Odio contro i poveri e necessità di organizzazione

6 / 8 / 2023

Spesso negli ultimi anni si è parlato di “guerra ai poveri”: si pensi all’austerity, ai diktat della governance finanziaria, all’arroganza e la violenza con cui le élite capitaliste continuano ad accaparrarsi risorse ormai al limite della loro riproducibilità. Eppure, quello che sta facendo il governo guidato da Giorgia Meloni in Italia ha qualcosa di ancora più tremendo, perché sembra la piena affermazione politica e istituzionale della controrivoluzione neoliberale iniziata ormai alcuni decenni fa.

Non solo la fine del reddito di cittadinanza, che dal 1° gennaio 2024 cesserà anche formalmente di esistere, ma l’intera narrazione politica del governo e delle sue propaggini è intrisa di un odio nei confronti dei poveri e della povertà che non trova eguali nel nostro Paese. Tra gli episodi più sconcertanti delle ultime settimane c’è la negazione del contro-congresso di Cernobbio organizzato da Sbilanciamoci e che si tiene in contemporanea con il noto Forum Ambrosetti, il congresso dei padroni che rappresenta dalla metà degli anni Settanta una piccola Davos italiana.

Si tratta di un episodio che deve farci riflettere sulla questione della modernità e della post-modernità, che già avevo affrontato in un recente articolo. Una questione che ripropone quei cortocircuiti tra il “vecchio” ed il “nuovo” riproposta da una visione non lineare della storia. Il governo di Georgia Meloni ne è la dimostrazione lampante: abolizione del reddito di cittadinanza, rifiuto di un salario minimo con argomenti dl tutto pretestuosi, ossia il fatto che questo andrebbe a danno dei lavoratori, che vanno affidati alla contrattazione collettiva. Argomento assurdo, se si pensa all’ enorme massa di lavoro precario, sottopagato, o addirittura non pagato su cui si regge l’economia nazionale: chi ha un contratto di lavoro che danno potrebbe avere se si stabiliscono dei termini minimi salariali al di sotto dei quali non si può andare, come avviene in tutta Europa?

Questo è solo uno dei tanti esempi dell’odio contro la povertà, che caratterizza questo governo di estrema destra, il suo totale asservimento alla logica dei padroni. Il ragionamento si spinge lontano, fino alle origini dello Stato moderno. Sappiamo bene come sia Thomas Hobbes uno dei fautori del concetto di sovranità assoluta: ogni individuo, per natura, è portato a perseguire i suoi interessi individuali, in competizione con tutti gli altri e per evitare la guerra sociale di tutti contro tutti e garantire la pace sociale ciascuno deve rinunciare alla propria sovranità in nome del” sovrano assoluto”, alla cui volontà ognuno deve piegarsi per il bene comune. Non riecheggiano questi concetti forse quelli di Margareth Thatcher quando afferma “La società non esiste, esistono solo gli individui”? Cortocircuiti!

In realtà, quando Hobbes getta le fondamenta dello stato moderno, siamo già nell’epoca della genesi del capitalismo industriale in Inghilterra, le enclosures, lo spossessamento dei contadini delle terre comuni, la trasformazione di essi in una massa di poveri costretti a migrare nelle città industriali, a trasformarsi in proletariato, sottoposto a un duro disciplinamento nelle workhouses e ad uno sfruttamento selvaggio nelle prime fabbriche. Solo le lotte operaie e proletarie riuscirono a conquistare diritti, sulla riduzione della giornata lavorativa, sul salario. Solo la lotta di classe contro classe è riuscita a costituire forme collettive di emancipazione ai dispositivi politici e sociali di assoggettamento- E così lungo i secoli, passando per la rivoluzione francese e la costruzione dello “stato di diritto”, al quale Marx non risparmiò la sua critica corrosiva, “eguaglianza formale, diseguaglianza reale”, nella Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico.

Sta di fatto che questi argomenti sono attuali perché emergono, seppure in forme nuove, anche oggi: come all’origine dello stato moderno, la paura delle moltitudini dei “poveri”, potenziale o reale che sia, permane nelle classi dominanti. E i fatti lo dimostrano, nell’aumento della repressione, nella guerra globale permanente, nella priorità che ha il profitto nei confronti della vita. Per questa ragione è necessario che la forza potenziale dei movimenti moltitudinari deve trasformarsi in organizzazione di classe e darsi una progettualità comune per il “comune”.