Regia di Emiliano Bulgaria, con Marina Pitta, Manuela Cuscini, Serena D'Andria

"La Signora Margherita" di Roberto Athayde

risvegliamo Margherita?

Utente: Serena
8 / 10 / 2009

la signora margheritaRoberto Athayde (Rio do Janeiro 1949) debutta come autore con il monologo “Apareceu a Margarida” nel 1973, nel pieno della violenta dittatura brasiliana “dei gorillas” (1964 - 1985).

La signora Margherita”, titolo e testo tradotti da Paolo Fiorilli per la ripresa di questa prima nazionale,è una tirannica insegnante che ogni giorno, ogni anno e con ogni classe utilizza tutti gli espedienti che conosce e che re-inventa (probabilmente perché a sua volta qualcuno li ha usati su di lei) per imporre il suo dominio su chiunque rientri nella sua “giurisdizione”, con qualunque mezzo e a qualunque costo. Non è difficile leggervi il chiaro riferimento alla situazione storico-politica che il paese, da cui Athayde lanciava il suo messaggio, viveva.

A questo punto chiedersi perché far rivivere “La signora Margherita” è automatico: perché nel 2009, perché in Italia e perché a Bologna? La risposta nasce a mio avviso ancora più automatica: nella signora Margherita vive una efficace metafora del controllo. Oggi a Bologna, e più in generale in Italia, sono innumerevoli le forme di controllo che quotidianamente tentano di irretire, vigilare sulle persone, sulle loro scelte, sui loro corpi e desideri. Perciò mettere in scena questo spettacolo significa smascherare uno strumento, per dirla con Foucault, del bio-potere. Significa urlare al mondo che La signora Margherita può ancora intimorire, ma non deve più decidere per noi.

Cosa succede quando si sceglie la pillola rossa?

I fratelli Wachowsky con Matrix, in una visione esasperata-esasperante, vogliono insinuare nel loro pubblico il piccolo, ma logorante, dubbio che persino il nostro gatto potrebbe essere così com'è perché qualcuno in questo modo può ottenere qualcosa da noi.

La signora Margherita in fin dei conti può adempiere allo stesso compito.

Lei è uno strumento del potere (se non un'incarnazione del potere stesso), ma auto-denunciandosi sin dall'inizio, ribalta il suo ruolo, diventando un potenziale strumento contro se stessa.

A differenza di quanto aveva in mente Athayde, non vi sono attori fra il pubblico ed è con questo che la nostra Margherita si relaziona. Ogni singolo spettatore diviene parte integrante della scrittura drammaturgica dello spettacolo e, di conseguenza, quest'ultimo risulterà di volta in volta differente dalle nostre aspettative.

Margherita, infatti, si rivolge di continuo al pubblico e non solo, lo obbliga a trovarsi sul palcoscenico coinvolgendolo fisicamente a collaborare con lei attraverso modalità di inviti che difficilmente prevedono un rifiuto.

Così, i suoi complici in realtà diventano tutti coloro che si trovano in sala, tutti coloro che subiscono senza reagire. L'unica cosa che potrebbe fermarla sarebbe una forza superiore a lei, una forza a cui chiunque, anche il potere stesso, deve rendere conto. Margherita si occupa immediatamente di questo inconveniente, assicurandosi che non possa interferire coi suoi piani: “C'è qualcuno fra di voi che si chiama dio?”. Questa è la prima domanda diretta che fa al pubblico, commentando la mancata risposta con: “il signor direttore me l'aveva detto che eravate la classe migliore”.

Da questo momento in poi niente di umano potrà fermare l'esercizio del potere della signora Margherita.

Dicevamo che Margherita può diventare uno strumento contro se stessa, in che modo?

Da subito viene chiarito al pubblico come stanno le cose, “C'è forse qualcuno fra di voi che è venuto qui di sua volontà?” e poi ancora “la scuola si paga. Questa seconda famiglia non è gratuita come l'altra, però è obbligatoria come l'altra. E adesso che ci siete, dovete obbedire”.

Questa battuta rivolta al pubblico risulta degna di una riflessione: il pubblico HA scelto di essere qui, ha pagato per subire tutta la violenza di cui è capace Margherita ed è rinchiuso dalle sue stesse norme sociali che gli proibiscono di andar via a spettacolo non terminato!

