Quello che il diritto non dice

Basic income per le banche

Utente: GIOVANNI
3 / 3 / 2010

E’ divenuta prassi consolidata dell’imprenditore in crisi, l’esperimento di azioni formalmente rivolte al recupero di somme asseritamente corrisposte alla banca in ragione di patti contrattuali da ritenersi –a detta dell’attore- nulli e accettati (magari per molto tempo) soltanto per la condizione di sudditanza dell’imprenditore (rapporti caratterizzati dal principio del “prendere o lasciare” riporta prosaicamente la giurisprudenza meno avveduta) nei confronti della banca.

La lettura degli atti (e ancor più delle eleganti perizie talvolta allegate) disvela la vera natura del giudizio, quale volto a prevenire la pretesa della banca a vedere onorato il proprio credito.

Peraltro, tali giudizi ci dicono qualcosa di più.

Per giustificare la messe di azioni siffatte, con il plauso di neonati sindacati antiusura, di stampa e della parte più irsuta della politica, è insufficiente il richiamo all’immagine dell’imprenditore che tenta di salvare se stesso “con ogni mezzo”.

Gli attori affermano una nuova rappresentazione del diritto bancario che, per le ragioni di seguito dedotte, rinnega se stesso.

L’agire dell’imprenditore (e del consumatore, che in quanto uomo commerciale o “uomo indebitato”, per dirla con Deleuze che più di recente, fattosi impresa, ne segue identica operatività) può, a ragione, essere considerato emblematico dell’attuale stato dell’economia italiana (e non solo).

La stretta connessione tra il diritto e l’economia, segnatamente in una materia quale il diritto bancario non può certo essere revocato in dubbio.

Il diritto civile funge, anzitutto da regolatore delle controversie tra privati e quindi tra le banche e i propri clienti.

Per tutto il secolo scorso (non a caso, la nota sentenza della Corte di Cassazione che sfonda la diga dell’anatocismo –lecito per il codice di commercio- tollerato quale uso per tutto il ventesimo secolo risale al 1999) la banca –quale ausiliario dell’imprenditore- ha svolto una funzione creditizia a supporto delle imprese. Il credito alle imprese era visto quale elemento tanto degno da meritarsi norme a tutela (per uno, la speciale normativa fondiaria) e addirittura lodi da parte del cinema hollywoodiano (per tutti la vita è meravigliosa, Frank Capra, USA, 1946).

Ben si può dire che la banca sia stata fondamento dei trenta gloriosi dell’economia fordista (meglio definirsi quale capitalismo industriale).

Con il mutamento del paradigma produttivo che a far data dalla fine degli anni ’70 ha portato all’instaurazione di un’economia basata sulla conoscenza e alla modificazione finanziarizzazione della stessa (tanto che alcuni studiosi hanno coniato il termine di capitalismo finanziario o, addirittura, metacapitalismo) la banca “tradizionale” (quella che si tenta di colpire ed affondare con giudizi come il presente) è stata oggetto di continue erosioni sia nel senso delle tutele che nel significato più proprio.

La normativa che si è susseguita negli ultimi due decenni ha sviluppato non soltanto una commistione tra istituti di credito e banche d’affari ma ha del tutto svilito l’attività creditizia a discapito di quella finanziaria, tanto a parole deplorata, e che persiste, nonostante la crisi conclamata quale principale motore dell’economia (e in Dubai lo sanno, ma potrebbe dirsi lo stesso per Islanda, Ucraina, Grecia e forse Spagna).

E non è un caso che proprio quando le “ricette” degli economisti più avveduti (?) ruotano sulla restituita suddivisione tra credito e finanza, quando il crollo dei mercati appare sempre più chiaramente frutto di vertiginose e spericolate operazioni sul “nulla”, le banche d’affari prosperino (si vedano i bilanci di Goldmann Sachs e Morgan Stanley) e anche se decotte producano ricchezza [(quantomeno apparente) come è il caso delle operazioni sui rami d’azienda di Lehmann Brothers (effettuate dopo la dichiarazione di insolvenza, addirittura) o di Citigroup], mentre le banche tradizionali (quelle, per essere chiari, cui si dovrebbe rivolgere l’imprenditore per il necessario sostegno alla propria attività) segnino il passo.

Il fatto è che come la banca tradizionale ha perso il proprio peso e persista unicamente quale ente idoneo alla socializzazione delle perdite provocate dalla tracotanza della finanza, anche l’imprenditore tradizionale, quello che accedeva al credito per svolgere attività produttiva e quindi creare ricchezza e lavoro ceda (un po’ per la crisi economica, un po’ per la crisi del sistema tout cour) all’imprenditore “di facciata” o comunque “finanziario” (in quanto interamente finanziato dalle banche).

