Parma - Un approfondimento sull'energia nucleare

A cura dell'Ing.Marcello Acquarone, ricercatore del Dipartimento di Fisica dell'Ateneo di Parma

15 / 6 / 2011

Come é possibile per una persona comune orientarsi rispetto al nucleare quando illustri scienziati , come Veronesi, sono favorevoli, ed altri altrettanto famosi, come Carlo Rubbia, sono contrari?

E’ possibile se si ha la pazienza di raccogliere le informazioni fondamentali, e di rifletterci per poter prendere posizione. Questo é ciò che cercheremo di fare .

Da dove si comincia?

Per capire cosa succede in un impianto di produzione di energia nucleare, quali sono i rischi, quali sono i reali costi, quali sono le conseguenze sulla dipendenza dell’ Italia dall’ estero , bisogna iniziare dall’ atomo. L’ atomo é fatto di un nucleo, e di una “buccia” esterna. Il nucleo é fatto di due tipi di particelle: i protoni, che hanno carica elettrica positiva, ed i neutroni, che non hanno carica, e servono da colla per i protoni, che altrimenti si allontanerebbero gli uni dagli altri, perché cariche elettriche uguali si respingono. Il totale dei protoni più neutroni é detto massa atomica dell’ isotopo e viene indicata assieme al nome dell’ elemento: ad esempio Carbonio 14, cesio 137 ecc.

Il numero di protoni nel nucleo determina le proprietà chimiche dell’elemento, ed é uguale al numero degli elettroni, che formano la buccia dell’ atomo ed hanno carica negativa. Due nuclei che abbiano lo stesso numero di protoni ma un diverso numero di neutroni sono detti isotopi. Essi hanno le stesse proprietà chimiche, ma i nuclei possono essere instabili, cioé avere una tendenza a liberarsi dell’ energia in eccesso o emettendola come radiazione elettromagnetica (raggi gamma, della stessa famiglia delle onde radio, dei raggi luminosi, o dei raggi X ma molto più energici) e/o sparando via le particelle “di troppo” (raggi alfa e raggi beta) : questa é la radioattività. L’ esempio forse più noto é quello del carbonio 14, che é un isotopo radioattivo del carbonio normale, ed é usato per datare oggetti antichi (come la Sindone di Torino o oggetti di interesse archeologico) . Il carbonio normale (carbonio 12) ha 6 protoni e 6 neutroni, quindi ha 12 componenti del nucleo (massa atomica 12), ed é stabile. Il carbonio 14 ha due neutroni in più, e tende a tornare allo stato stabile: nel giro di 5000 anni ogni atomo ha il 50% di probabilità di sparare via i neutroni di troppo. Questo “tempo di dimezzamento” caratterizza ogni nucleo radioattivo, e può variare da frazioni di secondo a miliardi di anni.

Per esempio, l’ isotopo 131 dello iodio usato negli esami medici alla tiroide (scintigrafia) ha un tempo di dimezzamento di 8 giorni, mentre l’ isotopo 123 ha un tempo di 8 ore.

E’ importante , per valutare il problema delle scorie radioattive , e dei danni alla salute, avere chiaro che, trascorso il tempo di dimezzamento (o vita media), la radioattività é ancora presente. Se ho 1000 atomi radioattivi con una vita media di un anno, dopo un anno ne avrò ancora 500, dopo due anni ancora 250, dopo treanni ancora 125 ecc. Insomma, perché la radioattività si riduca ad 1/10 di quella originale , devono passare più di tre tempi di dimezzamento.

Nei giornali si vedono usate unità di misura diverse per la radioattività: perché?

