La nuova Bolivia di Arce tra conflitti, estrattivismo e voglia di rinnovamento

Intervista a Huáscar Salazar Lohman, ricercatore del Centro de Estudios Populares di Cochabamba.

6 / 12 / 2022

A due anni dalla vittoria alle elezioni, nubi scure aleggiano sul governo di Luis Arce Catacora, che sta affrontando forse uno dei periodi più critici del suo mandato, coinvolto in un conflitto interno al MAS e al tempo stesso attaccato dalla destra fascista di Santa Cruz e dalle organizzazioni di base indigene, stanche della retorica “pachamamista” che si tramuta in una costante e gravissima aggressione alle popolazioni indigene e ai loro territori.

Conflitti che, ancora una volta, hanno una narrazione polarizzante, dove esistono solo due opzioni, quella progressista del MAS e quella della destra fascista e radicale. Come avvenuto nel 2019 durante la crisi politica che ha portato alla caduta di Evo Morales e all’instaurazione del governo ad interim di Jeanine Añez, questa narrazione nasconde risvolti politici e gravi conseguenze sociali.

In questa intervista, Huáscar Salazar Lohman, ricercatore del CEESP (Centro de Estudios Populares) e autore di diversi volumi sulla situazione politica e sociale in Bolivia, tra cui “Se han adueñado del proceso de lucha”, racconta questi risvolti nascosti dietro alla tesi della polarizzazione mostrando la fotografia di un Paese differente, in tumulto, dove esiste non solo uno Stato plurinazionale ma anche una pluralità di voci che non è disposta a stare in silenzio ed essere considerata una pedina, dove i giochi di potere non sono solo tra destra e sinistra, ma anche all’interno dello stesso partito di governo, il MAS, dove le istanze di rinnovamento dentro al Movimento al Socialismo sono frenate da vecchi caudillos incapaci di mettersi da parte.

A poco meno di due anni dal ritorno al potere del MAS con Arce, il paese sta vivendo una fase di forte tensione sociale e politica. Partendo proprio dal MAS, quello che trapela è che dentro al movimento ci sarebbero due correnti in conflitto tra loro, quella legata al vecchio leader Evo Morales e quella del nuovo corso guidato da Luis Arce e dal suo vice David Choquehuanca. Ci puoi spiegare cosa sta accadendo?

«Partiamo da un presupposto. Dopo la crisi politica del 2019 che ha portato alla caduta e alla fuga di Evo Morales, si è arrivati alle elezioni del 2020 dove Luis Arce Catacora è stato candidato a presidente in coppia con David Choquehuanca. Tale candidatura è stata frutto di un’ampia negoziazione dentro il partito, con Arce che al momento era il candidato ufficiale di Evo Morales perché era la persona più fidata che aveva (Luis Arce Catacora è stato infatti l’unico ministro - dell’economia - che ha resistito in carica dal 2006 alla caduta di Evo Morales nel 2019). Arce vinse con l’appoggio di tutto il MAS soprattutto per il forte malcontento generato dal governo di Jeanine Añez e perché non si voleva appoggiare un candidato considerato di destra come Carlos Mesa e men che meno il candidato di Creemos, Luis Fernando Camacho. In quel momento la vittoria di Arce è stata molto importante perché ha segnato la distanza contro queste forze di destra. Tuttavia, con il passare dei mesi lo stesso Arce ha cominciato a prendere le distanze dalla linea politica di Evo Morales: un primo indicatore è stato il conflitto su alcuni ministri, con il gruppo del MAS vicino a Evo Morales che insistentemente ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Del Castillo e del ministro della Giustizia Lima, a cui il governo di Arce si è opposto.