Quindi rimane inerme a subire ciò che la signora Margherita deliberatamente agisce su di lui e sugli altri, imperterrita, inarrestabile!?Inoltre riscontriamo subito una differenza con la nostra realtà, diversamente da quanto accadeva nel periodo di dittatura in cui veniva scritto questo testo, difficilmente in una democrazia occidentale sentiremo dichiarazioni di questo tipo, ed è proprio qui che entra in mezzo di nuovo Foucault.

“Il suo lavoro ci permette di riconoscere la natura biopolitica di questo nuovo paradigma del potere. Il biopotere è una forma di potere che regge e regolamenta la vita sociale dall’interno, seguendola, interpretandola, assimilandola e riformulandola” (A. Negri, M. Hardt). “La vita è ora diventata ( ...) un oggetto di potere” (M. Foucault).

Ed è proprio sulla vita stessa che Margherita vuole applicare la sua giurisdizione.

In un'ora e mezza di spettacolo il potere/Margherita tiene la sua conferenza, utilizzando qualsiasi argomento gli passi per la testa, con l'intento di dimostrare quanto sia indispensabile restare sotto la sua ala protettiva. Lo fa intimidendo, intimorendo, inibendo, coccolando persino, terrorizzando, seducendo e ammaliando, ma, suo malgrado, risulta stanca. Non riesce ad ottenere quello che vuole, forse i suoi argomenti vanno rinnovati, o forse è giunto il momento di cedere il posto ad un'altra signora Margherita più al passo coi tempi, o forse potrebbe utilizzare la sua arma segreta, ma lei preferisce pensarci su, va semplicemente via.

Nostro malgrado però, veniamo a conoscenza di un terribile segreto, la nostra Margherita nasconde nella borsa, esattamente insieme alle caramelle, una pistola. Oggi non l'ha usata, domani chissà.

Ecco perché cito “Matrix”, la famosa pillola rossa, la pillola che mostra la realtà, quella vera, quella dolorosa e sconcertante ma di cui bisogna assolutamente prendere coscienza.

Questo spettacolo è risultato una pillola rossa per chi lo sta realizzando, non volendo, in maniera assolutamente naturale, non cercavamo uno spettacolo “politico”, si è realizzato politicamente davanti ai nostri occhi: abbiamo involontariamente ingoiato la pillola rossa.

Questo vorremmo che accadesse a tutti gli spettatori, non lo presenteremo come uno spettacolo politico, ma vorremmo che tutti a fine spettacolo avessero la possibilità di ingoiare volontariamente una pillola rossa.

Cosa succede quando si sceglie la pillola blu?

Più che un riadattamento del copione il nostro è stato un riadattamento del sensoriale. Athayde aveva pensato ad uno spettacolo frontale, ho già accennato al fatto ch'egli aveva previsto degli attori fra il pubblico, questo tutelava in ogni modo gli spettatori che restavano seduti a godere di una vicenda in modo impersonale nonostante le tematiche sconcertanti. Sicuramente questo non vuole essere un modo arrogante di sminuire il meraviglioso lavoro di Athayde.

Ma a noi non basta!

Vogliamo un pubblico terrorizzato non dai contenuti, ma dalla reale possibilità di una violenza diretta e personale, che non sarà mai una violenza fisica vera e propria, e che soprattutto non gli sarà inflitta da Margherita ma da loro stessi.

Come accennavo prima, la scrittura drammaturgica è potenzialmente aperta a qualsiasi possibilità, crediamo che ciò resterà, appunto, solo un potenziale che non si verificherà, ma niente proibisce ad uno spettatore di rifiutarsi di dare la mano alla signora Margherita ed essere condotto sul palco per farsi ridicolizzare davanti a tutti, né tanto meno di lasciare la sala a spettacolo non terminato.

Esiste un'altra sostanziale differenza con l'originale ed è la presenza di due personaggi: un'altra insegnante (o forse dovremmo dire l'unica) ed una alunna.

Queste, risultano due figure chiave per un'altra parallela e inedita scrittura drammatica, rappresentano lo specchio passivo della platea.

Si trovano in una normalissima aula durante una normalissima lezione e rappresentano un tappeto visivo e sonoro continuo e allo stesso tempo ci mostrano un' alternativa: quella di poter ignorare.