Le diverse unità di misura della radioattività vengono usate a seconda dell’ orientamento di chi scrive rispetto al nucleare (a pensà mal se fa mal, ma se induina!). Le unità che misurano il numero di disintagrazioni al secondo sono due: il Curie e il Bequerel, che prendono nome da due fisici. Un Curie é una quantità grandissima , pari a 37 miliardi di disintegrazioni nucleari al secondo, mentre un Bequerel é una disintegrazione al secondo. Quindi se sono disonesto e voglio spaventare, dirò che la radioattività pari a 1000 disintegrazioni al secondo é mille Bequerel, mentre se voglio rassicurare dirò che é 0.27 miliardesimi di Curie. Ancora diversa é l’ unità di misura del rischio per i viventi. Dalle disintegrazioni escono diversi tipi di radiazioni (alfa, beta,gamma) con diversa capacità di danneggiare le cellule viventi. La misura della pericolosità biologica di un certo materiale nucleare (che può contenere diversi isotopi con diversa emissione di radiazione) é una media della quantità di ciascuna radiazione pesata con la sua efficacia di danno biologico , ed é chiamata Sievert . Un’ altra unità per il danno biologico é il Rem. Un Rem é , più o meno, la dose che assorbiamo dalla radiazione naturale in un anno. La relazione tra le due unità é 1 Sievert =100 rem. Un Sievert all’anno é il minimo di dose che, statisticamente, causa malattie serie. A Fukushim, a causa della fusione del nocciolo di due reattori, la radioattività nell’ ambiente varia di giorno in giorno, raggiungendo i 170 Sievert

Come si produce energia dalla radioattività?

L’ uranio ha 92 protoni e vari isotopi. I più importanti sono Uranio 238 ed Uranio 235. Il 235 é raro (meno dell’ 1% in natura) ma é quello che serve nei reattori. Se un nucleo di U 235 é colpito da un neutrone dell’ energia adatta, si spacca in due grossi pezzi, con massa atomica simile , ad esempio Cesio 137 e Stronzio 90, più vari neutroni e frammenti più piccoli. Questi pezzi vengono sparati via dal nucleo di U 235 che esplode , e la loro energia di moto (cinetica) viene trasformata in calore per urto con quel che sta vicino, come nei freni di un’ auto l’ energia cinetica viene trasformata in calore per attrito delle pastiglie sui dischi. Se invece un neutrone colpisce U 238 e ne viene assorbito, viene prodotto il Plutonio 239 (Pu), che é a sua volta un possibile combustibile nucleare, e la materia prima per la bomba atomica.

Altro calore é generato dalle radiazioni prodotte caoticamente da quei frammenti di nucleo di Uranio 235 che sono a loro volta radioattivi . Complessivamente questo calore é l’ energia che utilizziamo. I neutroni prodotti dalla rottura (fissione) del nucleo di U 235 a loro volta possono spaccare altri nuclei , ma per farlo devono essere rallentati, altrimenti non sono efficaci. Per riuscire a raggiugere altri nuclei di U 235, questi non posssono essere troppo lontani gli uni dagli altri (cioé non diluiti al 99% nell’ Uranio 238 come in natura) quindi il combustibilei nucleare é fatto di U 238 arricchito di U 235 alla concentrazione del 3,5% circa (il valore preciso può variare a seconda del tipo di reattore). Per aumentare la concentrazione rispetto al minerale di Uranio naturale si usano procedimenti chimici realizzati negli impianti di arricchimento (del tipo di quelli con cui l’ Iran sta preoccupando il mondo, perché U 235 serve anche per fare la bomba atomica, ma in quel caso sono necessarie concentrazioni molto più elevate) . Chiariamo che un reattore perciò non può mai diventare una bomba. Il rischio non é quello. In alcuni tipi di reattori (uno anche a Fukushima) il combustibile contiene anche una certa quantità di Plutonio generato da reattori già in funzione, ed estratto dal loro combustibile.

Come é fatto un impianto nucleare?

Il combustibile nucleare, miscuglio di U 238 e U 235 ed eventualmente di Pu, é in forma di pastiglie, impilate nelle barre di combustibile, che sono tubi di Zirconio , un elemento trasparente ai neutroni . Intorno c’é il “fluido moderatore”, generalmente acqua , che deve rallentare i neutroni emessi dall’ esplosione del nucleo, in modo che abbiano l’ energia giusta per rompere altri nuclei . Infine ci sono la barre di controllo, che sono fatte di materiali che assorbono i neutroni ( di solito é Boro) in modo da poter arrestare la reazione a catena se necessario.

Il tutto é racchiuso in un pentolone di acciaio alto una decina di metri, con pareti spesse decine di centimetri (il “core” o “vessel”) a sua volta chiuso in uno scatolone di cemento armato.