Il processo di separazione poco a poco si ingrandisce per le divergenze su diversi temi, alcuni non sufficientemente chiari perché riguardano “l’alta politica”, altri che invece richiamano di più l’attenzione. Uno di questi riguarda i sequestri di droga avvenuti nell’area vicino al Tropico di Cochabamba e a Santa Cruz e lo smantellamento di alcune organizzazioni che appoggiano il narcotraffico, incluso un aeroporto semi clandestino da dove partivano centinaia di jet privati ogni settimana per trasportare droga in diversi luoghi, in particolar modo verso il Paraguay. Allo stesso tempo è cresciuto il malcontento nel settore cocalero del Chapare cochabambino dove Evo Morales ha la sua roccaforte. Lo scontro con il governo e l’isolamento dentro allo stesso MAS è un altro segnale importante di questo processo di divisione interna. Per esempio, il settore dei piccoli produttori di Santa Cruz, i cosiddetti “interculturali”, un importante settore produttivo un tempo legato al MAS e che è composto principalmente da migranti dell’occidente verso l’oriente del Paese, è entrato in conflitto con Evo Morales e lo hanno dimostrato negli ultimi mesi. Alcuni deputati, tra cui Cuellar, hanno fatto dichiarazioni molto dure contro Evo Morales, accusandolo di irregolarità durante i suoi governi e anche di narcotraffico. Il blocco di deputati del MAS vicino a Evo Morales ha chiesto le sue dimissioni che il deputato ha respinto e anzi si è fatto fotografare con Arce. Tutto questo mette in risalto il processo di rottura all’interno del MAS, tra gli attuali governanti Luis Arce Catacora e David Choquehuanca contro l’ala legata all’ex presidente.

Attualmente si stima che l’ala di Arce-Choquehuanca starebbe cercando ulteriore appoggio tanto tra deputati e senatori nell’Assemblea Legislativa quanto nelle organizzazioni sociali che non sono del Chapare e a quanto sembra stanno riuscendoci. Esiste infatti una volontà di rinnovamento e rottura con il passato tra la base del MAS, in maggioranza giovani, di fronte a una struttura molto più cristallizzata, dura, del “masismo”, che ha occupato posti nei governi, locale, dipartimentale e nazionale, da cui non vogliono andarsene, argomentando che loro sono parte della cerchia di Evo Morales. Infine è da considerare che il governo si sta facendo carico di uno Stato che ha moltissime risorse in meno rispetto allo stato boliviano tra il 2008 e il 2015: in quel periodo le entrate erano maggiori grazie alle maggiori esportazioni di gas a un prezzo favorevole, mentre ora prezzo e quantità di gas esportato è molto più basso. Lo stato ha quindi meno capacità di assorbire le rivendicazioni sociali e questo fa si che ci siano gruppi che si sentono emarginati e che cercano il rinnovamento, spodestando le vecchie strutture. Anche questo è un aspetto che spiega la situazione attuale e tutto questo, come vedremo più avanti, si sta giocando nel mezzo dello sciopero a Santa Cruz: questo sciopero, oltre ad avere altri obiettivi, sta giocando un ruolo importante nella disputa interna al MAS».

Nelle ultime settimane infatti si è riaperto il conflitto con la regione di Santa Cruz, con motivo la data del censimento, che in realtà è solo un pretesto per riaprire la disputa con il comité cívico e il governatore di Santa Cruz Luis Fernando Camacho. Quali sono le reali cause di questo conflitto?

«Innanzitutto è fondamentale sapere che il censimento della popolazione è un’attività molto importante in Bolivia perché a partire dal conteggio della popolazione si realizzano due grandi fatti: il primo è la redistribuzione delle risorse economiche che lo Stato assegna a governi locali, dipartimentali e organizzazioni territoriali di base a partire da quanta popolazione c’è in quel dato territorio. Quindi nel momento in cui si ha il dato di ogni censimento, che secondo la legge dovrebbe tenersi ogni dieci anni, dovrebbe esserci una redistribuzione equa di queste risorse economiche. L’altro punto è che si redistribuiscono anche le circoscrizioni elettorali che spettano a ogni regione secondo la popolazione che hanno, pertanto chi ha più popolazione avrà un numero maggiore di rappresentanti nell’assemblea legislativa plurinazionale. È importante tenere in considerazione questo perché il censimento è al centro di questa disputa».

Esiste quindi un interesse che è legittimo sul tema del censimento?

