Guatemala, l’esercito disperde la carovana migrante

19 / 1 / 2021

Dopo poco più di 24 di blocco presso il piccolo paese di Vado Hondo, municipio di Chiquimula, polizia ed esercito guatemalteco nella giornata di lunedì hanno sgomberato il km 177 della statale costringendo prima la carovana a retrocedere e poi obbligando i migranti a salire sugli autobus per il “ritorno volontario” in patria.

I migranti erano arrivati a Vado Hondo domenica mattina e in quel tratto di strada ad imbuto, tra un alto muro e un “cerro”, avevano trovato ad accoglierli un imponente schieramento di uomini di polizia ed esercito guatemalteco, uno degli oltre 20 posti di blocco istituiti dalle autorità per bloccare la carovana. I migranti, in cordone e determinati, hanno provato subito ad aprirsi il passo ma solo un piccolo gruppo è riuscito nell’intento mentre la maggior parte della carovana è rimasta chiusa dalla reazione delle forze dell’ordine. Dopo qualche ora di infruttuosa trattativa, la carovana, alla quale nel frattempo si era aggiunto un secondo gruppo di circa tre mila persone, ha deciso di proseguire e ha provato a forzare nuovamente il cordone di sicurezza. Una piccola avanguardia è riuscita anche a sfondare ma a quel punto la reazione delle forze armate è stata inaspettata e violenta: armati di bastone, i militari hanno cominciato a colpire i migranti, spezzando la carovana e costringendo tutti a retrocedere un po’ alla volta, anche con l’utilizzo di gas lacrimogeni.

 

L’azione repressiva di esercito e polizia nei confronti dei membri della carovana che, va ricordato, è composta in prevalenza di famiglie con bambini, ha prodotto la deportazione in patria di circa 1500 persone, secondo il bollettino emesso dal Instituto de Migración de Guatemala. I restanti quattro mila migranti hanno in seguito deciso di trascorrere la notte a Vado Hondo, con l’intenzione il giorno seguente, di riprovare a passare. Inoltre, sempre secondo le fonti ufficiali del governo del Guatemala, sarebbero state trovati positivi al Covid19 ventun migranti che sono stati portati al più vicino distretto sanitario dove rimarranno in isolamento prima di essere rimpatriati a forza.

A complicare ulteriormente la permanenza in territorio guatemalteco, ci ha pensato lo stesso presidente Giammattei che, secondo una denuncia del Movimiento Migrante Mesoamericano, ha ordinato la chiusura di tutte le “tiendas” del paese e chiesto ai propri cittadini di non vendere o addirittura regalare cibo alle persone della carovana.

Il giorno seguente, lunedì, la strada risultava ancora bloccata dai migranti, fermi nella decisione di proseguire il cammino verso gli Stati Uniti. In mattinata, il governo guatemalteco, ha posto l’ultimatum ai migranti di liberare la strada e di ritornare verso il confine con l’Honduras. Stante il rifiuto dei migranti, le forze armate, nel frattempo triplicate grazie ai rinforzi inviati dal presidente Giammattei, hanno cominciato ad avanzare e anche grazie all’utilizzo di gas lacrimogeni hanno fatto indietreggiare tutta la carovana che si è dispersa nel piccolo paese di Vado Hondo. Diverse emittenti locali hanno denunciato il ferimento di un numero imprecisato di migranti, alcuni dei quali sono stati soccorsi mentre altri sono stati deportati direttamente. L’azione dei militari non si è fermata lì e con una manovra di accerchiamento hanno cominciato a rincorrere i migranti in tutta l’area costringendoli poi a salire sugli autobus e sui mezzi militari messi a disposizione per la deportazione anche dal presidente “progressista” messicano López Obrador.

Con questa azione di forza sembra conclusa questa prima carovana migrante del 2021. Ma la soluzione al problema migratorio nella regione è lontano: non sarà certo la repressione l’arma che convincerà questi uomini e queste donne a desistere e a cercare di costruirsi una vita lontano dalla miseria e dalla violenza nella quale sono costretti a vivere.

Permangono infatti, e anzi si acuiscono giorno dopo giorno, i motivi per cui migliaia di persone sono costrette a lasciare la propria terra e a partire senza che i governi siano capaci, o abbiano intenzione, di affrontare i nodi della disuguaglianza, della povertà e della violenza.

Foto di copertina @estebanbiba