Il reattore che dovremmo comprare , della ditta francese AREVA, invece delle barre di controllo usa il Boro in soluzione nell’ acqua, quindi ha delle pompe che, in caso di necessità, immettono la soluzione di Boro nel vessel. Ci sono in più anche barre di Gadolinio, altro assorbitore di neutroni. La presenza del gadolinio ha importanti ripercussioni sulla dipendenza dall’ estero dell’ Italia “nucleare”, come vedremo più avanti.

Il calore prodotto, che é l’ energia che ci serve, deve essere portato fuori dal core per produrre vapore che azionerà i generatori di energia elettrica. A questo provvedono le pompe che fanno circolare l’ acqua (il moderatore) fuori dal core. A Fukushima questa stessa acqua , vaporizzata dall’ alta temperaura del core, va alle turbine, le fa girare producendo elettricità, poi viene ricondensata come in un impianto convenzionale, e ritorna nel core. Nei reattori AREVA che dovrebbero essere installati in Italia, l’ acqua del core viene tenuta sotto pressione (153 atmosfere circa) in modo che resti liquida anche ai 300 gradi di temperatura del core, e viene mandata in una serpentina (scambiatore di calore) dove cede il suo calore all’ acqua di un circuito separato , che é quella che si vaporizza e va alle turbine. Per questo si chiamano EPR cioé European Pressurized Reactor

Per avere un’ idea della quantità di energia prodotta, il reattore di Caorso da 1000 MW elettrici produceva ogni secondo all’ incirca il calore necessario per portare la temperatura di 7 metri cubi d’ acqua (7 mila litri) da zero a 100 gradi . Siccome l’ efficienza della trasformazione da calore a elettricità non supera il 35-40% , quasi due terzi dell’ energia termica prodotta va sprecata, ed é rilasciata nell’ambiente. A Caorso si producevano circa 3000 MW termici, di cui i due terzi finivano a riscaldare l’ acqua del Po.

Come può succedere un incidente?

Contrariamente a quanto qualcuno crede, il rischio non é che vada fuori controllo la reazione a catena (quella per cui, dei frammenti di un nucleoU235 che scoppia, si salva dall’ assorbimento in media un neutrone che può a sua volta far scoppiare un altro nucleo U235). La prima cosa che si insegna nei corsi di fisca del reattore é che, al contrario, mantenere costante nel tempo una reazione a catena é cosa molto delicata, come far stare uno spillo in equilibrio sulla punta.

Il rischio nasce perché , pur interrotta la reazione a catena per un qualsiasi motivo, i frammenti radioattivi dei nuclei spezzati durante il funzionamento regolare continuano a emettere radioattività, cioé energia, che deve essere estratta dal core, altrimenti la temperatura sale in maniera incontrollata. Quel che é successo sia a Chernobil che, per cause diverse, a Fukushima é proprio che l’ impianto di circolazione del fluido dal core all’ esterno si é fermato, e quindi ll’estrazione di energia dal core si é interrotta. Se l’energia continua ad essere prodotta, ma non estratta, dal core, la temperatura interna sale. Quando arriva a 1000 gradi, lo zirconio delle barre di combustibile reagisce con l’ acqua, e si libera idrogeno gassoso, che é altamente esplosivo già a temperatura ambiente. Proprio l’ esplosione dell’idrogeno ha scoperchiato l’ edificio del reattore di Fukushima, dove l’ idrogeno era stato fatto uscire dal core e liberato nell’ edificio per evitare che il core stesso esplodesse.

La fusione delle barre di combustibile fa scaricare sul fondo del vessel un miscuglio radioattivo, di U 238, U 235 e prodotti di fissione, a temperature superiori a 1000 gradi . Ricordiamo che l’ acciaio fonde intorno ai 1500 gradi. Queste melma radioattiva continua a produrre calore perchè le reazioni nucleari continuano, anche se in maniera caotica. Se non viene raffreddata, può fondere il fondo del core, passare nel terreno e inquinare terreno e falde freatiche, eventualmente il mare. Per quanto tempo dipende dal tempo di dimezzamento dei nuclidi prodotti. Lo Stronzio 90 ha 29 anni, il Cesio 137 ha 30 anni, il Plutonio 239 ha 24mila anni. A Fukushima hanno cercato appunto di raffreddare questa melma, ma non sono riusciti ad evitare che bucasse il fondo di almeno un reattore, probabilmente di due. Attualmente sta sprofondando nel terreno con conseguenze imprevedibili.

