Vulvodinia e neuropatia del pudendo: patologie invisibilizzate e necessità di un riconoscimento

Intervista a Chiara Natale, attivista, paziente e consigliera del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo

7 / 11 / 2023

Vulvodinia e neuropatia del pudendo rientrano nell’alveo del dolore pelvico cronico (DPC), una sindrome clinica invalidante il cui sintomo principale è il dolore nella zona pelvica o perineale. Nonostante l’abitudine a considerare rara la prevalenza del DPC, secondo le stime attuali almeno una persona assegnata femmina alla nascita (Assigned Female At Birth - AFAB) su sette soffre di vulvodinia. La prevalenza in Europa è del 12-16% per la vulvodinia, dello 0,1% per la neuropatia del pudendo: le percentuali sono decisamente al di fuori del range delle malattie rare stabilito allo 0,05%.

La differenza sostanziale tra le due patologie consiste nel coinvolgimento più profondo delle fibre del nervo pudendo intrappolato nel caso della nevralgia tanto da provocare sintomi algici e disfunzioni dell’intero apparato sessuale e riproduttivo. Data la variabilità nelle manifestazioni sintomatologiche individuali è probabile una considerevole sottostima della diffusione del DPC.

In occasione del convegno organizzato dal Padova Sex Lab Sessualità ai Margini il 6 e il 7 ottobre ho potuto incontrare e intervistare Chiara Natale, attivista, paziente e consigliera del Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo. Durante l’evento in Palazzo Bo Chiara Natale ha raccontato la sua esperienza come paziente e divulgatrice, l’iter iniziato nel 2007 e durato 12 anni per ricevere finalmente la conferma di una diagnosi e intraprendere un percorso di cura.

Purtroppo la sua esperienza è la normalità e non l’eccezione: Il ritardo diagnostico è in media 4,5 anni in Italia, comportando una cronicizzazione dei sintomi e un peggioramento della prognosi. Il conseguimento della diagnosi non è comunque la fine del percorso, bensì l’inizio di un lungo cammino terapeutico in cui sono coinvolte numerose figure professionali: nutrizionist*, osteopat*, fisioterapist*, ginecolog*, urolog*, ostetric*, gastroenterolog*, psicolog*. Oltre alle visite mediche specialistiche il trattamento della patologia quasi sempre prevede una continuità settimanale di sessioni di riabilitazione del pavimento pelvico, l’acquisto di supporti utili alla gestione dei sintomi, il ricorso a integratori molto costosi senza detrazione fiscale tramite tessera sanitaria.

Al momento non è possibile avere esenzioni da parte del Sistema Sanitario Nazionale per reddito, invalidità, e neppure la possibilità di ricevere assistenza tramite la prenotazione in ospedale con un parziale rimborso. Le stime per i costi individuali dell’intero percorso diagnostico e terapeutico sono di 20-50 mila euro per la vulvodinia e possono arrivare fino a 100 mila euro nel caso di intervento chirurgico all’estero per la neuropatia del pudendo. La questione fondamentale diventa allora l’accessibilità alle cure e il Comitato è stato fondato nella primavera del 2021 proprio allo scopo di ottenere il riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti, inserendole nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), garantendo così l’esenzione dalle spese per le correlate prestazioni medico-sanitarie.

Durante l’intervista che le ho fatto, Chiara Natale descrive la suddivisione del Comitato e i diversi gruppi al suo interno dedicati a seconda dei settori di competenza: “È strutturato in questo modo: noi abbiamo una parte scientifica dove ci sono una serie di professionisti e professioniste sanitarie quindi medici, mediche, ostetriche, fisioterapisti e fisioterapiste, psicologi e psicologhe che si occupano da anni di dolore pelvico cronico. La parte medica si occupa di partecipare agli eventi per dare tutte le informazioni medico-scientifiche ma anche per l’elaborazione del dossier scientifico. Poi abbiamo la parte delle associazioni tra cui l’Associazione Italiana Vulvodinia (AIV), AlNPU che sarebbe l’Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo. E poi c’è la parte di pazienti attiviste in cui ognuna si occupa di qualcosa, c’è la parte di comunicazione, la parte politica, la parte di sostegno reciproco, ci occupiamo di tutto in base alle nostre esperienze e competenze”.

L’iter spesso inutile associato a ritardo diagnostico esaspera i costi individuali e anche sociali del DPC in quanto visite, esami, interventi medici inadeguati comportano spese superflue per il SSN. Nel quadro socio-economico attuale la responsabilità della cura, in assenza di un supporto statale, è delegata a enti e professionist* privat*: “Ci sono associazioni che hanno un fondo per chi non può permettersi le cure. Cistite.info sicuramente ha questa opzione e in base all’ISEE poi stabiliscono la cifra. Ci sono alcuni medici che per pazienti che sono in una situazione economica particolare applicano dei prezzi un po’ ridotti, però in questo momento sta al professionista e alla professionista decidere di fare una cosa del genere. Dovrebbe essere garantito ma attualmente non lo è. La fisioterapia una o due volte a settimana è una spesa che devi preventivare.”.

