Dalla città che resiste all'acciaio

Tutto da vincere, o tutto da perdere. Istantanee da Taranto

di Gaetano De Monte*

3 / 8 / 2012

C’è una fotografia, un’istantanea, che è un immagine plastica di quanto accade in questi giorni a Taranto. In questo scatto ci sono Maurizio Landini, segretario della Fiom, il più grande sindacato metalmeccanico italiano, che abbandona il palco di piazza della Vittoria insieme ai segretari locali e nazionali della triade Cgil, Cisl e Uil, contestati e fischiati da quella Città che non ci sta ai ricatti: che si rifiuta di dover scegliere tra due diritti costituzionalmente garantiti, quello alla salute, riconosciuto dall’art. 32, e quello al lavoro, su cui la nostra Repubblica è “fondata”. 
In altre foto invece, ci sono Aldo, Massimo, Rocco e Stefano, che chiedono di poter prendere parola, per spiegare ai loro compagni operai dell’Ilva, e all’intera cittadinanza, cosa significa vivere nella città più inquinata d’Europa per emissioni industriali, e lavorare allo stesso tempo in quella fabbrica dei record: per gli incidenti sul lavoro, per le emissioni di diossine e furani, e quelli di produzione dell’acciaio, in cui l’Ilva rimane, nonostante la crisi globale, ai vertici europei e mondiali. In quel mostro marrone scuro che non dorme mai, dove si varcano i cancelli di mattina, di pomeriggio, o di notte, a seconda del turno, sperando di uscirne vivi. Chiedono a gran voce di poter raccontare la loro umanità a volte divisa fra la necessità ed il rifiuto, tra i diritti ed i ricatti. Ma oltre il danno anche la beffa, si scopre subito che i sindacalisti, abbandonando il palco si sono portati via anche i microfoni. Vorrebbero impedirgli forse, anche di parlare alla loro Città, che amano più di ogni altra cosa. Dopo aver firmato negli anni, ogni sorta di accordo con la proprietà, riducendo i diritti dei lavoratori a nuda vita, ora si prendono anche la loro libertà di parola. “Si rubano proprio tutto questi sindacalisti venduti”, si vocifera intanto, tra gli operai ed i cittadini che oggi hanno scelto da che parte stare. E non certo da quella di chi ha contribuito in cinquant’anni all’avvelenamento di un intero territorio, delle sue falde acquifere, dell’intera catena alimentare. A quel disastro sociale ed ambientale che non ha precedenti nella storia d’Italia.
In questi scatti, magistralmente immortalati dal mio amico ed attivista Andrea Rotelli, si intravedono le facce degli operai reali, in carne ed ossa, di quell’entità a volte poco compatta, ma che inevitabilmente e naturalmente opposta al nemico di classe, nelle giornate di Taranto si fa motore della storia, che ne diviene soggetto, nel senso hegeliano del termine. Operai sociali, che in quella piazza entrano insieme allo spezzone del neonato “Comitato operai-cittadini liberi e pensanti”, ed a cui si uniscono altri lavoratori, quando diviene oramai chiaro a tutti, che l’azienda ed i sindacati stanno da una parte, e i lavoratori ed i cittadini dall’altra.
“Stiamo scrivendo la storia”, dice Aldo prendendo finalmente la parola: “chiediamo scusa agli altri lavoratori già presenti nella piazza, per la maniera radicale in cui siamo entrati. Avevamo chiesto alla Fiom di poter fare un intervento dal palco a nome del nostro comitato formatosi da pochi giorni, che chiede per la Città di Taranto, un futuro differente che parli di salute, di reddito di cittadinanza, che reclama un modello di sviluppo diverso che sappia salvaguardare un bene comune come il territorio”. Ricorda poi, che oggi è il 2 Agosto, l’anniversario di una “strage di stato”, quella alla stazione di Bologna, di una tragedia rumorosa che fece il botto. Quella di Taranto, invece è una strage silenziosa che dura da cinquant’anni, è un’esposizione ai veleni che non ha provocato solo patologie tumorali. Ma che “ha causato nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte". Effetti