Anzitutto un allarme.
Le tendopoli stanno sbocciando ovunque in Israele. Un movimento sociale
di protesta sta prendendo slancio e tra non molto potrebbe mettere in
pericolo il governo di destra. A quel punto si manifesterà una
tentazione, che potrebbe rivelarsi irresistibile: quella di riscaldare
le frontiere. Cominciare una guerricciuola. Richiamare la gioventù
d'Israele, gli stessi ragazzi che ora stanno presidiando le tende, ad
andare a difendere la patria. Niente di più facile. Una piccola
provocazione, una pattuglia che attraversa la frontiera «per prevenire
il lancio di un razzo», uno scontro a fuoco, una salva di razzi - e
voilà, una guerra. Fine della protesta.
Il mese prossimo i
palestinesi vogliono chiedere alle Nazioni unite il riconoscimento dello
stato di Palestina. I nostri politici e generali stanno salmodiando
all'unisono che ciò causerà una crisi - i palestinesi dei Territori
occupati potrebbero sollevarsi contro l'occupazione, ne potrebbero
nascere manifestazioni violente, l'esercito sarebbe costretto a sparare -
e voilà, una guerra. Fine della protesta.
Tre settimane fa, una
mattina sono stato intervistato da un giornalista olandese che mi ha
chiesto: «Lei sta descrivendo una situazione orribile. L'estrema destra
controlla la Knesset (il parlamento israeliano ndt) e sta approvando
abominevoli leggi antidemocratiche. La gente è indifferente e apatica.
Non c'è opposizione degna di questo nome. E tuttavia lei trasmette uno
spirito di ottimismo. Com'è possibile?».
Gli ho risposto che ho fiducia
nel popolo d'Israele. Contrariamente alle apparenze, noi siamo gente
sana. A un certo punto, in qualche posto, nascerà un nuovo movimento che
cambierà la situazione. Potrà succedere tra una settimana, un mese, un
anno. Ma succederà.
Quello stesso giorno, poche ore più tardi, una
ragazza di nome Daphne Liff, con un improbabile cappello da uomo
poggiato sulla sua chioma fluente, ha detto a se stessa: «Basta!». Era
stata sfrattata dalla sua padrona di casa perché non riusciva a pagare
l'affitto. Così ha piantato una tenda lungo il boulevard Rothschild, un
viale lungo e alberato nel centro di Tel Aviv. La notizia ha viaggiato
su Facebook e, in un'ora, sono spuntate decine di tende. Nel giro di una
settimana sono arrivate a 400, allineate su una doppia fila lunga oltre
un chilometro.
Tendopoli simili sono sbocciate a Gerusalemme, Haifa e
decine di altre città minori. Il sabato successivo, decine di migliaia
di persone hanno partecipato a cortei di protesta a Tel Aviv e altrove.
Il 30 luglio erano più di 150mila.
Ormai questo è diventato il centro
della vita in Israele. La tendopoli di boulevard Rothschild ha assunto
una sua propria vita, una via di mezzo tra piazza Tahrir e Woodstock,
con un tocco di Hyde Park corner a darle maggiore armonia. L'umore è
incredibilmente ottimistico. Masse di persone vengono a visitare e
tornano a casa piene d'entusiasmo e di speranza. Tutti sentono che sta
succedendo qualcosa di enorme importanza. Vedendo le tende mi sono
ricordato delle parole di Balaam, che fu inviato dal re di Moab a
maledire i figli d'Israele nel deserto e invece esclamò: «Quanto
ammirevoli sono le tue tende o Giacobbe e quanto ammirevoli i tuoi
tabernacoli Israele!».
Tutto è iniziato in una remota cittadina della
Tunisia, quando un venditore ambulante senza licenza è stato arrestato
da una poliziotta. Pare che nell'alterco che ne è seguito la donna lo
abbia colpito al volto, un'umiliazione terribile per un uomo tunisino.
Che subito dopo si è dato fuoco. Quello che è successo dopo è storia: la
rivoluzione in Tunisia, la caduta del regime in Egitto, rivolte in
tutto il Medio Oriente.