La Proposta di Legge è stata presentata alla camera nel marzo 2022, depositata in senato il mese successivo e firmata “da quasi ogni colore politico”. Purtroppo la proposta approvata è decaduta insieme al governo Draghi. Intanto, il Comitato cerca di perseguire obiettivi a livello regionale: ad oggi sono Campania, Lombardia, Lazio, Liguria, Piemonte, Veneto e la Provincia autonoma di Trento ad aver approvato la mozione per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo.

Al momento dell’intervista Chiara è reduce dalla conferenza stampa in Senato avvenuta l’11 ottobre: “È stato creato e presieduto dalla vicepresidente del senato Maria Domenica Castellone questo Intergruppo parlamentare sui diritti fondamentali della persona, quindi non si tocca soltanto la salute, ma anche l’istruzione, il lavoro, i diritti delle famiglie e tutta una serie di temi. Io, insieme poi ad altre figure, altre associazioni, medici e mediche, professori e professoresse universitari, avvocati e avvocate, ecc., stiamo nella sezione, nel sottogruppo salute e quindi dovremmo collaborare con una serie di parlamentari per sviluppare le criticità e poi attuare delle azioni attraverso emendamenti, proposte di legge. Inoltre sarà data la possibilità anche ai cittadini di partecipare ed è importante anche perché semmai un parlamentare che non ha mai lavorato in un settore sanitario non sa quali sono le reali criticità di quel settore, il problema del pubblico e del privato, delle diagnosi, e tutta una serie di punti interessanti. All’interno ci sono comunque anche persone che soffrono di fibromialgia, endometriosi, perché l’obiettivo è quello di riunire tutto nel grande bacino del dolore pelvico cronico.”.

Ovviamente il riconoscimento del DPC non è un obiettivo sufficiente a garantire l’accesso alle cure. Data la scarsa conoscenza sul tema del personale medico è utopico pensare di rivolgersi al servizio ospedaliero e trovare così specialist* competenti. Il riconoscimento a livello sanitario non è l’unico scopo perseguito dal Comitato: l’Articolo 3 della Proposta di Legge predispone la creazione di una Commissione Nazionale con il compito di emanare le linee guida per redigere i piani diagnostici terapeutici assistenziali (PDTA); l’Articolo 4 prevede la collocazione di almeno un presidio sanitario pubblico per ogni regione per permettere una presa in carico multidisciplinare.

Chiara Natale descrive come “desolante” la situazione delle persone vulvodinia afferenti al SSN: “Attualmente ci sono ancora pochi medici e mediche che conoscono la vulvodinia, la sanno diagnosticare e la sanno curare. Sia nel pubblico che nel privato hai proprio difficoltà a trovare una figura che ti sappia aiutare realmente. […] Nel pubblico ci sono veramente pochissimi medici e mediche che riescono poi a curarti, inoltre la paziente deve essere seguita, anche per quanto riguarda la riabilitazione del pavimento pelvico non è che vai una volta al mese dal ginecologo, ci sono tutta una serie di interventi da fare… per cui la paziente ha bisogno di essere accompagnata nel percorso di cura. […] L’obiettivo è quello di creare una terapia che sia multidisciplinare e non eccessivamente dispendiosa per la paziente. Perché ovviamente, nella stragrande maggioranza dei casi la paziente si deve pagare tutto da sé, anche i vari specialisti e specialiste, senza poi considerare tutta la parte di medicinali e di integratori.”. L’impatto sul bilancio economico individuale diventa notevole, soprattutto nel caso di disoccupazione: alcune persone sono costrette ad abbandonare il lavoro quando le condizioni diventano insostenibili a causa della malattia e non è possibile offrire alternative utili come lo smartworking. A questo proposito l’Articolo 8 riguarda la necessità di disporre di facilitazioni o modalità di lavoro agevoli nel caso di diagnosi di DPC per evitare così licenziamenti o dimissioni forzate.

Di fondamentale importanza è la raccolta di dati epidemiologici finalizzati alla ricerca: “Non essendo (la vulvodinia) riconosciuta, tu non esisti. La difficoltà che comunque abbiamo noi è anche quella di avere una lista di informazioni sul piano nazionale. Se non è riconosciuta, se non esiste, anche i dati che abbiamo sul numero delle pazienti, tutta una serie di dati anche clinici, non ci sono materialmente. Perché altra cosa è invece quando la malattia ha un codice tu puoi tracciare e anche calcolare in maniera molto più precisa quante pazienti in Italia soffrono di vulvodinia. Quello che c’è sono delle stime ma secondo me ovviamente sono sottovalutate perché in realtà ci sono tante donne che ancora hanno la vulvodinia ma non è stata loro diagnosticata, oppure hanno avuto per un periodo di tempo la vulvodinia ma senza sapere che quella in realtà era una vulvodinia.”. La vulvodinia e la neuropatia del pudendo non sono codificate come malattie e mancano quindi le informazioni sulla prevalenza della diagnosi e dell’efficacia terapeutica, fondamentali per approfondire la comprensione dell’eziologia e quindi i fattori predisponenti e precipitanti che concorrono alla determinazione della sindrome cronica ma anche studi di follow-up sui risultati a lungo termine degli interventi proposti.