Il pubblico può sentire ciò che accade di là, nell'altra aula, di conseguenza allieva e insegnante sentono ciò che accade “di qua”, ma lo ignorano.

Fanno finta di niente, Margherita urla, insulta, canta, balla impreca e loro non registrano assolutamente nessuna reazione.

Loro hanno scelto la pillola blu, per dirla ancora con Matrix, quella che ti fa persino dimenticare di aver avuto una scelta in passato, tutto è come è sempre stato e così rimarrà, se non fosse per un piccolo inconveniente che pone tutti, personaggi e pubblico, davanti ad un bivio.

Il potere ha commesso un errore, l'alunna infatti diventa un tramite fra il mondo della signora Margherita e l'altro e permette al pubblico di sapere della pistola.

Lasciandolo però sul finale con l'atroce dubbio su come andrà a finire e con la libertà di ipotizzare una scelta.

L'alunna può riporre la pistola e continuare ad ignorare ingoiando l'ennesima pillola blu, oppure può usare quell'arma in un modo qualsiasi e rompere il perfetto schema dentro cui credeva di agire liberamente, operando una scelta.

Ciascun spettatore “a sipario chiuso” può scegliere per quella alunna, e di conseguenza per se stesso.

La blu o la rossa? Un accenno sul pubblico

Il pubblico non è più comodamente seduto a godersi uno spettacolo frontale, ma è totalmente immerso in un'atmosfera che lo riguarda direttamente.

Lo spettatore non è protetto dalla platea, Marina Pitta (la signora Margherita) agisce nello spazio distruggendo tutte le frontiere di cui quest'ultimo, come ci insegna Fabrizio Cruciani, si era munito, dal teatro all'italiana in poi, nel nostro immaginario collettivo.

Non esistono più né la platea né il palcoscenico, esiste un unico ambiente condiviso sia dagli interpreti che dagli spettatori, dentro il quale questi perdono lo statuto di voyer per ritornare alla loro naturale condizione, quella di esseri umani. Ciò gli impone di relazionarsi a ciò che gli accade intorno semplicemente vivendolo, con le reali emozioni e sensazioni di cui solo un essere umano, liberato dagli schemi comportamentali, è capace (J. Grotowskij - E. Barba).

La ripartizione dello spazio visibile agli spettatori fra palcoscenico e platea viene mentalmente a mancare, viene però sostituita con un altro tipo di segmentazione.

Ancora una volta è utile citare Foucault, egli infatti ha elaborato un'analisi antropologica sulla geografia delle aule scolastiche perlopiù occidentali.

Le direzioni e le posizioni dei banchi degli alunni rispetto alla cattedra dell'insegnante sono studiate per favorire il controllo, esercitato da quest'ultima, su tutta la classe in un rapporto potenzialmente sfavorevole di uno a più.

Per cui la frontalità non è più utile agli spettatori per una migliore fruizione dello spettacolo, ma, per contro, è utile alla signora Margherita per un migliore esercizio del controllo.

Quindi platea e palcoscenico, o meglio la parte di esso più vicina al proscenio delimitata sul retro da tre lavagne, costituiscono simbolicamente l'aula e quindi la giurisdizione della signora Margherita.

Margarida ci guarda soddisfatta?

Dopo questa approfondita analisi, che, esattamente come lo spettacolo, si è realizzata politicamente davanti ai miei occhi, della regia de “La signora Margherita” mi rendo conto che la strada su cui viaggiamo è quella giusta.

Mi convinco ancora una volta, non solo che Athayde voleva esattamente questo, ma soprattutto che mettere in scena significa esattamente questo.

Questa messa in scena è il risultato di una "riattivazione" (C. Meldolesi), frutto di una dramaturgie collettiva ad opera di più figure.

Roberto Athayde ci ha lanciato un messaggio che, come tutti, necessita di una valida interpretazione per essere efficacemente compreso.

È d'obbligo un'interpretazione differente per ogni contesto socio-politico in cui si vuole agire e in cui si vuole principalmente comunicare qualcosa attraverso il teatro (B. Brecht) che, non dimentichiamolo, resta e resterà sempre uno dei media più efficaci di cui la storia dell'umanità abbia mai usufruito.

di Serena D'Andria

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