La struttura di tali aziende risulta del tutto debole e inidonea a sviluppare alcunché, salvo il continuo sussidio delle banche (o dello stato, laddove si tratti di grandi imprese).

L’imprenditore postmoderno, dismessa la determinazione produttiva, si agita per creare un vortice di denaro intorno a sé tale da rendere il nulla, cornucopia.

E’ evidente che in tale conclamata situazione (ne è l’appello di Confidustria alle banche a non “guardare i bilanci” per consentire l’erogazione del credito) la banca tradizionale venga aggredita dal qualsiasi richiesta –più o meno lecita- al fine di perpetuare la sopravvivenza (degna o indegna che sia) di tale tipologia di imprenditore.

Ebbene, si può ritenere che anche giudizi quali il presente possano collocarsi nell’ottica di distruzione dell’attività di concessione del credito cosi’ da evitare all’imprenditore post moderno di adempiere alle proprie obbligazioni.

Il risultato è immediato.

Laddove il credito della banca venga “ridicolizzato” (come nel caso di, non creduta, adesione del Tribunale all’incredibile ricalcolo operato dall’imprenditore/attore) resterà molto più denaro per fare fronte agli altri creditori (fornitori, dipendenti etc) e comunque, il rischio d’impresa (non è un caso che i simpatici giudizi vengano incardinati sempre e soltanto nell’immediatezza della revoca degli affidamenti) traslato sulle banche e quindi sulla comunità.

Ovviamente, questo nell’ipotesi più “pura; quando, cioè lo pseudo imprenditore non colmi con “l’ultimo colpo” (chissa per quale ragione, i periodi immediatamente antecedenti la “rivolta” contro la banca siano quelli in cui gli affidamenti vengono portati al massimale e oltre e neppure una fattura anticipata venga onorata) il proprio portafogli e lasci i pretesi beneficiari della “guerra alle banche” (perché cosi’, alcuni la chiamano) ovvero i ricordati fornitori e dipendenti con il classico fiammifero..].

Indipendentemente dall’interpretazioni che il Giudice possa rendere delle clausole contrattuali, deve essere, una volta per tutte, essere primieramente fatta giustizia della credenza che la banca tradizionale sia un “potere forte”.

Allo stato, in mancanza di una presa di posizione netta da parte del legislatore, dell’amministrazione e della magistrature, la banca tradizionale è un potere assolutamente debole, meglio una carovana da assaltare per recuperare gli ultimi spiccioli di una attività di impresa che tale non è più, semmai lo è stata.

Dissestare le banche tradizionali non porterà alcun beneficio alla (inesistente) economia produttiva, anzi dislocando in modo sempre più intenso la verso la finanza il capitale (misero e cannibale).

La vittoria dell’uomo indebitato è la sconfitta della singolarità effettivamente produttiva che ogni vita messa –immediatamente e complessivamente- al lavoro sempre più immateriale e precario è impedita nel farsi moltitudine.

La “riconquista” da parte dell’imprenditore decotto del “proprio” (che tale non è mai stato, ma sempre della banca, meglio dell'operaio che risparmiava ) capitale è definitiva uscita dal patto produttivo novecentesco.

Paradossalmente si può dire che ogni volta che un giudice computa la commissione di massimo scoperto nel TEG, dichiara la nullità della clausola anatocistica uccide ogni speranza di new deal (alla Prodi), trafigge keynes e keynesisti di risulta.

Il welfare state, assunto sulle spalle dell’umanità, diviene scheletrico perché il risparmio viene utilizzato unicamente per generare finta ricchezza da spargere sul mercato.

Il capitale si è reso autonomo e moltiplica la rendita anche col calpestare la banca tradizionale, cosi’ come l’uomo tradizionale che con il proprio lavoro creava la fabbrica e con il risparmio depositato nelle banche restituiva la parte di reddito non consumato al servizio della fabbrica stessa.

Con l’ultimo paradosso che le banche d’affari, volta esplose, si “trasformano” in banche tradizionali per accedere ai sussidi di stato (una sorta di basic income per il capitale).

Tutto bene, quindi, a patto di essere consci della partecipazione, anche della magistratura, alla finanziarizzazione del mondo e alla spar(t)izione di quell’opulenta e generatrice di ricchezza (se mai è esistita) impresa che si vorrebbe proteggere (?).