Si sente parlare anche di reattori che usano Torio invece di Uranio.

Questa é una linea di ricerca che promette di ridurre o eliminare alcuni dei problemi dei reattori ad uranio. Dal punto di vista strettamente tecnologico é interessante, ma al momento é ancora allo stadio , appunto, di ricerca, mentre i reattori ad uranio della AREVA potremmo trovarceli n casa già nei prossimi anni. Perciò adesso dei reattori a Torio non parleremo.

Tutti gli impianti industriali hanno dei rischi che si tenta di controllare , ma comunque non si eliminano del tutto. Perché non dovremmo accettare ugualmente un certo rischio per il nucleare?

La valutazione sulla convenienza di un impianto dal punto di vista della sicurezza e dei relativi costi deve tenere in conto sia la frequenza probabile dei possibili guasti ,che la gravità delle conseguenze. Una catastrofe tipo Fukushima é un evento a bassa probabilità, ma le conseguenze sono gravissime per molti anni, e quindi avrebbero dovuto essere previste le precauzioni del caso.

Nel caso del nucleare il legame tra sicurezza e convenienza economica é strettissimo e conflittuale. Evitare un guasto molto raro statisticamente, ma dalle conseguenze devastanti , richiede dei grandi investimenti nella sicurezza, con la prospettiva che siano “inutili”, se l’ evento catastrofico ma raro non accade. Per Fukushima, ad esempio, la sicurezza avrebbe richiesto di non costruire vicino al mare, anche se esso forniva un mezzo poco costoso di raffreddare l’ acqua vaporizzata in uscita dalle turbine. Costruire lontano dal mare avrebbe richiesto di realizzare sistemi alternativi di raffreddamento, con l’ uso di acqua disponibile a costi maggiori.

Senza entrare in una analisi delle misure di sicurezza degli impianti AREVA (che comunque per i reattori destinati al Regno Unito sono stati criticati dalla commissione britannica di valutazione) basta ricordare che i circuiti di pompaggio di emergenza (quelli che a Fukushima non hanno funzionato perché distrutti dal maremoto) sono quadruplicati, con ovvi riflessi sui costi. Invece, evitare piccoli guasti che però comportano l’ arresto dell’ impianto é di immediato interesse economico per il gestore dell’ impianto, perché permette di evitare interruzioni nella vendita di energia, e quindi nel guadagno economico.

Quindi la convenienza economica del nucleare “sicuro” é discutibile?

La convenienza economica va calcolata tenendo conto di almeno cinque fattori: i costi di costruzione, i guadagni dalla vendita di energia per i 30/40 anni di funzionamento, i costi di smantellamento (“decommissioning”) , i costi dello smaltimento delle scorie e gli eventuali risarcimenti alle vittime di incidenti gravi. Ci sarebbe anche il costo del combustibile (estrazione, arricchimento ecc.) ma esso incide solo per una percentuale dell’ordine del 10% sul totale della spesa, e per semplicità lo trascuriamo. Se volessimo fare un confronto rigoroso con i costi di altre fonti di energia, dovremmo ovviamente considerarlo.

La costruzione di un reattore dura una diecina di anni.

- La centrale AREVA finlandese, ordinata nel 1996, doveva entrare in funzione nel 2009, ma la data è slittata al 2011: 15 anni. Il suo costo doveva essere di 2,5 miliardi di euro, già corretto a 3,2, ma le stime del costo finale superano i 4 miliardi: più di quattro volte il costo di una centrale a metano a ciclocombinato della stessa potenza (1600 MW elettrici )

In questo periodo la ditta costruttrice deve farsi finanziare da una banca per vari miliardi di Euro, e pagare i relativi interessi. Negli USA (scrive Nature del 23 sett.2010 pg.391) le piccole imprese nel mercato privatizzato degli USA di solito non hanno accesso al finanziamento necessario , multimiliardario in dollari. Quindi garanzie statali sul prestito sono necessarie. Dall’ esperienza passata, il tasso di non-restituzione per i prestiti arriva al 50%, lasciando a chi paga le tasse il peso di pagare una cifra tra i 18 e i 36 Miliardi di dollari per le garanzie bancarie”

Per avere interesse in un tale investimento, l’ impresa costruttrice deve perciò essere sicura che negli anni di funzionamento l’ energia prodotta sarà venduta ad un prezzo remunerativo. Nessun privato può controllare il mercato dell’ energia nel futuro garantendo questi prezzi, quindi lo deve fare lo Stato. Gli unici due reattori Areva EPR in costruzione in Europa sono in Francia e in Finlandia. Lo Stato finlandese garantisce l'acquisto per 60 anni di tutta l'energia elettrica prodotta dalla centrale: un affare senza alcun rischio per l'azienda francese!

