iQuit

Jobs fa un passo indietro. I lavoratori cinesi di Foxconn fanno gli straordinari

La crisi e il campo di battaglia tecnologico-relazionale

26 / 8 / 2011

Steve Jobs lascia (iQuit). Un imprenditore geniale che incarna perfettamente, meglio di Gates, quell'ideale di freak-cpaitalista tipico degli anni '70. Un visionario che parte dal proprio garage e (senza nemmeno laurearsi) mette in piedi un impero.
Stamattina ho letto che il logo Apple è un omaggio ad Alan Turing, "inventore" del computer, suicidatosi mangiando una mela intinta nel cianuro per via delle vessazioni a cui veniva sottoposto a causa della sua omosessualità.
Non so se la storia risponda a realtà, ciò che è certo è che il logo Apple costituisce un esempio del funzionamento ideale di un brand. Un catalizzatore per un surplus di socialità, un significante vuoto da riempire con la propria fantasticata visione di sé, un prodotto globale standardizzato, ma capace di vibrare dell'esperienza singolare di ognuno dei suoi consumatori, come ci ricorda Brian Holmes.
Non è questione di moralismo o pauperismo. Subisco, come molti, il fascino dei devices e degli smart phones (anche se non sono un utente Apple). Del resto come scrive Alberto de Nicola (http://bit.ly/rgoy79) le merci in stile Apple sono quelle che "che connettono, che concatenano forme di vita, che allargano le possibilità della circolazione", sono quelle in cui è impossibile non rintracciare un legame con l'esplosione delle primavere arabe da una parte e con i riots londinesi dall'altra. E' questa natura connettiva della merce che può aiutarci a leggere, senza ricorrere al semplicistico biasimo del consumismo, fenomeni estremamente complessi e contraddittori come i saccheggi inglesi.
Perché dunque privarci di questi strumenti? Non mi convince una logica della decrescita applicata alla sfera sociale. Il problema è piuttosto quello di sovvertirne lo scopo, ma anche di rovesciare i rapporti sociali alla base della loro produzione. E di certo qui non basta la retorica del prosumer (del consumatore/produttore), francamente buona solo per il marketing culturale.
Infatti, oltre la feroce difesa proprietaria dei suoi sistemi, Jobbs ha posizionato il suo marchio sul terreno della divisione internazionale del lavoro (per altro ormai lontana dalla sua rassicurante suddivisione in primo,secondo e terzo mondo) . E' così che per abbattere i costi di produzione, l'iPad viene fabbricato in Cina, in particolare a Chengdu, dove 300.000 operai lavorano in un impianto ancora in costruzione, sottoposti a turni massacranti, in condizioni di insicurezza, senza le necessarie garanzie per la salute, ecc. E' questo che viene spiegato nel video realizzato dalla Sacom (Students & Scholars Against Corporate Misbehaviour) un'organizzazione attivista con sede ad Hong Kong (http://sacom.hk/).
Il passo indietro di Jobs, allora, si staglia sullo sfondo di questo piano globale complessissimo, dove l'aggravarsi della crisi deve interrogarci sulla natura attuale del capitalismo, sulle contraddizioni che solleva, non solo al suo interno, ma anche nelle spinte che gli si oppongono, siano esse organizzate o meno. Con una provocazione potremmo affermare che queste tecnologie social e le reti prefigurano oggi una sorta di "consustanzialità" tra sfruttati e sfruttatori. Infatti è'stato affermato che l'algoritmo di Google funziona come una peculiare enclosure capitalistica del general intellect nelle reti. Parallelamente, ma in direzione opposta, Paolo Do ci racconta che lo stesso general intellect, nei laboratori clandestini delle metropoli cinesi, mette all'opera una sorta di rovesciamento del paradigma originale-copia, dove il copyright cede sotto i colpi di innovazioni tipo il kit per trasformare l'iPod in iPhone o la versione dell'Ipad con fotocamera (Il Tallone del Drago, DeriveApprodi, Roma, 2010). Questa convergenza sul piano tecnologico relazionale è oggi un fatto globale, ma se consustanzialità significa identità di sostanza, ciò non significa che il surplus prodotto attraverso questa stessa sostanza sia equamente distribuito. Anzi, l'opposto. In questo senso il piano tecnologico relazionale è al cuore del problema ed intimamente connesso ad una molteplicità di temi imprescindibili: centro e periferia che si intrecciano (pensiamo ai poveri delle metropoli occidentali e alle politiche dell'Austerity), tumulto e organizzazione, migrazioni e delocalizzazioni, equilibri geopolitici e confini interni, nuove forme di vita e cattura, desiderio e profitto, cooperazione e finanza, comune buono e comune cattivo.

E' dunque un grande campo di battaglia, ridisegnato dalla crisi, quello che, a ben guardare, si dispiega sotto i nostri occhi, in occasione delle dimissioni di Mr. Jobs.

La fabbrica cine dell'iPad by Sacom