Sulla resistenza curda

16 / 8 / 2014

Il conflitto che oppone il popolo curdo, le sue organizzazioni politiche di autogoverno e autodifesa ai fondamentalisti dell'Isis (ora Is) in Siria e Iraq, non nasce oggi, così come la presenza delle brigate jihadiste internazionali nella regione è da segnalare almeno dal momento in cui gli Stati Uniti, con la guerra in Iraq nel 2003 e l'imposizione del governo autoritario dello sciita Al Maliki (incapace qualsiasi tipo di governo includente nei confronti della popolazione curda e sunnita in Iraq), hanno contribuito alla destabilizzazione della regione ed all'infiltrazione delle brigate fondamentaliste internazionali.

Intanto in Siria nella regione autonoma di Rojava, (territorio in cui i curdi, dallo sfaldarsi dello stato siriano, praticano autogoverno ed autodifesa del territorio), gli islamisti dal 2013 hanno più volte tentato di attaccare le zone di Efrin, Kobane e Cizire. Questi scontri si inseriscono nel contesto della guerra civile siriana, in atto dal 2011.

L'Is attua un passaggio strategico rispetto al qaedismo andando oltre la guerra liquida ed insistendo sulla conquista di territori dove esercitare la sovranità della sharia e che fungano da polo di attrazione internazionale per il fondamentalismo islamico. Gli jihadisti hanno finora potuto contare sull'oblio della comunità internazionale, sui finanziamenti di Arabia Saudita e Quatar e sull'appoggio indiretto, ma neanche troppo velato, della Turchia di Erdogan.

In particolare il neosultano turco, da poco eletto anche presidente della repubblica, ha utilizzato la lunga e militarizzata frontiera con la Siria, con la logica della doppia porta: porosa e transitabile per i fondamentalisti dell' Isis,impenetrabile per i curdi e per i profughi che tentano di scappare dalla guerra. L'appoggio della Turchia ai combattenti dell'Isis, oltre a segnare una progressiva islamizzazione del governo di Erdogan sempre più rivolto verso un alleanza con le potenze sunnite della regione e sempre più lontano da Unione Europea e Stati Uniti, ha una doppia funzione anti Assad e di contrasto dei progetti di autonomia del Kurdistan siriano.

In tutto ciò la comunità internazionale ha colpevolmente ignorato gli attacchi che le formazioni jihadiste attuano dal 2013 contro i curdi del Rojava ed ha taciuto l'appoggio indiretto del governo turco alle operazioni dell'Isis.

La resistenza dell'autogoverno curdo del Rojava agli jihadisti ha subito il silenzio internazionale ed una scarsità di risorse per far fronte alla minaccia, ma è stata ugualmente efficace. Per ora le formazioni del YPG e quelle del PKK hanno respinto l'Isis constringendo gli jihadisti a puntare verso l'Iraq settentrionale dove hanno conquistato buona parte dei ricchi territori nella zona di Mosul, assumendo la popolazione civile, composta da moltepelici minoranze religiose ed etniche, a bersaglio: uccidendo, violentando, costringendo alla fuga. Pianificando, operando e gestendo mediaticamente una sistematica pulizia etnica.

A questo punto gli Stati Uniti si sono accorti del problema anche in forza degli ottimi rapporti politici e commerciali che intrattiene con il governo del kurdistan iracheno (ricco di petrolio e con cui anche la Turchia di Erdogan ha mantenuto finora buone relazioni commerciali), e la comunità internazionale si è posta il problema di intervenire per fermare i fondamentalisti ed arrestare il genocidio in corso.

Nella regione non si affrontano due schieramenti contrapposti, ma modi antagonisti di pensare la vita, l'etica, la politica, la religione. Le organizzazioni di autogoverno curde praticano l'accoglienza verso qualsiasi diversità etnica, politica, religiosa, di genere ed orientamento sessuale, ciò ha permesso la possibilità di aprire di fatto un corridoio umanitario dal basso per le popolazioni in fuga.

La ricerca e la sperimentazione di autogoverno ed esercizio di autonomia territoriale, come a Rojava, è immediatamente antagonista al progetto teocratico dell'IS.

La parità di genere che attraversa la vita sociale delle comunità curde anche nell'autodifesa dei suoi territori si oppone alla misoginia dei fondamentalisti.

Le battaglie dei movimenti curdi per la difesa e la salvaguardia dei territori contro le devastazioni ambientali sono irriducibilmente antagoniste rispetto alla furia distruttrice jihadista che si scaglia anche contro luoghi di culto millenari.

Il conflitto in corso va inteso ben al di là dei suoi confini territoriali e delle tensioni che lo attraversano, riguarda modi di concepire la lotta e la cittadinanza.

Per noi la difesa di Rojova è uno spazio politico che parla a tutti dell'instabilità e della crisi dovuta alla fine dell'unipolarismo USA, dell'emergere di nuovi fascismi e dell'esigenza di cercare, costruire e difendere forme di autogoverno tra uguali nelle differenze

Bisogna far sì che i curdi possano difendersi con ogni mezzo necessario e ciò passa necessariamente dal permettere agibilità a tutte le sue organizzazioni politiche.

È paradossale la riconosciuta presenza del PKK in cooperazione con le unità YPG del Kurdistan siriano ed i peshmerga di quello iracheno nella resistenza all'avanzata dell' IS, mentre lo spesso PKK è ancora inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali.

È sempre più indispensabile la liberazione di Ocalan e di tutti i prigionieri politici curdi e la possibilità di rientro in patria per gli esuli.

È fondamentale la costituzione di corridoi umanitari e pretendere dalla Turchia la smilitarizzazione della frontiera siriana per facilitare assistenza e soccorsi e la costituzione di passaggi sicuri per le popolazioni in fuga dalla guerra.