Per di più si è impegnato a pagare (cioè, a far pagare ai contribuenti finlandesi…) non solo lo smaltimento delle scorie, il cui costo è oggi ignoto perché non si sa come realizzarlo, ma anche lo smantellamento finale della centrale, che costa più della sua costruzione.

Il migliore giudizio sulla stima dei costi di un impianto nucleare viene da una fonte non sospetta, il portavoce ufficiale della AREVA (Jacques Saulnier, citato da Time del 17 agosto 2009) “Un impianto nucleare è unico perché non lo puoi simulare al computer o montarlo e farlo funzionare in un capannone. Tu vedi come funziona soltanto dopo che lo hai costruito ed hai provato che è ciò che avevi detto che sarebbe stato”

Perché i costi di smantellamento sono importanti in un impianto nucleare?

A differenza di quello che succede con una centrale tradizionale, una centrale nucleare , ormai fuori produzione, va tenuta sotto controllo per almeno 50 anni, perché le strutture (vessel ecc.) son diventate esse stesse radioattive, con tempi di dimezzamento di decenni, e quindi bisogna aspettare che questa radioattività sia esaurita per poter smantellare il tutto. Le nostre centrali (Caorso, Trino Vercellese, Garigliano) generavano elettricità per un valore di 400 Ml euro per anno. I costi che la Sogin, gestore del decommissioning, ha richiesto allo Stato di pagarle nel 2007 erano 174,9 Ml euro ,cioè circa il 44% del valore prodotto annualmente. Ma mentre le centrali avrebbero prodotto elettricità per 40 anni al massimo, questi costi vanno pagati per 50 anni !!!

Ancora: oggi costruire la centrale nucleare per 1000MegaW elettrici con moderne tecnologie costerebbe 3 miliardi euro, ma il decommissioning costerebbe tra il doppio ed il triplo. Ad esempio, il calcolo fatto nel 2007 da una agenzia statale (Nuclear Decommissioning Agency) per il parco nucleare inglese porta ad una stima di costi di decommissioning pari al doppio del costo di costruzione dell’ intero parco nucleare inglese. (Fonte: Sbilanciamoci.info 03/03/2010). Questo fatto é ben noto anche a Tremonti che qualche settimana fa (citato da Repubblica) ha dichiarato “Gli Stati nucleari barano sul PIL perché nella parte nucleare non mettono in conto le spese di decommissioning, che nessuno peraltro conosce”. D’ altronde dal punto di vista politico questi costi oggi si possono tacere agli elettori , perché sono diluiti nel tempo e si iniziano a pagare 40 anni dopo aver deciso di fare le centrali !!!!

E i costi per gestire in sicurezza le scorie?

I costi sono tuttora ignoti. Le scorie prodotte, cioé i prodotti di fissione che si sono formati nel core durante il funzionamento, sono radioattive perché contengono l’ U238 iniziale, quella parte di U 235 non utilizzata, e i prodotti radioattivi della fissione. Il più importante é il Plutonio (Pu 239), che serve per essenzialmente per le bombe atomiche. Ha un tempo di dimezzamento di 24mila anni. I radionuclidi “utili” possono essere estratti e riutilizzati con procedimenti chimici comunque costosi e pericolosi sia per il possibile rilascio di sostanze tossiche (il Pu é un potentissimo veleno se inalato) che di radiazioni. Il resto va tenuto in sicurezza sino a che non smette di essere radioattivo: questo richiede varie migliaia di anni, e non si sa ancora come fare. Al momento ( cioé ben 50 anni dopo che si sono cominciati a costruire impianti nucleari !!!!) non esiste una soluzione soddisfacente al problema. Sono in corso studi per individuare siti geologicamente stabili su migliaia di anni, ed isolati da scambi con l’ atmosfera e con le acque, e si testano forme di immobilizzazione delle scorie e di assorbimento delle radiazioni ( vetrificazione delle scorie, annegamento in cemento armato e acciaio ecc.) . Ad oggi non esiste un sito certificato come assolutamente affidabile né un metodo di contenimento universalmente accettato, quindi i costi relativi alla gestione delle scorie non sono noti.

