Il vento gira, sale la radioattività: fuga dalla città assediata dal terrore nucleare. Negozi vuoti, aerei deviati, ambasciate e aziende iniziano i piani d'evacuazione

Il sole nero sopra Tokyo

16 / 3 / 2011

Alle sei di mattina di martedì, un altro reattore dell'impianto nucleare di Fukushima esplode. Così le laconiche agenzie locali: «Secondo il ministero dell'economia, alle 6,10 si è sentito il rumore di un'esplosione presso il secondo reattore del primo impianto di Fukushima». Punto. Quello che una persona comune senza alcuna nozione di fisica nucleare può intendere da questa breve frase è solo che c'è qualcosa che non va.

Il vento è cambiato, e insieme al vento arriva la paura. Dalla mattina le correnti spirano verso sud, dice l'Agenzia metereologica giapponese. Carica di particelle radioattive, l'aria viene spinta verso la megalopoli di 13 milioni di abitanti. Arriva un secondo flash d'agenzia: il livello di radiazioni nella prefettura di Ibaraki (a sud di Fukushima e a circa 150 kilometri da Tokyo) è aumentato «sensibilmente». A Tokyo la radioattività «è dieci volte superiore alla norma».

Alle 6 c'è l'esplosione, poco dopo Ibaraki è in allarme... Ci vuol poco a fare i conti: qualche ora e le radiazioni saranno sulla capitale. E infatti non tardano a arrivare i comunicati ufficiali. Chi si fida del governo, e chi deve, resta. Svuotando i supermercati per affrontare l'assedio nucleare, e i marciapiedi per tapparsi in casa, mettendosi in coda per la preziosissima benzina. Nell'incertezza più assoluta, chi può prende bagagli e famiglie e salta sul primo shinkansen, il supertreno diretto a sud.

Molti sì, ma meno del previsto. Mentre i lavoratori sono andati a lavorare come ogni giorno, sono stranieri e genitori con bambini piccoli ad allontanarsi dalla capitale. «Per quanto dicano che le radiazioni non causino veri problemi di salute agli adulti, non si può mai sapere che effetto può avere su un bambino». Masako Haba, appena ha saputo del rischio radiazioni, si è messa in fuga con la figlia da Tsukuba (la prefettura cuscinetto tra Tokyo e Ibaraki). Munite di mascherina protettiva, mamma e figlia sono dirette dai nonni a Gifu. «Nessuno riesce a capire cosa succede - racconta Haba - ma perché rischiare? Chi lo sa quando la situazione ritornerà alla normalità».

Sempre più ambasciate stanno invitando le persone a rientrare nel proprio paese. Anche l'ambasciata italiana a Tokyo si è unita al coro e uno dei messaggi inviati agli italiani residenti in Giappone diceva: «Per il momento raccomandiamo di mantenere la calma e si restare possibilmente in ambienti chiusi». Il ritorno in patria viene vivamente consigliato. L'unico problema è che le compagnie di bandiera non volano più o propongono biglietti che in molti casi superano i 2.500 euro, prezzi tre volte superiori a quelli «normali». La tedesca Lufthansa ha deviato a Osaka i suoi voli da e per Tokyo, cambiando equipaggio a Seul per evitare di farlo pernottare in Giappone. Air France-Klm ha spostato tutti gli impiegati da Tokyo a Osaka. Air China e la taiwanese Eva hanno proprio cancellato i loro voli.

Molti gruppi stranieri hanno lanciato piani di evacuazione. Le aziende di tecnologia tedesche Sap e Infiniteon stanno spostando lo staff nel sud del paese, lontano dalla minaccia radioattiva. Altri giganti europei e americani si tengono pronti: banche come Ubs, Deutsche Bank, Bnp, Societe Generale, costruttori come Volvo e Peugeot (che ha offerto a 230 impiegati la possibilità di tornare a casa). Il fabbricante di pneumatici Continental ha evacuato 100 impiegati non giapponesi, e 400 giapponesi si prepara a spedirli - ironia della storia - a Hiroshima, considerata sicura.

Continue scosse di assestamento, possibile rischio radiazioni e scarsità di cibo e acqua dovuto a panico da isolamento e black out controllati: questo è quello da cui chi può si allontana.

Una volta scesi a Osaka, a sole tre ore di distanza dalla capitale, l'atmosfera è visibilmente diversa. Niente razionamento energetico, niente scaffali svuotati. A Umeda, uno dei quartieri centrali della città e centro della vita notturna, gli alberi sono illuminati come se fosse Natale. Naoki Shimada, cameriere ad un ristorante di okonomiyaki (il piatto tipico di Osaka), dice che la volontà di risparmiare corrente ci sarebbe ma «sono i padroni dei negozi della zona che non vogliono». A circa 500 chilometri dalla capitale al buio, la seconda città più ricca del Giappone si illumina a festa di neon lampeggianti.

«Quello che sta succedendo al nord è sentito come lontano, a Osaka nessuno ha mai avuto esperienza di un forte terremoto», dice Hiroshi Miki, che durante il violento terremoto di Kobe nel 1995 era incaricato di gestire la logistica dei soccorsi e che ora dirige una clinica. Al contrario, la vicina cittadina di Kobe, che fu rasa al suolo da un sisma di 7,2 gradi della scala Richter - circa due in meno rispetto a quello del Tohoku - è stata la prima a fornire aiuti e volontari per aiutare nei soccorsi.

Circa dieci minuti dopo aver incontrato il dottor Miki, una scossa di assestamento di intensità 6 ha fatto tremare anche Osaka, proprio quella che doveva essere l'area del minimo rischio.

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