Legami spezzati

La convivenza multietnica prima dell'ISIS.

8 / 12 / 2014

Nel villaggio di Mehesser giungono dalla vicina Kobane notizie di relativa calma, accolte sempre con apprensione struggente dai parenti dei combattenti e da chi è arrivato da altri paesi a portare solidarietà.

Il clima di relativa tranquillità viene spezzato dalla notizia della brutalità della polizia turca che ieri ha ucciso nel distretto di Hakkari un giovane attivista curdo, Rojhat Ozdel, mentre partecipava a una manifestazione per ricordare altri tre attivisti uccisi, sempre per mano della polizia turca, un anno fa, sempre ad Hakkari durante le proteste successive all'oltraggio di un cimitero di guerriglieri curdi.

Il governo turco risponde alle richieste di risoluzione della questione curda con il metodo di sempre: repressione e violenza.

Come ci hanno ricordato oggi nel campo rifugiati “Kobane”, la polizia turca si comporta come un esercito invasore, ce lo racconta Mitap, scappato dal suo villaggio e che per poter superare il confine turco è stato costretto dalla polizia ad abbandonare i mezzi di trasporto e tutto ciò che era riuscito a salvare nella fuga.

Mitap porta nel suo nome la sua storia. Una storia fatta di una convivenza multietnica millenaria tra arabi e curdi rotta dall'arrivo dell'ISIS. Mitap proviene da un villaggio vicino a Kobane, è curdo ma il suo nome è arabo. Questo perchè il padre strinse un legame di sangue con un pastore arabo al quale dava ospitalità per la transumanza annuale del proprio bestiame. Questa tradizione racconta di una convivenza di popoli che vivevano a centinaia di chilometri e che praticavano forme di messa in comune di risorse.

Pratiche e legami che sono stati interrotti dall'irruzione dell'ISIS e dall'arrivo della guerra che ha obbligato le persone, in maniera fascista, a scegliere se stare con loro o contro di loro. Tanto che colui che prima era proprio amico diventa ora il tuo uccisore.

Mitap al momento si trova in uno dei campi autogestiti dai curdi con la sua famiglia. Nelle sue parole la realtà di quanto è successo a molti altri: dopo aver lavorato una vita intera per i propri figli, tutto ciò è stato spazzato via in un paio d'ore.

Alla domanda del motivo per cui tutto questo è successo, esprime consapevolezza sul fatto che questa guerra non è solo religiosa, ma anche di carattere etnico; che il motivo per cui è stato costretto ad abbandonare buona parte delle proprie cose è per il semplice fatto che sono curdi e che la proposta politica di confederalismo democratico minaccia le ideologie fasciste dell'ISIS e trova pochi alleati nel contesto del Medio-Oriente.

Infatti, l'esperimento della Rojava viene raccontato come esempio da Mitap, quando ci descrive la gestione nei due anni di autogoverno del cantone siriano di Kobane, dove la gestione dei pascoli e il conseguente guadagno diventa commons.

Un velo di tristezza affiora quando pensa alla terra che ha abbandonato e a quando potrà farci ritorno, a quanto ha dovuto lasciare per sopravvivere e alla frustrazione di non poter lasciare nulla ai propri figli.

La risposta che da speranza sta nella vita, nel coraggio e nella dignità che si respira in ogni momento conoscendo le varie persone che animano il campo

Usciti infatti veniamo travolti da centinaia di bambini che attraversano il campo intonando canti in sostegno alla resistenza di Kobane e ai combattenti YPG e YPJ.

Alla fine di questa intensa giornata ci stringiamo nuovamente assieme ai compagni del villaggio che intorno ai fuochi accesi ci chiedono di intonare in italiano "Bella Ciao".

Camilla Marco Ale  Centri Sociali del Nord-Est e Filippo Ya Basta! Bologna

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