Richiedenti asilo - La vera emergenza è il diritto

Da profughi buoni a clandestini. La mappa dell’emergenza disegna un destino peggiore...per tutti

7 / 11 / 2011

Hanno inziato ad approdare sulle nostre coste proprio mentre l’altra "emergenza", quella legata agli sbarchi sulla rotta Tunisia-Lampedusa, sembrava in procinto di essere chiusa dal decreto con cui il Governo ha istituito la protezione temporanea per i migranti tunisini. Si tratta di migliaia di ragazzi e famiglie, quasi 20.000 persone che, durante il conflitto libico, hanno lasciato la terra dell’ormai defunto dittatore Gheddafi. Non per scelta. A differenza di quanto avveniva in passato infatti, erano proprio le milizie di Gheddafi a riempire le barche dirette verso l’’Europa nel tentativo di lanciare una minaccia a chi contemporaneamente bombardava la Libia.
Il dibattito pubblico e politico di quei giorni ci ha insegnato la differenza tra quei ragazzotti con il cellulare in mano e le scarpe griffate, che dal giorno seguente il decreto sarebbero dovuti essere rimpatriati senza alcuna garanzia di legge, ed invece i migranti buoni, i profughi che, legittimamente in fuga, il nostro paese si sarebbe attrezzato per accogliere, per garantire, per proteggere.

A distanza di mesi quella differenza, quella retorica capace di suddividere tra migranti economici e profughi buoni al solo scopo di colpire i primi, si sta ripercuotendo in maniera paradossalmente drammatica sul futuro dei secondi.
Non c’è da stupirsi: i diritti non sono un gioco a somma zero. Sempre quando i diritti degli uni sono giocati come sottrazione dei diritti per altri, a perdere sono tutti.

Migliaia di persone provenienti dal Ghana, dalla Somalia, dal Ciad, dal Sudan, dalla Nigeria, dal Mali, ma anche dal Pakistan e dal Bangladesh, la stragrande maggioranza delle quali non aveva intenzione, almeno a tempi brevi, di lasciare la Libia, si sono ritrovate "accolte" tra le montagne del Cadore o negli alberghi campani, nel mega CARA di Mineo o in strutture improvvisate sparse tra le provincie del Nord. Un vero e proprio circuito di "accoglienza" parallelo è istituito in barba alle norme, alle professionalità, alle competenze, violando ciò che le direttive europee impongono di garantire come un diritto a chi richiede la protezione internazionale.
La stessa fotografia scattata dal Servizio Centrale nelle ultime pagine del Dossier Caritas 2011 racconta come non vi sia alcuno standard minimo stabilito per chi è arrivato nel corso dell’emergenza Nord Africa, se non tra quelli previsti per i Cara, e come questa situazione si traduca in una disomogena modalità di attuazione del piano di accoglienza e altrettanto differenziata gamma di garanzie. Ma d’altra parte, tra un’emergenza e l’altra, vale tutto.

Nello stesso tempo anche i diritti connessi a questo status emergenziale sono profondamente segnati da una continua deroga a ciò che la legge prevede, che configura un pericoloso livellamento verso il basso delle garanzie minime previste.
Spesso le deroghe, ricordiamolo, diventano fatti permanenti.
Nel Veneto, per esempio, Regione che già dopo l’approvazione del Piano di accoglienza aveva rifiutato di assumere la direzione della sua attuazione per i reclami dei sindaci del Carroccio (con conseguente passaggio alla Prefettura di Venezia), la dismissione dei diritti dei richiedenti asilo si spinge finanche alla messa in discussione del diritto alla salute.
Con due discutibili circolari la Regione ha differenziato la situazione dei richiedenti tra chi è già in possesso del permesso per richiesta asilo, chi ha solo la ricevuta di richiesta, chi ancora è costretto ad attendere la verbalizzazione del modello C3. Secondo il Segretario Regionale per la Sanità infatti, mentre i primi avrebbero diritto alla piena parità con i cittadini italiani in merito all’assistenza sanitaria, chi è in possesso della sola ricevuta di richiesta, nonostante l’iscrizione al SNN, non potrebbe effettuare la scelta del medico di base.
Mentre chi ancora, dopo estenuanti mesi di attesa e diversi appuntamenti inconcludenti presso le Questure locali, è in attesa di formalizzare la domanda d’asilo dovrebbe essere "trattato" come uno straniero temporaneamente presente (STP). A nulla sembrano servire le disposizioni contenute nella Direttiva Accoglienza (2003/09/CE) che precisano come "gli stati membri" debbano provvedere "entro tre giorni dalla presentazione della domanda di asilo all’autorità competente" affinché "ai richiedenti asilo sia rilasciato un documento nominativo che certifichi lo status di richiedente asilo o che attesti che il richiedente asilo è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato".

