Congo - Bilancio di un massacro

2 / 10 / 2010

Il primo ottobre l'Alto Commissariato dell'ONU ha reso noto il rapporto si massacri compiuti in  Repubblica democratica del Congo tra il marzo 1993 e il giugno del 2003. 

Un rapporto che traccia il bilancio tragico di questo pezzo d'Africa.

Pubblichiamo i commenti da Peace Reporter e Nigrizia

Tratto da:

Congo, l'Onu rende pubblico il rapporto choc

Sul tavolo delle Nazioni Unite è arrivato il rapporto sui massacri commessi in Congo tra il 1993 ed il 2003. Un documento che potrebbe dire chi potrebbe essere chiamato a rispondere dei crimini di guerra e contro l'umanità commessi nello stato africano; questi i due capi d'imputazione espressamente menzionati nel volume e distillati in oltre 600 episodi di violenza, ricostruiti meticolosamente, alcuni dei quali mai rivelati prima.

Rapporto choc. Il dossier è frutto di una meticolosa indagine di due anni sul campo condotta dagli investigatori dell'Unhchr (l'Alto Commissariato per i diritti umani). Monumentale e agghicciante. Questo, in breve, il dossier che, per la prima volta, opera una ricostruzione della violenza che sconvolse l'ex Zaire (Repubblica Democratica del Congo dal 1997). Una mappatura della ferocia e, prima ancora, delle responsabilità politiche a monte. Perché la carneficina si compì durante quella che è stata definita la "Guerra Mondiale africana". Con il fragile equilibrio di un Congo messo in crisi dal flusso di profughi provenienti dal vicino Ruanda, insanguinato dal genocidio del 1994, cominciarono a giocare i vicini, interessati soprattutto al suo inestimabile tesoro minerario, prima muovendo delle proprie pedine e poi intervenendo direttamente con i propri eserciti. Vi si riversarono soldati di Angola, Ciad, Ruanda e Uganda, ai quali si affiancò un'orda di milizie tribali e criminali: protagonisti di un massacro da oltre cinque milioni di morti. Ed è il timore delle conseguenze politiche che aveva spinto alcuni a gridare allo scandalo, quando ad agosto voci sul rapporto avevano cominciato a circolare. Chi? Il Ruanda e poi anche l'Uganda, ovvero i principali imputati, i Paesi che avrebbero dovuto fare i conti con un'accusa infamante: quella di genocidio. Ai loro eserciti e ai loro vertici politici viene attribuita la pianificazione e l'esecuzione di un piano genocidario ai danni degli Hutu. Accuse ben circostanziate, con date, luoghi e numero delle vittime. Ad agosto, infatti, insieme alle indiscrezioni sul dossier, aveva cominciato a circolare anche una copia provvisoria dello stesso: 505 pagine che fanno rabbrividire e in cui ampi capitoli sono dedicati proprio al Rwandan Patriotic Army e all'Ugandan People's Defence Force.