«Sì, perché nel 2012 quando si fece l’ultimo censimento, ci furono molte opacità, non fu un censimento trasparente e si stima che si manipolarono le cifre a partire dagli interessi del partito di governo, il MAS, che beneficiò i municipi e le regioni che appoggiavano il partito. Questo è rimasto come un fatto assodato nella società. Inoltre qualche settimana fa il presidente Luis Arce ha confermato che per il censimento del 2012 non si è fatta una attualizzazione cartografica. Cioè si è fatto con dati cartografici del censo del 2001 e ciò comporterebbe l’invalidazione dei dati del censimento 2012. Il fatto che il governo abbia deciso di posticipare al 2024 il censimento nonostante avrebbe dovuto essere effettuato nel 2022 ha generato nuovamente sospetti sul fatto che starebbe cercando di manipolare questo processo in vista delle elezioni del 2025 in modo di condizionare i dati per favorire gli spazi elettorali dove il MAS ha la propria forza con un maggior numero di rappresentanti nonostante sia diminuita la popolazione. Si stima infatti che in dipartimenti come Santa Cruz, che effettivamente ha molti più abitanti, ci sarebbero più rappresentanti e questo si ritorcerebbe contro il MAS. Questo ha rappresentato la scusa per mobilitare il paro che è rimasto attivo per oltre un mese.

Il comité cívico di Santa Cruz, che è un insieme di diverse organizzazioni abbastanza conservatrici, molte di esse rappresentanti delle opzioni più fasciste che sono sempre esistite nel dipartimento, ha convocato con questa scusa a un gran paro che ha da un certo punto di vista una ragione legittima (per esempio anche i barrios più popolari stanno richiedendo il censimento perché hanno aumentato moltissimo la propria popolazione negli ultimi sette o otto anni e non hanno risorse). Il punto importante è che questa rivendicazione è stata centralizzata e monopolizzata dal comité cívico di Santa Cruz. Durante il paro sono state bloccate le principali vie di comunicazioni di Santa Cruz e i blocchi sono stati effettuati da persone vicine al comité cívico o al governo di Camacho.

Questo nucleo fascista che prima aveva poco spazio, ha ripreso ad avere moltissima forza e questo per il gioco polarizzante, promosso anche dal MAS, in cui è piombata la Bolivia, dove si ricrea l’immagine in cui esistono solo due opzioni come unica alternativa: da un lato un masismo acritico e dall’altro lato una destra fascista. Inoltre, la polarizzazione ha favorito la disarticolazione delle organizzazioni indigene e contadine della regione orientale del paese che opponevano resistenza, che lottavano per la terra, che sono state completamente annientate negli ultimi dieci anni anche per la dinamica politica del Movimiento al Socialismo che si è occupato di generare strutture organiche parallele e allo stesso tempo reprimere ed arrestare le cupole dirigenziali delle organizzazioni indigene e contadine che si contrapponevano alla sua linea politica.

Terzo elemento è la linea politica del MAS iniziata tra il 2009 e 2011 con l’alleanza con l’élite economica più moderata di Santa Cruz, gli agroindustriali. In questo periodo il governo ha disposto grandi quantità di risorse economiche, ha modificato leggi in funzione di questo settore che si è visto così rafforzato. Ora questi dirigenti più moderati sono stati spodestati da una nuova generazione di dirigenti, più radicale e fascista. Da parte sua il governo ha fatto poco o nulla per risolvere il conflitto, alimentando la polarizzazione e la tensione con i suoi “grupos de choque” che hanno generato molta violenza, moltissimi feriti e anche morti.

In tutto questo i settori più colpiti sono quelli popolari che non possono realizzare le proprie attività quotidiane con normalità. Riassumendo la situazione in Santa Cruz, abbiamo una desta fascista che si sta rafforzando moltissimo grazie alla logica polarizzante e un governo che sta facendo i suoi calcoli politici per legittimarsi di fronte a questa destra fascista e al tempo stesso per ottenere vantaggi nella disputa interna al MAS».

Sempre sul conflitto con Santa Cruz, il movimento Feministas Autonomas lo definisce una “pelea de gallos”, uno scontro machista tra due fazioni (quella di Camacho e il MAS) in cui chi ci rimette sono los de abajo. Pensi che questa analisi sia corretta?

«L’analisi delle Feministas Autonomas ha molto senso perché apre la possibilità di dare uno sguardo patriarcale su ciò che sta passando, che dà una risposta a ciò che succede ed è successo in altri momenti di scontro tra élite e governi. Eventi che terminano tutti con un “patto tra gentiluomini”, come è successo nel 2009 e 2011 tra governo e settori della oligarchia cruzeña.