Va precisato che, fermo restando questo obbligo, da far rispettare con intransigenza, il decreto procedure, all’art 26, individua la presentazione della domanda d’asilo non tanto nella sua successiva verbalizzazione, ma nel momento in cui viene manifestata la volontà di richiedere la protezione dall’interessato.
Ma senza andare troppo in là, sarebbero sufficiente l’articolo 34 del Testo unico e la circolare n.5 del 2000 del ministero della Sanità per fare chiarezza: "hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani...gli stranieri regolarmente soggiornanti o che abbiano chiesto il rinnovo per richiesta di asilo" (così l’art 34); va garantita “la tutela del periodo che va dalla richiesta all’emanazione del provvedimento, incluso il periodo dell’eventuale ricorso contro il provvedimento di diniego del rilascio del permesso di soggiorno, e viene documentata mediante esibizione della ricevuta di presentazione dell’istanza alle autorità di polizia”" (così la circolare

La prassi seguita in Veneto (non in tutti i distretti) si spinge però oltre, non garantendo la possibilità di scegliere il medico di base neppure a chi è in possesso del permesso di soggiorno.

Più in generale (salvo in alcuni preziosi ma isolati casi) non c’è ombra di pocket money, di assistenza psicologica, di attenzione alle vulnerabilità, di prospettive future, di informazioni legali, ma, cosa assolutamente più importante, non c’è traccia di indicazioni sul futuro di queste persone.

Le previsioni sull’accoglimento delle domande di protezione internazionale da parte delle Commissioni competenti sono tutt’altro che rosee (circa il 10%), tenuto conto che, se è vero che la guerra in Libia costituisce un motivo di fuga, è sulla base della nazionalità dei richiedenti asilo e quindi sulle persecuzioni ed i rischi eventuali nel paese d’origine che la domanda di protezione viene valutata.

Per la verità il Comitato dei diritti dell’uomo ha precisato che il diritto alla vita, sancito dall’art 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non deve essere interpretato nell’obbligo meramente negativo degli Stati di impedire che che il diritto in oggetto sia violato nell’ambito dell’esercizio della loro giurisdizione, ma presuppone il dovere di prendere tutte le misure che rientrano nel loro potere per garantire che esso possa essere effettivamente usufruito da parte di tutti gli esseri umani a prescindere dalla natura delle minaccia che lo pone a rischio o inerente al contesto giuridico-territoriale in cui tale rischio sussiste.

Ciò che comunque si prefigura di fronte a noi è, ancora una volta, la produzione normata di clandestinità. Un destino, sancito dalla legge, di sfruttamento e illegalità, a cui saranno consegnate migliaia di persone che chiedevano protezione, quei profughi buoni che tutti volevano usare e che probabilmente diventeranno nuovamente utilizzabili quando verranno fermati durante un controllo, sfruttati nei campi, nell’edilizia o nei mille rivoli del lavoro nero, quando finiranno sulle pagine della cronaca nera dopo essere stati consegnati nelle braccia della criminalità o quando saranno costretti a comprare un contratto nel mercato del diritto di soggiorno.

Oppure no. Oppure potremmo guardare a quell’aspettativa leggitima di veder riconosciuto il loro diritto di fuga come ad una delle tante facce di quel diritto di restare che è l’ordine del giorno di migliaia di migranti in questo paese, quando si trovano a rinnovare un permesso o a cercare di accedere alle più svariate forme di regolarizzazione.

Partiamo da qui allora. Dai richiedenti asilo in procinto di essere cacciati. La soluzione? Un decreto di protezione temporanea che dia loro un titolo idoneo, la possibilità in ogni caso di attivare in ogni caso la procedura d’asilo, la garanzia di poter accedere comunque al circuito di accoglienza.
Una battaglia, questa, per la società intera. Perché ancora nelle nostre città non vadano a crescere il limbo della clandestinità ed i luoghi dell’esclusione. Non sono forse anche i diritti un bene comune?

Nicola Grigion

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