Sono questi giovani che costituiscono il nerbo degli "oltranzisti", ovvero di quelli che rimangono a presidiare piazza Tahrir anche quando l'attenzione mediatica sembra calare e le opposizioni fanno le prove di negoziati con il regime.
Inoltre, sono questi giovani ad aver dato il via alla protesta e ad averla alimentata dal 25 gennaio trasformandola in una mobilitazione popolare senza precedenti per l'Egitto.
Attorno a questi giovani, ci sono giornalisti e avvocati prima di tutto. A cui si sono uniti i medici, i magistrati, gli insegnanti, in parte gli operai delle industrie.
L'età di queste persone è molto varia e va dai 30 ai 65 anni. Dal 26 gennaio, ad esempio, ad aver tenuta accesa la brace della manifestazione del giorno prima, sono stati due sit-in organizzati dal sindacato dei giornalisti e degli avvocati.
Raduni di appena decine di persone, si sono poi trasformati in cortei di migliaia di persone che hanno tentato di raggiungere, allora invano, Tahrir.
Da quando la piazza è stata conquistata, si sono uniti in maniera massiccia i sostenitori dei Fratelli musulmani, uomini e donne, lavoratori di classi medie e medio-basse.
La parola d'ordine è "nessun leader", perché questo
è un concetto percepito dai manifestanti come proprio del vecchio
regime e delle stesse opposizioni politiche, che loro rifiutano.
Ripetono: "l'unico nostro leader è il popolo". Esiste una "Commissione del sistema del movimento dei giovani" (Lagnat nizam harakat ash-shabab) formata da trentenni, per lo più lavoratori e non più studenti, appartenenti a un élite
di liberi professionisti: giornalisti, avvocati, operatori turistici,
medici, editori. Ci sono studenti, molti sono però freschi laureati o
laureandi.
Se ciò è ora la loro forza, sembra anche il loro limite, perché dietro lo slogan dell'essere "tutti egiziani" non emerge ancora un progetto chiaro per il dopo-Mubarak.
Su quali basi potranno domani superare le differenze, in alcuni casi profonde, che esistono al loro interno e tra loro e il resto della società egiziana che sta appoggiando la loro mobilitazione?
L'America è vista con molto sospetto e in Obama non vedono un salvatore bensì un leader di cui non ci si può fidare completamente. Non bruciano bandiere americane né quelle israeliane.
Alcuni gruppi di integralisti islamici, presenti anch'essi a Tahrir, anche se minoritari, non hanno bruciato bandiere di Israele ma hanno esposto slogan anti-israeliani o accusato Mubarak e Suleiman di "collaborazionismo" con i sionisti.
Si definiscono arabi e nei confronti di Tel Aviv non hanno certo sentimenti di simpatia o solidarietà. Piuttosto affermano di volere un governo che abbia una politica più ferma con lo Stato ebraico e sia veramente solidale con la causa palestinese.
Si oppongono sia alle pratiche oscurantiste di Hamas e degli altri movimenti di resistenza radicali sia al malgoverno e alla corruzione dell'Anp.
Non guardano inoltre né all'Iran né a modelli politici basati sul fondamentalismo islamico ("Siamo musulmani ma viviamo la nostra fede in maniera privata e non integralista"). Non nominano la Turchia, ma a sentirli parlare, sembra che il modello del loro Egitto di domani possa essere quello di un paese islamico tollerante e aperto.
A parte l'insurrezione delle tribù di beduini scoppiata nel Sinai sin dal 27 gennaio contro i simboli del potere centrale, i dimostranti del Cairo sono sembrati ben coordinati con quelli di Alessandria, delle città del Delta, dell'Alto Egitto, di Suez e di Ismailiya.
Nel cuore del movimento giovanile ci sono numerose donne, per lo più trentenni, laiche, non intrappolate nelle ideologie delle loro madri. Inoltre, tra i Fratelli musulmani la sezione femminile è molto attiva e lo si è visto anche a piazza Tahrir. Ci sono poi moltissime donne mobilitate tra i liberi professionisti ma anche nelle classi medio-basse.
Una ristretta élite del gruppo di Kifaya, movimento fondato anni fa e di più ampio seguito sociale, lo appoggia ma la piazza potrà sostenerlo solo se emergerà come leader politico credibile. Per ora, attorno alla sua figura, c'è molto scetticismo.
Mussa è più conosciuto e apprezzato di Baradei, anche se da alcuni è considerato comunque uno che ha convissuto con Mubarak.
Sperano di poter trasmettere la forza anche ad altri giovani arabi (Siria? Yemen? Libia?), così come loro dicono di aver ottenuto vigore dalla rivolta in Tunisia.
Solo da martedì, alcuni siti di monitoraggio delle notizie locali che trovano spazio su Facebook hanno diffuso l'appello di circa 6.000 lavori del canale di Suez che vogliono scioperare in solidarietà con la protesta del paese. La direzione del canale ha però smentito ogni tipo di agitazione e turbamento del traffico navale.