Quindi sì, c’è una “pelea de gallos”, tra uomini, tra chi ha più potere e tra chi, a partire da questa mobilitazione per il censimento, sta misurando la propria forza. Questo punto di vista credo sia importante tenerlo in considerazione nell’analisi, seppure non è l’unico, perché ci sono anche altri punti da considerare, che hanno a che fare con processi storici di accumulazione di forze e di rafforzamento economico dell’oligarchia di Santa Cruz. È comunque importante aggiungere questo elemento della confrontazione patriarcale perché ci permetterà di non rimanere sorpresi quando verrà stipulato un nuovo patto tra questi settori, tra Camacho e Arce, come si è dato in altri momenti.

Per esempio, ci sono molte evidenze che ad un certo punto, verso le elezioni del 2020, c’è stato un patto tra Evo Morales e Camacho, che permise di sconfiggere la pericolosa opzione rappresentata da Carlos Mesa, in cambio dell’impunità. Camacho è uno dei maggiori implicati del denominato processo “Golpe de Estado”, tuttavia non è in carcere mentre altri attori molto meno importanti, come Pumari o la stessa Jeanine Añez sono tutt’ora dentro. Ricordo che, mentre la Añez era una senatrice, Camacho entrò in parlamento con la bibbia ma nonostante questo oggi è libero e questo si può comprendere solamente con il fatto che c’è stato un patto che protegge lui e le persone del suo intorno, nonostante ora siano apertamente in conflitto con alcuni settori del MAS».

Altro tema scottante è quello che vede territori e popolazioni indigene sotto attacco: deforestazione, incendi e soprattutto alcune leggi emanate dal governo per favorire le imprese minerarie dietro cui, quasi sempre, si celano i grandi capitali cinesi. Cosa pensi della retorica pachamamista del governo?

«Ci sono vari fattori che si mescolano: uno di questi è relativo a una vocazione storica dello Stato boliviano, che ha vissuto e continua a vivere dell’estrattivismo. Dallo stagno all’argento, dalla gomma agli idrocarburi, dalla meta del secolo scorso queste sono state le principali attività estrattive. Il governo di Evo Morales ha dato continuità a questo modello di sostentamento dello Stato quando dal 2008 ha incrementato il prezzo delle esportazioni del gas e la quantità di gas esportata specialmente in Brasile e Argentina.

Lo Stato plurinazionale sorto dalle mani del MAS ha una pressione molto forte su questo tema perché segue una dinamica clientelare profondamente relazionata con la dinamica di cooptazione di organizzazioni e di dirigenti, a partire da una logica cooperativa che ha bisogno di molte risorse per sostenersi. Per questo i governi di Evo, di Jeanine Añez e dello stesso Arce hanno attuato in modo simile: si preoccupano di trovare ulteriori fonti di estrazione per finanziare lo Stato. Dietro a questo modus operandi non ci sono solo capitali cinesi ma anche di tante altre nazionalità».

La Contiocap, un coordinamento di realtà indigene, denuncia l’entrata nei propri territori e nelle aree protette di imprese estrattive che devastano i territori e sgomberano le popolazioni. Cosa sta succedendo?

«Per le ragioni esposte prima, il governo sta trivellando in tutto il paese alla ricerca del gas. Stanno entrando in territori indigeni e aree protette come quella in Tariquia o nella zona di Tarija, attualmente una delle zone più contestate perché il governo vuole realizzare attività di esplorazione di idrocarburi. Esiste poi una dinamica poco conosciuta che ha a che vedere con la permissività dello Stato boliviano verso l’attività estrattiva illegale. Uno degli esempi più importanti è quello delle miniere illegali.

La Bolivia attualmente sta estraendo grandi quantità di oro a partire da un’attività mineraria cooperativista (in realtà sono piccole medie imprese) che principalmente si dedicano all’estrazione dell’oro nei fiumi inquinando in maniera impressionante i luoghi dove realizzano le loro attività. In queste cooperative sono impiegati molti lavoratori e questo permette di diminuire la pressione per situazioni di povertà e di cattive condizioni lavorative che esistono in altri settori dell’economia boliviana, è come un ammortizzatore sociale e anche un grande meccanismo di appoggio politico verso il governo del Movimento al Socialismo. Quindi il governo permette queste attività principalmente per omissione perché non ci sono indagini, non si realizzano monitoraggi di queste attività e in molti casi sono appoggiate promuovendo leggi che abilitano a occupare nuovi territori prima considerati indigeni e anche in aree naturali protette trasformando queste attività da illegali a semi legali.

