Tra consumo di suolo ed eventi estremi: l’alluvione in Emilia-Romagna non è un caso isolato

Sabato 17 giugno a Bologna la Marcia Popolare verso la sede della Regione.

16 / 6 / 2023

È passato quasi un mese dal disastro ambientale che è accaduto in Emilia-Romagna e che, per l’ennesima volta, ha mostrato la vulnerabilità e la fragilità del territorio italiano nel saper far fronte a questo tipo di eventi. Proprio domani è prevista a Bologna una importante manifestazione, che ha come obiettivo quello di denunciare pubblicamente le responsabilità politiche di quello che è successo, a partire dall’amministrazione regionale (leggi la dichiarazione finale dell’assemblea tenutasi in piazza del Nettuno a Bologna il 27 maggio scorso). A maggior ragione è importante avere una visione critica su questa alluvione, cercando di dare alla crisi ecologica una dimensione fatta di eventi puntuali e non solo generici.

Cerchiamo di fare chiarezza. Prima di tutto, è giusto specificare che gli eventi di precipitazioni sono stati due consecutivi, il primo ad inizio mese (1-3 maggio) e il secondo a distanza di circa due settimane (15-16 maggio) che hanno portato mediamente una cumulata di 450mm di pioggia sul territorio emiliano, circa la metà di quello che cade in un anno. In alcune zone, come nel caso di Trebbio nell’area di Forlì-Cesena, il pluviometro della stazione metereologica ha registrato quasi 600mm di precipitazioni cumulate nelle due settimane. Dati impressionanti, così come quelli registrati a livello nazional; infatti, secondo le analisi elaborate dall’Istituto di Ricerca per la protezione Idrogeologica (IRPI), sono 170,5mm, la media delle precipitazioni di maggio cadute su tutto il territorio italiano nel 2023. Un dato che fuoriesce di gran lunga dalla serie storica dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che dal 1951 al 2021 aveva registrato un valore massimo di circa 150mm per il mese di maggio.

Un dato ancora più assurdo se si pensa che il territorio italiano dall’estate scorsa sta vivendo in condizioni di siccità e proprio l’aridità dei suoli è un altro fattore da prendere in considerazione all’interno della nostra analisi sul nubifragio emiliano. Infatti, il suolo non ha avuto la capacità di assorbire la quantità di acqua precipitata, saturandosi già durante il primo evento e diventando quindi completamente incapace di assorbire l’acqua che è caduta nel secondo evento.

Questo ha causato un cambiamento immediato degli afflussi in deflussi che si sono riversati nel reticolo fluviale e la loro ripida diffusione nelle aree di pianura in cui sono presenti diverse e dense concentrazioni abitative. Le mappe prodotte dal servizio EUMETSAT del programma Copernicus relative all’anomalia di umidità mostrano in modo chiaro il precedente concetto espresso. Infatti sono presenti elevate anomalie positive di umidità del suolo che raggiungono quasi valori del 100% in aree dove fino a tre mesi fa erano presenti anomalie con valori negativi pari a circa il 20%.

In più, è importante ricordare che l’Emilia-Romagna è localizzata nella Pianura Padana che è una piana alluvionale la cui composizione pedologica è un alternarsi di terreni argillosi, sabbiosi e limosi che rendono il suolo a livello naturale molto più impermeabile. L’ultimo fattore da prendere in considerazione, e forse il più importante di cui veramente parlare, è quello legato al consumo di suolo. Ringraziamo infinitamente Munafò e Pileri che da subito hanno posto l’accento su questa problematica.

L’Emilia-Romagna, secondo i dati ISPRA, è tra le regioni con le percentuali più alte sia di territorio che di popolazione esposta al rischio di alluvione. Un territorio regionale in cui 80% della superficie è interessate da aree a pericolosità idraulica e ad alto rischio di esondazioni. Nel 2020-2021 è stata la terza regione per consumo di suolo netto con circa 658 ettari cementificati. La cementificazione delle aree verdi in favore di nuclei abitativi comporta inevitabilmente un aumento del rischio di inondazioni, soprattutto in casi come quello bolognese, in cui perfino alcuni fiumi sono stati tombati.

Tra i diversi fattori citati per comprendere il disastro emiliano, sicuramente uno che racchiude più o meno tutti gli altri è quello della pianificazione del territorio che deve essere a lungo termine, promuovere la prevenzione, la mitigazione e l’adattamento a questa tipologia di eventi. Oggigiorno più che mai è necessario fermare la crescita di consumo di suolo in modo illimitato che oltre a degradare l’ambiente e i servizi ecosistemici che da esso vengono generati, colloca infrastrutture e nuclei abitativi in aree ad alto rischio e già fortemente vulnerabili, senza porsi alcun vincolo e limite. La tattica del rattoppo, legata ad una pianificazione non strutturata che non pensi sul lungo termine ai possibili danni e alle possibili perdite è totalmente insensata. Il disastro emiliano ne è una delle prove evidenti. In un contesto come quello odierno, in cui, come riportato nel primo dei 3 report del sesto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) gli eventi di precipitazione estrema una volta considerati rari, aumenteranno di frequenza ed intensità, è quindi palese che la tecnica del rattoppo valsa fino ad oggi risulterà più che mai superflua e sempre più inutile.

L’amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna è tra l’altro considerata tra le più virtuose in termini di strategie e piani di adattamento ai cambiamenti climatici: cosa che sembrerebbe rimasta solamente su carta e mai resa pratiche con azioni efficaci di mitigazione e adattamento. È ormai evidente che non bastano più i fondi per ricostruire, ma bisogna iniziare ad attuare delle azioni di precauzione e di prevenzione nei territori che mirino a limitare il più possibile gli impatti che generano questo tipo di eventi, curando maggiormente gli aspetti ambientali, monitorando non solo i fiumi principali come il Po ma verificando tutti i bacini idrici, anche quelli più piccoli, con azioni di pulizia dei bacini, di rafforzamento degli argini ed altre pratiche come la desigillazione, un processo inverso al consumo di suolo che deve essere fermato se si vuole realmente pensare di mettere in sicurezza il territorio della penisola italiana.

L’evento emiliano non è né isolato né unico, la scorsa estate anche a Catania e nelle Marche abbiamo assistito a nubifragi impressionanti e ce ne saranno sicuramente molti altri. All’interno di questo contesto è fondamentale mettere al centro il territorio e la sua gestione, allocando più fondi a pratiche di manutenzione, gestione e ripristino delle aree verdi. L’attuale sviluppo proposto che senso ha? che tipo di ricchezza socio-economica stiamo generando? Sicuramente ad oggi volatile e materiale che viene persa nel tempo di una perturbazione estrema.

* Edoardo Crescini è geografo e collaboratore del gruppo di ricerca "Cambiamenti Climatici, Territori, Diversità" dell'Università degli Studi di Padova.