Verità o real politik? Dal rapporto emerge una verità inquietante, finora sospettata ma mai dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, e cioè che in Congo si compì l'atto secondo del genocidio ruandese del 1994, ma questa volta a parti invertite, con i Tutsi nel ruolo dei carnefici. Dal testo, la figura quasi mitica di Kagame (un Tutsi) esce a pezzi: l'uomo del miracolo ruandese, emerge come un leader che ricostruiva il Ruanda mentre contribuiva a distruggere il Congo, saccheggiandone le miniere di oro e di coltan, mentre i suoi soldati si dedicavano ad una sistematica pulizia etnica ai danni degli Hutu. Non soltanto delle milizie responsabili del bagno di sangue in Ruanda ma di qualsiasi persona appartenente a quell'etnia, a prescindere dall'età, dalle condizioni fisiche e dalla nazionalità. A dar man forte ai ruandesi, però, c'erano le forze ugandesi. Per questo Kagame e Yoweri Museveni, compagni nella formazione guerrigliera del National Resistance Army e oggi uomini forti in una regione ancora instabile, non hanno esitato ad attaccare furiosamente il dossier e i suoi estensori, accusandoli di ogni nefandezza. Quando le voci sul report si erano diffuse, Kagame aveva minacciato di ritirare i suoi soldati dalle missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (in primis da quella in Darfur) ed altrettanto aveva fatto l'Uganda, il vero pilastro della missione Amisom in Somalia. Ban Ki-moon li aveva rabboniti, spiegando che non condivideva il documento e che comunque si trattava di una versione provvisoria. E' infatti anche questo un punto centrale: quanto sarà stata annacquata quella bozza? Lo scopriremo tra poco. Fonti ben informate fanno capire che siano state limate le frasi più dure e che il termine genocidio e gli aggettivi con la stessa radice siano stati usati con più parsimonia ma che il senso del testo sia rimasto lo stesso. Non avrebbero potuto modificarlo più di tanto, visto che una copia era già stata diffusa. Probabilmente, era proprio questo l'obiettivo di chi lo aveva fatto filtrare: impedire che le ragioni diplomatiche e di real politik spuntassero i capitoli e le rivelazioni più compromettenti e rendessero vana l'attesa di chi si aspetta di conoscere la verità sul dramma congolese.

Alberto Tundo

Rd Congo, 600 pagine di orrore
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Il solo fatto di pubblicare questo rapporto (quasi 600 pagine che descrivono 617 violazioni gravi dei diritti umani, con decine di migliaia di morti!) è molto importante perché è praticamente la prima volta che in un rapporto dell'Onu vien fatta un'analisi così completa e documentata di avvenimenti svoltisi nel volgere di 10 anni.

I dettagli lasciano incredibilmente scioccati tanto è grande l'orrore e la violenza denunciati. Due paesi - Rwanda e Uganda - sono soprattutto indicati a dito come complici dell'esercito di Laurent Désiré Kabila (che nel 1977 sconfisse Mobutu, l'allora presidente dello Zaire, arrivando a Kinshasa nel maggio di quell'anno) e fautori di stupri collettivi sulle donne, violenze inaudite (donne sventrate...), torture, mutilazioni, assassini, reclutamento e sfruttamento di bambini-soldato, crimini di guerra...

Rwanda e Uganda hanno entrambi minacciato di ritirare le loro truppe dalle operazioni di mantenimento della pace in Darfur e Somalia. A reagire più violentemente è stato il Rwanda perché il rapporto mette in causa le forze armate rwandesi le cui esazioni nell'est della Rd Congo tra il 1996 e il 1998 sono qualificate di «crimini contro l'umanità, crimini di guerra, se non addirittura di genocidio». Usare il termine "genocidio" per quanto avvenuto in Rd Congo ha fatto imbufalire le autorità di Kigali, perché per loro il genocidio è solo e soltanto quello dei tutsi nel 1994 (in 100 giorni vennero ammazzate 800mila persone, tutsi e hutu moderati). Hanno liquidato il rapporto come «cattivo e pericoloso» oltreché «malevolo, scioccante e ridicolo».

Scopo di ogni rapporto dell'Onu, e di questo in particolare, non è quello di attribuire responsabilità individuali o di accusare un gruppo piuttosto che un altro. Suo scopo è solo quello di riportare i fatti. E i fatti sono terrificanti. Ma "la questione" non sarà mai risolta se non verrà stabilito un tribunale competente, composto di africani-congolesi e stranieri, incaricato di studiare caso per caso.

Sul documento è intervenuta con un comunicato anche Amnesty International che lo giudica «un primo passo avanti significativo ma che occorrono azioni concrete per assicurare alla giustizia i responsabili».



Salil Shetty, segretario generale di Amnestyha dichiarato che «Il ciclo di violenza e di abusi terminerà solo se i responsabili di crimini di diritto internazionale saranno chiamati a risponderne. La pubblicazione di questo rapporto dovrebbe essere solo il primo passo in questa direzione, e non l'ultimo».