E i costi dei risarcimenti alle vittime di eventuali disastri?

Ovviamente é difficile quantificarli. Nel caso di Fukushima sono stati stimati in molte decine di miliardi di dollari. Per farvi fronte le imprese nucleari stipulano assicurazioni colossali...se se lo possono permettere. Negli USA vige tuttora il tetto assicurativo stimato agli inizi dell’ era nucleare, che copre danni per soli 12 miliardi di dollari per impianto. Naturalmente un disastro in uno degli impianti vicini a New York o ad altre grandi città richiederebbe indennizzi ben maggiori. Il premio assicurativo non viene aggiornata perché altrimenti i costi dei premi da pagare alle assicurazioni sarebbero tali da rendere il nucleare troppo costoso. Infatti due terzi dei 211 impianti in funzione nel mondo hanno, nel raggio di evacuazione adottato per Fukishima, cioé 30Km, piu dei 172mila abitanti di Fukushima. 21 impianti hanno più di 1milione e 6 più di 3milioni di persone. Fate un cerchio con 30 Km di raggio attorno a Caorso e giudicate voi...

Dato che siamo circondati da Paesi nucleari (Francia, Svizzera, Austria, Slovenia...) corriamo comunque dei rischi per eventuali guasti là.

Il rischio per la salute in caso di incidente cala vistosamente con la distanza dal luogo dell’ incidente. Sono stati studiati gli effetti della distanza dalla centrale di Three Miles Island (USA) che andò molto vicino a scoppiare e a fondere il nocciolo. I dati pubblicati sull’ American Journal of Health mostrano che entro 6 kmdalla centrale di Three Miles Island si è registrato un picco di malati di cancrotra il 1982 e il 1984. Nella zona vivevano circa 16mila persone, per cui in termini assoluti in quegli anni si sono registrati circa 220 casidi cancro, ovvero 66 in piùche negli anni precedenti. Tra i 6 ed i 12 Kmdalla centrale l'aumento dei casi dopo l'incidente è stato più modesto, ma dal momento che tale zona occupa un'area tre volte più estesa, l'incremento è stato maggiore in termini assoluti: 1640 casitra il 1980 e il 1985, 390 in più rispetto al valore di base pre-1979. L’ effetto della distanza è sia di diluire nell’ atmosfera le sostanze radioattive, sia di far trascorrere più tempo tra la creazione del nuclide radioattivo e il suo assorbimento dalle persone, e quindi di averne una riduzione per effetto del decadimento, almeno per i nuclidi a vita breve. Ad esempio, se lo Iodio 131 (vita media 8 giorni) trasportato dal vento impiega una settimana ad arrivare da me, la quantità che assorbirò sarà ridotta rispetto a quella assorbita da chi vive accanto al luogo del rilascio sia perché è passato un tempo di dimezzamento, sia perché c’ è stata una diluizione nell’ aria.

Il professor Veronesi ha scritto che é favorevole al nucleare perché i combustibili fossili si esauriranno entro pochi decenni, e perché col nucleare diminuirebbe la nostra dipendenza da Paesi turbolenti per l’ approvvigionamento energetico: cosa gli rispondete?

- Stando agli studi dell'AIEA Agenzia Internazionale per l'energia Atomica, l'uranio dovrebbe cominciare a scarseggiare nel 2025-35. Ma già dal 1991 non si estrae più abbastanza uranio per coprire il fabbisogno delle attuali 435 centrali sparse nel mondo. Come il petrolio l’ uranio ha raggiunto il suo“picco”(momento in cui quello che si consuma è più di ciò che si estrae): la differenza è colmata dalle scorte militari che, già nel 2003, hanno soddisfatto metà della domanda di combustibile nucleare.

Anche se non venissero costruiti nuovi reattori, la produzione di uranio sarebbe quindi insufficiente per rifornire quelli attuali. Per questo, come per il petrolio, i prezzi saliranno sempre di più: dal 2001 ad oggi il prezzo dell'uranio si è moltiplicato per 10, passando da 7 dollari alla libbra (453 grammi) a più di 75 dollari nel 2007.