dovuti sicuramente all’inquinamento del complesso siderurgico, ma non solo, anche ai cementifici e alla raffineria, e alla marina militare, che da questi parti non hanno mai rispettato regola alcuna, e che hanno eletto il cielo e l'aria di Taranto ai vertici delle classifiche mondiali per emissioni nocive. Emissioni che da queste parti si sommano ad omissioni e a complicità dei vertici politici-istituzionali. Di questo disastro ambientale descritto da autorevoli documenti scientifici, la piazza ne indica chiaramente i colpevoli, i mandanti, i complici. E nulla da oggi sarà più come prima. Sono quelle stesse foto a segnalare la crisi oramai irreversibile della rappresentanza sindacale, così come l’abbiamo conosciuta durante il corso del Novecento. Certo la questione di Taranto rimane complessa, è drammatica, non ci sono soluzioni facili, ma se c’è un dato politico che ci indica la giornata di oggi, è che indietro non si torna. Che le soluzioni non possono essere, che quelle espresse ed indicate dalla cittadinanza, dai movimenti sociali e soprattutto dagli operai che sono stati sino ad ora quella forza che muove l’acciaio. Saranno loro a cercare le invenzioni giuste, le ipotesi, gli schemi di ragionamento, le nuove forme di vita per questa Città. Non potranno certo più essere quei politici ed amministratori, quei sindacati, quella Confindustria, e quei docenti universitari, che da settimane ormai, costantemente ci ricordano, attraverso una parte della stampa locale e nazionale, che questa fabbrica conta circa 15mila dipendenti, e quanto essa sia importante non solo per la città, ma per l’intera nazione. Chel’Ilva è un tesoro che produce acciaio e muove l’economia italiana. Un tesoro costruito però, a ridosso delle case del quartiere Tamburi, un posto in cui, ai bambini, per ordinanza del sindaco Ippazio Stefano, è vietato di giocare in strada, per l’alta esposizione al berillio e ad altri minerali.
Questa giornata è certamente storica per Taranto. E se ragionassimo in termini di suggestioni collettive potrebbe ricordare quel febbraio del 1977, quando a Luciano Lama, segretario della Cgil, fu impedito di parlare dagli studenti nell’università la Sapienza.
Le cronache di certa stampa, invece, in queste ore, soprattutto di quella vicina al centro sinistra, si esercitano a nutrirsi di veline fantasiose, dei Cobas che avrebbero impedito ai sindacati di parlare. C’è invece, come la virtù, nel mezzo, proprio la ricomposizione di nutriti segmenti di città che reclamano allo stesso tempo reddito e salute, semplicemente un esistenza degna. Ed è questo il dato politico significativo di oggi, ed in generale delle dieci giornate di Taranto. Ma non è questo forse il tempo dell'inganno universale, in cui persino dire la verità diventa un atto rivoluzionario?  
In questo racconto di una giornata che rimane splendida ed incredibile, le voci si uniscono alle immagini, in un mosaico sfaccettato e complesso, così come complessa è questa storia. La debolezza profonda delle fotografie è che non possiedono un significato in sé, ma devono essere rivolte a qualcosa per significare. E quel qualcosa siamo noi e loro. Il 99% contro l’1% che fa i profitti sulle nostre vite. E’questo che bisogna comprendere. Sta a noi essere poi all’altezza della sfida, che significa anche essere capaci di raccontarsi, perché è così che si costruisce l’immaginario collettivo.
Se dovessimo narrare con una canzone la giornata di oggi potremmo dire certamente “che questo rumore rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare. Che è la gente che fa la storia ed è per questo che la storia dà i brividi, perchè nessuno la può fermare.La storia siamo noi, siamo noi padri e figli, la storia non ha nascondigli, la storia non passa la mano. La storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”.
*giornalista, attivista Okkupy Archeo Tower