Pensieri inattuali sul Cigno nero

1 / 3 / 2013

I temi di questo Post li ho elaborati e discussi con Alberto De Nicola, amico fraterno e compagno di mille battaglie. Alla prima persona singolare dunque si sostituisce quella plurale.

Il Cigno nero, il caso raro o singolarità, ha la capacità di far saltare i nervi, le bussole cognitive sono inservibili, impone un nuovo inizio. Di fronte al Cigno nero, quando con forza senza pari fa la sua comparsa, si può reagire con risentimento e depressione. L'imprevisto fa saltare il banco ed emerge in primo piano l'inadeguatezza di tutti e di ciascuno.

C'è anche una reazione, quella più rassicurante, sicuramente la meno utile, che ripete il mantra: "sì è vero, si è trattato di una discontinuità, ma io l'avevo prevista, meglio, ho contribuito a determinarla, meglio ancora, avendola prevista e in parte determinata, in futuro posso orientarla". Proponiamo un tertium datur: l'imprevisto graffia e occorre farsi graffiare, altrimenti non si riesce ad essere degni di ciò che ci accade.

Ispirazione stoica, utile a fare del Cigno nero occasione effettiva di trasformazione, conquista del presente contro il moralismo che guarda indietro o l'opportunismo che prova a surfare su tutte le onde, convinto di essere il vento.

Con questo piglio vorremmo provare a leggere il cataclisma elettorale. Avevamo previsto un quadro confuso, ma non fino a questo punto. L'asse Bersani-Monti, quello del rigore e ordoliberale (subalterno alla Merkel e a Draghi), pensavamo se la sarebbe cavata con fatica estrema, indubbiamente, ma che comunque alla fine l'avrebbe scampata. Non è stato così, grazie a Grillo, ad una rimonta sorprendente di Berlusconi, che pure perde 6 milioni di voti, all'aumento significativo dell'astensione (massima dal '46).

Che la governamentalità neoliberale e la sua nefasta gestione della crisi abbiano trovato una battuta d'arresto provvisoria anche nelle urne sia un dato straordinariamente positivo è fuori discussione e non possiamo che esserne felici. Della disfatta della sinistra tutta, debolmente keynesiana o forcaiola, che con quel saccheggio capitalistico voleva e vuole fare compromessi, altrettanto.

Per i movimenti, per coloro che pensano a partire dall'esperienza e che, nell'esperienza del conflitto, provano a produrre nuove istituzioni, il nuovo che avanza dovrebbe sollecitare una sana pratica del dubbio e della verifica sul campo. Non sfugge a nessuno, infatti, che il referendum anti-BCE e austerity è stato vinto anche grazie al Pdl e alla Lega. Lo Stato-mafia berlusconiano e la Lega respingono sì Merkel, ma nel primo caso pensano a Putin, nel secondo alla Baviera e alla «macroregione del Nord».

Rivolgiamo la nostra attenzione a Grillo e al M5S, i veri protagonisti della discontinuità. Su questo campo, indubbiamente eterogeneo, esercitare l'analisi è doveroso, infittire in modo ossessivo la descrizione, però, vale assai poco, meglio far esplodere la verifica pratica. Non si può che esser contenti dell'operazione grillina: l'unico soggetto che, dopo molti sbandamenti iniziali (l'attacco allo jus soli per i migranti di certo non può essere dimenticato), ha messo al centro della campagna elettorale la questione sociale, la generazione precaria, la pretesa del reddito garantito.

Nessuna invenzione, parliamo dei soggetti e dei claims emersi con forza nelle lotte degli ultimi anni, in Italia e in Europa, da ultimo il 14 novembre dello scorso anno. Altrettanto, ma questo è ciò che conta, il M5S ha bloccato l'ineluttabile - così sembrava e si descriveva - scalata dei "responsabili", i gendarmi del Fiscal compact, e lo ha fatto sulla base di un riformismo radicale e innovativo.

Altro punto di merito: la critica al mandato fiduciario, pilastro della rappresentanza politica liberale. Pensiamo alle belle parole di Perino che, nel chiarire il rapporto tra i No Tav e il M5S ha presentato i tratti del "mandato imperativo" che riguarderà i rappresentanti eletti della Valle.

Rimangono molte ombre che starà ai movimenti illuminare o, eventualmente, mettere in crisi. Cosa significherà coniugare reddito garantito, nuovo welfare e meritocrazia? Intendiamoci, memori dell'esperienza dell'Onda, consapevoli degli effetti del ventennio berlusconiano, riusciamo a cogliere l'ambivalenza della retorica meritocratica che inzuppa la generazione precaria (soprattutto quella dei trenta-quarantenni) e che ben è stata sintetizzata da Casaleggio sul palco di San Giovanni prima del voto: "trasparenza, onestà, competenza".

Ma cogliere l'ambivalenza, a questo punto, non è più ciò che serve, occorre andare oltre, vedere le carte. Ancora: siamo così convinti che la semplificazione o codificazione delle istanze radicali dei movimenti dentro la scena rappresentativa-istituzionale sia di per sé un vantaggio per i movimenti e il conflitto? I movimenti giovanili in questi anni - e ancora i problemi vengono dall'Onda - non sono stati in grado di costruire forme organizzative capaci di durare nel tempo e di essere sufficientemente accessibili, padroneggiabili da nuove figure produttive significativamente frammentate e fragili.

Non stupisce, allora, che il carattere ancora eccessivamente disperso e prototipico delle istituzioni di nuova natura lasci campo libero alla semplificazione elettorale. Come dire: "nelle istituzioni cambieremo il mondo". Che una costituente sia necessaria anche dentro i palazzi di certo non ci sfugge, che questa costituente non possa essere autosufficiente, ma che debba essere, piuttosto, permanentemente condizionata dalle spinte dei movimenti, questa ci sembra la verifica da fare più importante.

E in questo senso concludiamo. Come essere all'altezza della sfida costituente che la discontinuità elettorale propone? Forse mettendo da subito al centro dei nostri sforzi una codificazione non elettorale dei claims della forza-lavoro precaria, del lavoro cognitivo declassato e impoverito, ma anche dei giovanissimi che ormai fuggono dai cicli formativi (che non garantiscono più alcuna mobilità sociale) e soffrono nella disoccupazione.

Un dispositivo post-sindacale (il dibattito su questi temi del movimento spagnole è assai interessante) che, nella semplificazione necessaria, non perda la ricchezza dei corpi e del conflitto, la chiarezza dei contenuti che al merito sostituiscono l'uguaglianza, la solidarietà, la potenza del comune. Altrettanto, perché oggi più che mai è impossibile separare sociale e politico, si tratta di essere parte attiva della transizione costituente che deve investire le istituzioni e la partecipazione democratiche.

Ci ponemmo, anche con altri (Francesco Brancaccio), il problema più di anno fa, indubbiamente i tempi non erano ancora maturi. Il Cigno nero elettorale e l'attuale ingovernabilità rendono possibile riaprire con forza la discussione sulla democrazia del comune in Italia e in Europa, contro lo sfacelo dello Stato-nazione e la barbarie della governance neoliberale.

Il caos sotto il cielo è eccellente se ci sono intelligenza e forza collettive da mettere in gioco, il tifo sugli spalti serve a poco, quando non fa danni.