Si può pensare di puntare sui reattori al plutonio, che è creato dalla trasformazione dell’ U 238 nei reattori, e che è a sua volta fissionabile. Però il Pu è ancora più pericoloso, perché è tra i materiali più tossici in assoluto e con esso è più facile costruire bombe atomiche

- L'Italia, non ha petrolio, ma non ha neppure uranio; dovrebbe importarlo dai qualcuno dei sei paesi dove si concentra l'80% della produzione: Russia, Niger, Namibia, Kazakistan, Australia, Canada. Per di più, una delle caratteristiche tecnologicamente avanzate dei reattori AREVA richiede l’ uso di grandi quantità di Gadolinio, che fa parte di un gruppo di elementi chiamati “terre rare” necessari anche a tutti gli apparecchi elettronici. Per più del 90% la commercializzazione delle terre rare è nelle mani della Cina. Qualche tempo fa, per prevalere in una disputa territoriale col Giappone, la Cina bloccò la vendita delle sue terre rare al Giappone, che in breve tempo si vide costretto a cedere alle richiesta cinesi per non rovinare le sue industrie elettroniche. Come strumento per assicurare l’ indipendenza energetica nazionale i reattori AREVA sono quindi quanto di peggio si può immaginare!!!

Ma l’ energia nucleare è comunque necessaria in attesa che le energie rinnovabili siano competitive economicamente e disponibili in grande quantità .

Questa frase contiene tre affermazioni, tutte inesatte.

L’ energia nucleare è necessaria

No !In Italia, come ormai in tutti i maggiori paesi europei, i consumi di energia elettrica crescono assaipoco: negli ultimi dieci anni (2000-2009) sono passati da 298,5 a 317,6 miliardi di kWh, con un incremento quindi del 6,4%. Nonostante il fatto che le politiche implementate per il risparmio siano state piuttosto inconsistenti, sembra chiaramente in atto una spontanea tendenza alla saturazione del mercato, saturazione che verosimilmente non è molto lontana. Per contro in Italia, assai più che negli altri paesi europei, negli ultimi dieci anni si sono costruiti –silenziosamente – moltissimi nuovi impianti tradizionali. Nel decennio 2000-2009 la potenza efficiente lorda degli impianti termoelettrici è passata da 56,4 a 78,8 MegaW, con un incremento quindi del 39,7%. A ciò si deve aggiungere l’ormai abbastanza rilevante apporto delle fonti rinnovabili (soprattuttoeolico e rifiuti). L’Italia è quindi chiaramente oggi in una situazione di overcapacity e le attuali centrali sono sufficienti per coprire il fabbisogno dei prossimi trenta-quarant’anni e probabilmente di sempre se, come assai verosimile, si sarà nel frattempo raggiunto il livello di saturazione dei consumi.

L’attuale ancora consistente livello delle importazioni non deve trarre in inganno. Hanno solo motivazioni economiche: corrisponde a vecchi contratti ancora in essere e assai convenienti, soprattutto con la Francia e con la Svizzera. D’altronde un certo livello di importazioni si può ritenere fisiologico e persino auspicabile e iniziative in materia sono già programmate e in corso di realizzazione: solo che in Italia rischiano di aggravare la già menzionata situazione di overcapacity.

Le energie rinnovabili non sono ancora competitive

Le energie rinnovabili sono già competitive economicamente se si calcolano tutti i costi “nascosti” del nucleare ( costruzione, combustibile, smantellamento, scorie, congrue assicurazioni per eventuali danni ). Tutte le proiezioni sui costi delle energie rinnovabili li danno in calo nei prossimi 10 anni, mentre i costi del nucleare sono cresciuti costantemente . C’è almeno un caso a mia conoscenza, lo stato USA del Nord Carolina dove l’ energia elettrica prodotta dalle più recenti installazioni solari (la più cara delle rinnovabili) oggi costa meno di quella degli impianti nucleari progettati e non ancora costruiti. I costi delle energie rinnovabili di oggi non vanno confrontati con quelli dell’ elettricità da impianti nucleari costruiti 30 anni fa, ma con quelli degli impianti nucleari di oggi, molto più costosi per i motivi già citati.