Il governo israeliano ha assistito a tutto
ciò con crescente preoccupazione, ma non pensava che potessero
scaturirne conseguenze per lo stesso Israele. Era difficile immaginare
che la società israeliana, col suo radicato disprezzo per gli arabi,
avrebbe seguito il loro esempio.
E invece è proprio quello che è successo.
La gente in strada ha discusso con sempre più ammirazione della rivolta
araba, perché quest'ultima ha dimostrato che le persone che si muovono
assieme possono osare battersi contro leader molto più spaventosi del
nostro confuso Binyamin Netanyahu. Sulle tende alcuni dei poster più
popolari sono: «Rothschild corner Tahrir» e, in una rima ebraica,
«Tahrir, non solo al Cahir», dove Cahir è la versione ebraica di
al-Cahira, nome arabo del Cairo. E anche: «Mubarak, Assad, Netanyahu».
A
piazza Tahrir, lo slogan dominante era: «Il popolo vuole rovesciare il
regime». Per una consapevole emulazione, quello delle tendopoli è: «Il
popolo vuole giustizia sociale». Ma chi è questa gente? Cosa vuole
esattamente?
Tutto è cominciato con una richiesta di «case a prezzi
ragionevoli». Gli affitti a Tel Aviv, Gerusalemme e altrove sono
estremamente alti, dopo che per anni i governi hanno ignorato il
problema. Ma la protesta ha presto recepito altri temi: i prezzi sempre
più alti dei generi alimentari e della benzina, i salari bassi. Gli
stipendi ridicolmente miseri di medici e insegnanti, il peggioramento
dei servizi scolastici e di quelli sanitari. C'è la sensazione diffusa
che 18 magnati controllino tutto, inclusi i politici (i politici che
hanno osato farsi vedere nelle tendopoli sono stati cacciati). Avrebbero
potuto citare un detto americano: «La democrazia dev'essere qualcosa di
più che due lupi e una pecora che votano su che cosa mangiare a cena».
Ce ne si può fare un'idea
da una selezione delle parole d'ordine: Vogliamo lo stato sociale!
Combattiamo per la casa! Giustizia non elemosina! Se il governo è contro
il popolo, il popolo è contro il governo! Bibi (Netanyahu, ndt),
questo non è il Congresso statunitense, non ci comprerai con la tua
vuota retorica! Se non ti unisci alla nostra guerra, noi non
combatteremo le tue guerre! Ridateci indietro lo stato! Tre partner con
tre stipendi non possono permettersi tre stanze! La risposta alle
privatizzazioni: rivoluzione! Siamo stati schiavi del faraone in Egitto,
siamo schiavi di Bibi in Israele! Non ho un'altra patria! Bibi torna a
casa, ti pagheremo noi la benzina! Abbattere lo sporco capitalismo!
Siamo concreti, chiediamo l'impossibile!
Cosa manca in questa
quantità di slogan? Certo: l'occupazione militare, gli insediamenti,
l'enorme spesa per gli armamenti. Ma si tratta di un'omissione
intenzionale. Gli organizzatori, ragazzi e, soprattutto, ragazze
sconosciuti, sono molto determinati a non essere bollati come «di
sinistra». Sanno che sollevare il problema dell'occupazione militare
regalerebbe a Netanyahu un'arma potente, dividerebbe chi sta nelle tende
e farebbe deragliare le proteste. Noi del movimento per la pace
l'abbiamo capito e rispettiamo questo punto di vista. Tutti noi ci
stiamo strenuamente auto-moderando, in modo che Netanyahu non riesca a
marginalizzare il movimento e dipingerlo come un complotto per
rovesciare il governo di destra.
Come ho scritto in un articolo su Haaretz:
non c'è alcun bisogno di fare pressione sui manifestanti. Al momento
giusto, arriveranno alla conclusione che i soldi per le importanti
riforme per le quali si battono possono arrivare soltanto dal blocco
degli insediamenti e da un taglio di centinaia di miliardi all'enorme
budget militare. E ciò è possibile solo in tempo di pace. Per aiutarli,
noi abbiamo pubblicato un grande cartello che dice: «Semplice: soldi per
gli insediamenti oppure per le case, i servizi sanitari e
l'educazione». Voltaire diceva che «l'arte di governare consiste nel
prendere la maggior quantità di soldi possibile da una classe per darli
all'altra». Questo governo prende i soldi dalle persone oneste per
regalarli ai coloni.