Questo tipo di attività sono legittimate dal governo e un meccanismo di appoggio al governo stesso. I settori beneficiati finiscono per utilizzare questo loro ruolo ambiguo convertendosi in mafia (per lo meno parte della cupola della dirigenza mineraria sono mafia) con tutto ciò che questo implica. Una cosa simile succede con il contrabbando e il narcotraffico: anche queste sono attività molto organizzate che il governo permette. Ci sono altre attività illegali come il taglio di legna illegale o l’attività di apertura della frontiera agricola senza permesso. Tutte queste attività stanno portando serie conseguenze sui territori indigeni e sulle aree protette e stanno generando problemi che avranno un costo socio ambientale molto grande nel medio lungo periodo».

Ritornando alla situazione politica sociale, nelle ultime settimane sono scesi in strada a protestare anche altre organizzazioni, come i cívicos di Potosí e le organizzazioni sindacali dei minatori. Che clima si sta respirando in queste settimane nel paese? La conclusione del paro a Santa Cruz cosa ha lasciato?

«La risoluzione di questo conflitto ha generato sostanzialmente una esacerbazione degli animi a Santa Cruz, un riposizionamento della destra più fascista presente in questo dipartimento e allo stesso tempo sta segnando la dinamica politica all’interno del governo. Tuttavia al momento non è facile capire come evolverà nei prossimi mesi dal momento che la fazione guidata da Evo Morales non è d’accordo su come il governo ha risolto il paro. Il censimento dovrebbe realizzarsi, si spera in tempo utile per le redistribuzioni di poltrone e risorse per le prossime elezioni generali del 2025 ma bisognerà vedere come sarà gestito politicamente nei prossimi mesi.

La cosa certa nella risoluzione di questo paro è che i settori più colpiti sono stati quelli popolari di Santa Cruz che hanno visto limitata la loro capacità di generare risorse economiche di sussistenza per oltre 30 giorni. Dall’altro lato una cosa che preoccupa molto al di là di questo scenario generale è il rafforzamento così grande che ha avuto la destra più conservatrice del paese e che rapidamente si allineerà con le altre destre dell’America Latina. Ciò che non bisogna perdere di vista è che questo rafforzamento si è dato con vincoli e relazioni con questo governo progressista che esiste in Bolivia».

Nonostante anche a livello internazionale Evo Morales goda ancora di ampio gradimento (non solo nel mondo della sinistra “rivoluzionaria”)  appare dunque evidente il progressivo deterioramento dell’esperienza masista, ancorata molto di più alle poltrone del potere che agli ideali che la caratterizzavano. Deterioramento di cui si ha avuto una prima avvisaglia con gli accordi con l’élite cruzeña tra il 2009 e 2011 - come raccontato da Huáscar Salazar in questa intervista - e divenuto evidente con la ricandidatura a presidente di Evo Morales nel 2019 avvenuta calpestando la Costituzione e nonostante il parere negativo del referendum del 2016 che ha portato poi alla sua caduta e fuga e alla crisi sociale. Crisi apparentemente risolta con le elezioni del 2020 e la vittoria del binomio Arce-Choquehuanca ma che ancora oggi mostra nodi irrisolti.

Dar voce al “gioco” della polarizzazione descritto in questo articolo, ma raccontato anche su Global Project durante tutta la crisi politica e sociale del 2019, è quindi strumentale a questo scenario, dove sinistra e destra si combattono ideologicamente ma poi scendono a patti. Conflitti e patti le cui gravissime conseguenze, in tema ambientale, di diritti e di violenza, come abbiamo visto si riflettono inesorabilmente su los de abajo. Per guardare oltre i conflitti, oltre l’estrattivismo, la sola salvezza e credibilità politica per il MAS appare dunque tutta nel tentativo di cambiamento e rinnovamento portato avanti non solo da Arce e Choquehuanca ma soprattutto dalla base giovane del partito e dei movimenti, forse le uniche forze in grado di garantire, oltre a un progressismo di facciata, anche uno un po’ più concreto.