Le energie rinnovabili non sono disponibile in quantità sufficiente

Non é vero, e lo dimostra quanto successo in Germania, dove l’inserzione sulla rete di elettricità rinnovabileha, per legge, priorità rispetto a quella diorigine nucleare e di origine fossile. Nell’ ottobre 2008, la generazione di energia eolica è stata così elevata che parte dell’elettricità da fonti non rinnovabili ha dovuto essere venduta a prezzi “negativi” sul mercato dell'energia, perché non è stato possibile ridurre con sufficiente rapidità la produzione delle centrali nucleari e di quelle alimentate a carbone. Questa situazione si è presentata nonostante che 8 GW di capacità nucleare fossero fuori servizio per manutenzione.Da allora, i prezzi

dell’elettricità negativi, legali in Germania solo dal settembre 2008, sono diventati un fenomeno sempre più frequente sul mercato dell’energia. Nei sei mesi tra settembre 2009 e febbraio 2010, i prezzi dell’energia sono scesi in rosso per 29 giorni. I prezzi negativi hanno raggiunto livelli sbalorditivi: il 4 ottobre 2009, un produttore di energia elettrica ha dovuto pagare fino a € 1.500/MegaWh (15 cent/kWh) per liberarsi della sua elettricità.

La stessa cosa si è verificata in Spagna, dove, nelle prime ore del 24 febbraio 2010, il

gestore della rete Red Eléctrica (REE) ordinò che 800 MW di energia eolica cessassero di generare elettricità per diverse ore. Questo perché all’1.30 di notte, l’energia eolica stava fornendo 11.961 MW (il 44,5% dei 26.674 MW richiesti a quell’ora). Tuttavia, dopo un intervento della REE, la produzione dell’energia eolica fu abbassata a 10.852 MW. La generazione eolica rimase al di sotto della quantità che avrebbe potuto fornire fino alle 6.30, quando la domanda iniziò a salire.

Quindi se solo lo si vuole, le energie rinnovabili possono sostituire quantitativamente le centrali nucleari.

Inoltre la scelta nucleare è incompatibile con lo sviluppo sia della ricerca che delle applicazioni delle energie rinnovabili. I fondi per la ricerca sulle diverse fonti di energia negli anni passati sono stati finalizzati per più del 50% al nucleare, ritardando quindi lo sviluppo di tecnologie per una maggiore efficienza delle rinnovabili.

Quanto alla convivenza tra le applicazioni delle due forme di energia, il caso francese è rivelatore.

Il programma nucleare francese si è sviluppato negli anni ’70 per ottenere dai reattori il Plutonio necessario per dotare la Francia di bombe atomiche. . Con la metà degli anni ’80, era diventato evidente che EDF, la società elettrica di stato, aveva costruito impianti in eccesso (nell’ordine di 16 centrali nucleari di troppo). Anziché adeguare la pianificazione degli impianti, lo Stato smantellò la maggior parte dell’Agenzia per l’Efficienza Energetica e EDF optò per due scelte strategiche: accordi di esportazione dell’elettricità a lungo termine, e promozione su tutto il paese del riscaldamento domestico e dell'acqua elettrici. Questa strategia ha portato alla più significativa barriera allo sviluppo di efficienza energetica e sviluppo delle energie rinnovabili in Francia. Centinaia di migliaia di edifici sono stati costruiti senza camini, quindi senza un’opportunità a basso costo di passare a fonti di riscaldamento con meno sprechi . Recentemente la tendenza è addirittura aumentata e circa il 75% di tutte le nuove case francesi è dotato di riscaldamento elettrico. Vi sono casi in cui nuove reti di teleriscaldamento passano accanto a edifici riscaldati a elettricità, senza alcuna possibilità di collegamento a causa dei costi proibitivi che tali modifiche richiedono. Lo stesso vale per il gas da cucina o da riscaldamento, o per impianti di riscaldamento domestico a pannelli solari, per i quali negli edifici mancano le tubature!

Ma allora che conclusioni dobbiamo trarre sul nucleare?

Io vi ho fornito della documentazione sul problema: ciascuno ne tragga le proprie conclusioni.

Parma 24 Maggio 2011

Marcello Acquarone

Per questo testo ho usato anche materiale prodotto da Legambiente, Sbilanciamoci e da Greenpeace.