Ma chi sono loro, questi manifestanti entusiasti
che sembrano spuntati dal nulla? Sono la giovane generazione della
classe media, che porta a casa salari nella media nazionale che «non
permettono di arrivare alla fine del mese». Madri che non possono
lavorare perché non hanno alcun posto dove lasciare i figli. Studenti
universitari che non riescono a ottenere una stanza nei dormitori e non
possono permettersene una in affitto in città. E specialmente giovani
che vogliono sposarsi ma non riescono ad acquistare un appartamento,
nemmeno col sostegno dei genitori. Su una tenda c'era scritto: «Anche
questa è stata comprata da mamma e papà». Tutto ciò accade in
un'economia che va a gonfie vele, a cui sono state risparmiate le
sofferenze della crisi economica mondiale e che sfoggia un invidiabile
tasso di disoccupazione di appena il 5%.
Se insistete a chiederglielo,
molti dei manifestanti si dichiarano «socialdemocratici». Rappresentano
l'opposto del Tea party negli Stati uniti: vogliono lo stato sociale,
vedono nelle privatizzazioni la causa di molti dei loro mali, vogliono
che il governo agisca. Sebbene finora in Israele i termini «sinistra» e
«destra» siano stati largamente identificati con «pace» e «guerra», che i
dimostranti vogliano ammetterlo o meno, l'essenza delle loro richieste e
dei loro comportamenti è quella classica della sinistra (termine creato
durante la Rivoluzione francese, perché i fautori di questi ideali
nell'Assemblea nazionale sedevano a sinistra del palco riservato a chi
parlava).
Dove porterà questo movimento? Nessuno può dirlo. Quando
gli fu chiesto dell'impatto della Rivoluzione francese, (l'ex capo del
governo maoista) Zhou Enlai rispose: «Troppo presto per valutarlo». Qui
stiamo assistendo a eventi ancora in corso, forse appena all'inizio.
Ma
che hanno già prodotto un enorme cambiamento. Da settimane il pubblico e
i mass media hanno smesso di parlare di confini e della bomba iraniana e
delle questioni legate alla sicurezza. Ora si discute quasi
esclusivamente della situazione sociale, dei salari minimi,
dell'ingiustizia della tassazione indiretta, della crisi degli alloggi.
Sotto pressione, la leadership amorfa della protesta ha stilato una
lista di richieste. Tra cui: che il governo costruisca case da dare in
affitto, l'aumento delle tasse per i ricchi e le multinazionali,
educazione gratuita a partire dai tre mesi di vita, un aumento dei
salari per fisici, poliziotti e pompieri, classi con non più di 21
alunni, fine dei monopoli controllati da pochi magnati e così via.
E ora? Ci sono diversi sviluppi possibili, sia positivi, sia negativi.Netanyahu può provare a comprarsi la protesta accordando alcune concessioni minori - qualche miliardo qui, qualche miliardo lì. Questo metterebbe i manifestanti davanti alla scelta del ragazzo indiano nel film «The millionaire»: prendere i soldi e lasciare o rischiare tutto rispondendo ancora a un'altra domanda.
Cioè: il movimento può continuare a rafforzarsi e ottenere grandi cambiamenti, come spostare il peso dalla tassazione indiretta a quella diretta. Alcuni inguaribili ottimisti (tra i quali io) possono addirittura sognare la nascita di un autentico nuovo partito che riempia il vuoto a sinistra dello spettro politico. Ma, avendo iniziato con un allarme, devo concludere con un altro: questo movimento ha suscitato speranze immense. Se fallisce, può lasciarsi dietro un'atmosfera di depressione e scoramento. Un umore che spingerebbe quelli che possono a cercare altrove una vita migliore.
tratto dal IlManifesto