I paradossi di Kobane

5 / 12 / 2014

Oggi non racconteremo qualcosa di bello. Abbiamo scelto di essere diretti e di non fare tanti giri di parole ma dire fuori dai denti quello che vediamo e quello che pensiamo. Vogliamo parlavi di paradossi e di ingiustizie, grandi e piccole, che si ricollegano alla situazione sul campo a Kobane e anche alla situazione internazionale che ruota attorno a Kobane.

In mattina ci siamo diretti a est del villaggio di Mehser per visitare alcuni villaggi a ridosso del filo spinato del confine turco-siriano. Dalla parte siriana, la zona è totalmente controllata dalle forze dell'Isis e gli abitanti sono stati costretti a fuggire oltre confine abbandonando centinaia di mezzi di trasporto lungo le strade sterrate, perché le autorità turche non hanno dato loro il permesso di entrare con gli automezzi. La presenza dell'esercito turco è massiccia, con torri di osservazione, blindati e posti di controllo. A Zehvan , dopo aver fatto alcune foto ai reticolati e alle reti di confine siamo stati avvicinati da un soldato turco che con toni minacciosi ci ha intimati di cancellarle, prendendo direttamente dalle nostre mani la fotocamera per controllare. Nel frattempo, dall'altra parte del confine, a poche centinaia di metri, abbiamo visto distintamente dei miliziani dell'Isis passare in moto indisturbati diretti al villaggio di Kikan che usano come base d'appoggio. Questo primo paradosso ci fa pensare, e dire apertamente che all'esercito turco fa più paura una fotografia delle reti di confine che la presenza dell'Isis dall'altra parte. Gli stessi abitanti del villaggio hanno dichiarato che preferirebbero che la coalizione bombardasse le loro case, ormai parte delle retrovie dello Stato Islamico, piuttosto che vederle usate dai miliziani.

Sempre in mattinata siamo tornati sulla collina di Altintepe che fronteggia Kobane, per avere una più chiara idea di cosa stesse succedendo in città, vista la splendida giornata di sole. Dopo aver passato l'immancabile check-point dell'esercito turco con tanto di esibizione di passaporti e pass-stampa, abbiamo trovato una troupe di Al Jazeera che trasmetteva in diretta un servizio su Kobane. E qui arriva il secondo paradosso della giornata: il reporter ha concluso il servizio dicendo che la situazione sul campo non migliorerà se la coalizione non deciderà di mettere “boots on the ground”, letteralmente stivali sul terreno, cioè inviare truppe di terra. Noi ci chiediamo come possa un network come Al Jazeera, di proprietà dell'emiro del Qatar Al-Thani, parlare di intervento o di soluzione del conflitto quando egli stesso ha finanziato e continua a finanziare apertamente l'Isis.

Un altro paradosso di questa giornata ci ha colpiti pochi minuti dopo, sempre sulla collina, quando un bombardiere della coalizione ha compiuto un raid nella parte sud della città. Sappiamo che i raid si concentrano su obiettivi in movimento e quasi mai su edifici e postazioni, quindi il paradosso sta nel fatto che un aereo americano bombardi un carro armato americano, rubato dall'Isis durante la disfatta dell'esercito irakeno a Mosul. Si chiude così un cerchio che comincia con la decennale politica fallimentare di Bush in Iraq e si conclude con l'immobilismo dei paesi occidentali sulla questione siriana, tanto che alcuni curdi si ritrovano a sperare in Bashar Al-Assad piuttosto di soccombere allo Stato Islamico.

Come postilla vorremo anche criticare apertamente chi, dalla sua comoda sedia e nel suo comodo ufficio di redazione, ci parla di Kobane come fenomeno di twitter e di come sia fiera la resistenza dello Ypg/Ypj, di come sia cattiva la Turchia e di come invece sia brava la coalizione, senza mai aver stretto una mano, bevuto un çay o essersi fermato a chiacchierare con le persone che questa guerra la stanno vivendo ogni giorno.

Marco e Paola, Centri Sociali del Nord-Est

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