Il dolore neuropatico nell’area pelvica comporta l’abbassamento della soglia di sensibilità con la conseguente percezione di qualsiasi stimolo come doloroso: il semplice tocco può risultare insopportabile, diventano impraticabili visite interne e i rapporti sessuali penetrativi intollerabili. Spesso i/le pazienti hanno difficoltà a indossare pantaloni e biancheria intimi, svolgere attività sportiva, stare sedut*, data la compressione del nervo pudendo esercitata dal peso corporeo, con tutto il corollario di problematiche urologiche e ginecologiche associate a una situazione muscolare compromessa. La vulvodinia è stata inoltre riconosciuta come malattia dall’Organizzazione Mondale della Sanità (OMS) tramite l’ultima revisione dell’International Classification of Diseases 11 (ICD-11) entrato in vigore nel 2022. La patologia è inserita nella categoria Dolore correlato a vulva, vagina o pavimento pelvico. Il DPC influisce negativamente sulla qualità di vita, sulla sfera lavorativa, psicologica e sessuale della persona, allora come è possibile metterne in dubbio o addirittura negarne l’esistenza? La difficoltà a ricevere diagnosi e cure adeguate è dovuta alla scarsa formazione di medic* specializzat* unita alla mancanza di ascolto delle problematiche dei/delle pazient*.

L’incapacità empatica di molt* specialist* riduce ogni possibilità di accesso alla comprensione dell’Altro, irrigidendosi in uno schema di conoscenze precostituite insensibile a qualsiasi modifica. All’interno del Comitato è possibile trovare figure competenti in materia: “È diverso diciamo quando hai un o una professionista che realmente capisce quello che può passare un paziente, una paziente affetta da una malattia cronica.”. Si tratta però di un problema sistematico e non riconducibile all’ego del/della singol* professionista. Infatti il retaggio psicoanalitico freudiano e misogino traspare dai pregiudizi e dagli atteggiamenti del personale sanitario volti a invalidare la sofferenza come espressione di un disturbo isterico, appunto prerogativa delle persone di sesso femminile. Intrinsecamente legata è l’impostazione patriarcale ancora diffusa nella prassi medica ed associata alla svalutazione del dolore, soprattutto femminile, in un’ottica di normalizzazione dei sintomi e di invalidazione della patologia come psicosomatica e quindi fittizia.

Sono esplicative in questo senso le parole di Chiara: “Non è un caso che determinate malattie con incidenza importante, perché 15% della popolazione femminile è un dato altissimo, non vengano proprio studiate. In primis perché noi siamo ancora a capire se si chiama il clitoride o la clitoride e molti medici e mediche ancora non sanno che il clitoride ha una radice, si ha molta difficoltà ancora oggi a spiegare l’orgasmo femminile. Essendo poi la vulvodinia una malattia che non ti vieta di procreare, non ti rende sterile, e quindi certo avrai dolore durante i rapporti e non riuscirai ad avere rapporti ma volendo se ti sforzi lo puoi anche fare… se invece avesse intaccato gli organi riproduttivi sarebbe stata valutata in maniera completamente diversa. È una malattia che non si vede perché a livello visivo non c’è nulla che non vada a parte dei rossori, a livello di analisi molto spesso ci sono tamponi negativi. Non vedo niente, tu per me sei sana e quindi evidentemente è un problema emotivo, di stress, somatizzazione”.

Così, la consapevolezza limitata si traduce in un approccio paternalistico volto a persuadere il/la paziente dell’inesistenza della malattia tramite restituzioni offensive, colpevolizzanti e sessiste con esiti traumatizzanti: “Ci sono pazienti che ovviamente con questo trauma non vanno più a farsi i controlli e questo è un problema!”. Questa cristallizzazione del pensiero produce invisibilizzazione del DPC e l’ignoranza così diffusa nella popolazione e tra i/le professionist* del settore influenza poi l’approccio alla malattia con la mancanza di riconoscimento a livello sociale, legislativo e sanitario. Solo nel momento in cui adegueremo la mentalità collettiva alle nuove scoperte scientifiche e saremo dispost* a sganciarci da una medicina androcentrica e patriarcale sarà possibile un cambiamento significativo in una direzione di riconoscimento, migliore accessibilità alle cure ed efficacia dei trattamenti.

Link alla Proposta di Legge.