non sono tanto il frutto di decisioni soggettive, bensì del movimento generale, strutturale, oggettivo del sistema.

Il post-strutturalismo ha inizio con un testo di Jean-François Lyotard pubblicato nel 1979, La condizione post moderna, e getta le basi di una cesura netta tra moderno e post-moderno, un salto di paradigma. Questo salto radicale, che rompe con la visione deterministica e lineare della storia, esercita una vasta influenza su vari autori, da Foucault a Deleuze ad altri autori del marxismo eterodosso. L’interrogativo centrale risiede nel modo in cui il capitalismo post-moderno espanda lo sfruttamento oltre le mura della fabbrica, fino allo sfruttamento della vita e del vivente nel suo complesso. Razzismo, neocolonialismo, questione di genere iniziano ad assumere la forma di contraddizioni che si intrecciano e permettono di ripensare la lotta di classe in forme nuove.

Ciò consente di gettare uno sguardo nuovo, al limite della modernità, al suo confine estremo. Come è possibile uno sviluppo illimitato delle forze produttive in un mondo limitato e dalle risorse finite? Una contraddizione irrisolvibile dal punto di vista dello sviluppo capitalistico e sulla quale possono nascere speranze ed immaginare un “fuori” oltre il suo ordine sistemico. Certo, il capitalismo ha le sue armi: lo sviluppo della tecnologia, delle biotecnologie, dell’informatica, la trasformazione dell’essere umano in macchina obbediente. La tecnologia crea di fatto un nuovo tipo di umanità: un ibrido uomo-macchina, sottoposto a un dominio totale, quasi un soggetto post-umano. È possibile fermare questo processo? È possibile ricostruire un nuovo rapporto tra esseri umani e tra questi e la natura? In molti autori del “pensiero debole” sembra che questo non sia possibile e il dominio totale della tecnica, sulla scia del pensiero heideggeriano, non lascia spazio ad alcuna alternativa.

Dobbiamo combattere questa visione del mondo, dal punto di vista rivoluzionario e di classe: la tecnica, il sapere sociale sono frutto della cooperazione umana, del lavoro vivo di cui il capitalismo predatorio e di rapina si appropria continuamente. È possibile un uso alternativo della scienza e della tecnologia, che ristabilisca un rapporto armonico con la natura, la valorizzazione del valore d’uso contro merce-denaro, la liberazione dal tempo di lavoro sfruttato? È possibile “espropriare gli espropriatori”, come hanno sempre ribadito i grandi rivoluzionari di ogni epoca? Questa la scommessa dei movimenti del presente, questo il grande sogno del futuro!