Poco più di un mese fa, a Roma, il nodo italiano della
rete globale Basic Income Network, ha
organizzato l’incontro: “Bella, disarmante e semplice. L’utopia concreta del
reddito garantito”. Nel titolo la tesi stessa del Meeting: il Reddito Garantito
è possibile. Nel corso della mattinata scienziati sociali come Claus Offe, Guy
Standing, Luigi Ferraioli, Ruben Lo Vuolo e altri hanno introdotto il tema dal
punto di vista teorico e metodologico; mentre, nel pomeriggio, scienziati
sociali dello stesso calibro hanno diretto dei tavoli di lavoro riguardanti “l’attualità”
del reddito garantito: dal punto di vista del diritto europeo, del welfare ed
anche sotto il profilo delle possibilità concrete di finanziamento di tale
reddito. Incuriosito da quest’ultimo ho preso parte al “tavolo”, coordinato da
Andrea Fumagalli, nel quale si è dimostrato – conti alla mano – di quanto l’utopia,
dal punto di vista economico, potesse essere concreta.
Questa, in estrema sintesi, la situazione: i poveri, in
Italia, sono quasi 8 milioni secondo l’Istat, 8 milioni e mezzo secondo la Caritas. Se
aggiungiamo 5,2 miliardi di euro alla spesa già in essere per il finanziamento
di forme dirette di reddito è possibile garantire che tutti i residenti in
Italia al di sotto della soglia della povertà (600 euro al mese) raggiungano la
fatidica soglia.
E’ impressionante la mole di lavoro che la rete Bin è riuscita a
produrre in Italia e nel mondo. Gli studi e le analisi sul reddito garantito,
molti dei quali reperibili attraverso il portale www.bin-italia.org, sono
di qualità molto elevata e nulla concedono agli attacchi ideologici provenienti
soprattutto dal fronte padronale e da quello sindacale.
Resta il fatto, al di là di ogni critica interessata, che
il reddito garantito è il riformismo possibile, è una di quelle cose proprie
del capitalismo avanzato. Nazioni come la Germania, la Francia, l’Olanda, la Danimarca,
la Svezia, eccetera, per restare in Europa, già hanno assunto nel propri
ordinamenti forme di reddito garantito, mentre l’Italia è lontana dal farlo. In
tale ottica gli sforzi di Bin - volti alla diffusione continua di cultura e
informazioni sulle ragioni del reddito garantito – sono straordinariamente
importanti e ci pongono un interrogativo di prim’ordine: l’istituzione anche in
Italia di un reddito minimo garantito non è una questione economica, bensì
politica. Che fare dunque? Tra le altre cose Bin ha messo in moto, a livello
del Parlamento e Consiglio Europeo, una “iniziativa dei cittadini” in modo da
porre il problema a livello sovranazionale, principale ambito della decisione
politica. Ma l’obiettivo è ancora distante dal raggiungimento e, dal prossimo
autunno, con il marciare incessante della crisi economica, il tema tornerà alla
ribalta e il dibattito diverrà centrale nei movimenti e – molto probabilmente –
anche all’interno dei partiti di sinistra. E’ il caso di attrezzarsi e
partecipare attivamente.
Al termine del Meeting romano di giugno alcune domande, formulate
tra compagni e amici e che rigiro anche ai lettori del Quotidiano, sono divenute pressanti: perché in Italia no? Quali
sono le motivazioni politiche che bloccano questa utopia “concreta”? Come
superare tale deficit del capitalismo nazionale? Di quali azioni politiche (a
livello europeo ma anche locale) abbiamo bisogno per imporre il reddito
garantito? Intorno a questi interrogativi, che hanno alla base il problema
fondamentale della povertà e della crisi, si misura oggi la capacità politica
della sinistra italiana.
Un’ultima riflessione sul reddito garantito nel
Mezzogiorno, in buona parte “esportabile” all’intero territorio nazionale,
sorge spontanea ed è sintetizzabile nel modo seguente: il problema è politico
perché il reddito minimo garantito sottrarrebbe i giovani (e tutti coloro i
quali si trovano in condizioni di povertà) dal ricatto sociale clientelare. Dal
momento che si può contare su un reddito d’esistenza, seppur minimo, non sono
“obbligato” a condividere le relazioni clientelari, cosi come sono libero di
non obbedire ciecamente a quei valori (“socialmente testati” dicevamo il 06/09/2010
su questo giornale) per i quali l’affiliazione al network di potere è la cosa
determinante per una vita dignitosa: non le conoscenze, ne le competenze o
l’esperienza professionale. In altri termini il reddito minimo garantito
moltiplicherebbe l’indisponibilità dei giovani meridionali a far parte
dell’attuale assetto di potere clientelare, il quale si troverebbe svuotato
senza più sudditi ai quali concedere favori ma con cittadini liberi titolari di
diritti fondamentali. In questi termini il riformismo possibile è una vera
rivoluzione… iniziamo a prepararla.
da "Il Quotidiano della Calabria" del 19/07/2011
Il Reddito d'esistenza. Una utopia concreta
di Francesco Maria Pezzulli
20 / 7 / 2011