People have the power!

Alcune considerazioni sul voto in Grecia

21 / 9 / 2015

Ieri ancora una volta i greci sono stati chiamati alle urne e ancora una volta hanno confermato la fiducia nei confronti del leader Alexis Tsipras. Come con il referendum, come con la precedente tornata elettorale, la maggioranza relativa del popolo greco ha rinnovato il mandato nei confronti del giovane leader ateniese e ha scelto la sinistra radicale alla restaurazione del centro-destra e al populismo neo-nazista di Alba Dorata. Questo e' il primo dato. Il popolo greco ha dimostrato una capacità di tenuta dei nervi e un straordinaria, che non hanno paragoni con nessun elettorato europeo, sempre così suscettibile all'evenemenzialità e all'irrazionalità delle passioni, tanto da motivare la continua fluttuazione delle preferenze in direzioni addirittura contrapposte. Una sorta di responsabilità che non si declina nell'astratto dovere del cittadino che esercita il diritto di voto indipendentemente dalla direzione dell'esercizio, quanto piuttosto in una sorta di responsabilità verso la tutela dell' irresponsabilità, provando a fare in modo che nel proprio paese resti lo spazio per l'anomalia e che non si scivoli nuovamente per disperazione e delusione collettiva verso la normalizzazione dei conflitti e ancora verso un'altra pagina della gestione autoritaria della crisi. La sensazione che si ha della Grecia invece e' che nonostante il "tradimento" di oki, inteso come rifiuto radicale della dittatura finanziaria sul debito greco, Tsipras continui ad avere un mandato di fiducia pieno e continui ad incarnare, nonostante gli errori palesi, la figura che mette meglio in crisi la dismissione della sovranità popolare e della democrazia reale teorizzata dal neoliberismo. Questo nonostante i cedimenti e l'accordo. Perché? Forse solo per la logica del meno peggio, che è la prospettiva che si può scegliere per guardare il bicchiere mezzo vuoto. Cosa assolutamente legittima. Se invece lo stesso bicchiere lo si vuole guardare al contrario, da una prospettiva più ottimista, verrebbe da dire che ciò che i greci rifiutano radicalmente è la discontinuità per la discontinuità, il no per il no e la rottura per la rottura. Se l'alternativa a Syriza é il ritorno dei banditi di ND o ancora il fanatismo nazista di alba dorata, allora, nella consapevolezza della difficoltà e degli errori, l'ipotesi della sinistra di Tsipras resta la più credibile e sostenibile. Ebbene in questo senso, comunque si decida di guardare l'acqua nel bicchiere, forse si potrebbe metter da parte un po' della abitudine ad essere sempre strateghi delle guerre degli altri e piuttosto leggere quello che sembra essere il dato più interessante dell'esperienza greca della crisi, prima di movimento e poi di aggressione allo spazio del governo, locale e nazionale. Si tratta di un dato che ha meno a che fare con la sovranità e più con l'annosa questione della ricomposizione. Il popolo greco ha organizzato una formidabile risposta alla troika e alla dittatura dei mercati, non perché ha votato ripetutamente il governo di Syriza ma perché, attraverso processi di soggettivazione profondi e pratiche di cooperazione e mutualismo incisive, nonché attraverso la diffusione capillare degli spazi della discussione politica, ha dimostrato di restare sostanzialmente fermo nella scelta di volere stare dentro lo spazio europeo, ricontrattando il proprio posizionamento subalterno ma non cedendo ai populismi e ai più pericolosi razzismi. Eppure l'Unione e la BCE hanno fato di tutto per far sì che accadesse il contrario. Di fatto Tsipras si è giocato la carta della contrattazione con la forza del mandato popolare, non ha portato a casa il risultato sperato e si è dimesso per riproporre l'ennesimo test al popolo. Il suo "fallimento" poteva facilmente trasformarsi nella mera ragione dell'oltranzismo e delle posizioni autarchiche e sovraniste. Alba dorata poteva andare ben oltre il sette per cento e la vecchia modalità clientelare di reperimento dei voti tipica di ND poteva imporsi nuovamente nel tessuto sociale. Invece non è accaduto e oggi a Syriza spetta l'arduo compito di governare alle condizioni dettate dall'accordo e con una serie di scadenze che già alitano sul collo del premier e del nuovo esecutivo. Insomma il dato formidabile che si palesa nuovamente con queste elezioni e' la riconferma di un interlocutore nuovo sulla scena neoliberale continentale, un interlocutore che il capitalismo avanzato ha fatto di tutto per spezzettare, polverizzare, avvelenare con la malattia della guerra interna e fratricida per la competizione. Questo interlocutore è la soggettività certamente composita che manifesta nelle strade delle città greche, che discute ai tavoli dei bar, che organizza il conflitto e certo che vota. Ma tra le altre cose. Questa soggettività ha una evidente connotazione di classe, checché ne dicano i rappresentanti di alba dorata, in un paese il cui capitalismo selvaggio e straccione si è sempre riconosciuto nella sinergica opera di predazione e saccheggio portata avanti dall'alternanza Pasok/ ND. Certo c'è il dato dell'astensione, che non è affatto marginale e che racconta comunque di una stanchezza che ha travolto una parte dell'elettorato. Ma su questo dato pesano due considerazioni. La prima e' che complessivamente questa tornata elettorale e' stata accompagnata da toni dimessi e dalla messa al bando di ogni trionfalismo e questo sicuramente incide sull'umore collettivo che motiva la corsa al voto, banalmente perché quello strumento subisce il peso dell'ammissione dell'inefficacia. La seconda e' che bisognerebbe guardarsi sempre bene dal leggere qualitativamente l'astensionismo, che se non è politico e organizzato, non racconta molto di più che la sottrazione individuale da uno degli spazi della presa di parola sul destino collettivo. Per cui per leggere politicamente il dato greco e non scadere in una, supponente, lettura sociologica e' bene guardare solo ai dati che riguardano chi ha votato. La Grecia insomma ha dimostrato innegabilmente alla Troika e alle governance transnazionali che si può dismettere tutto ma non il diritto di decisione di un popolo e che quel diritto di decisione quando mette in atto un processo davvero costituente si esercita molto al di la' del momento del voto. D'altra parte che Tsipras debba rendere continuamente conto non è una frase fatta ma il commento più calzante a una fotografia qualunque di piazza Syntagma gremita ogni volta che a Berlino, a Francoforte o a Bruxelles si decide qualcosa che riguarda la vita dei cittadini e delle cittadine greci. E' questo il contagio che dobbiamo auspicare. E' questo il processo che dobbiamo mettere in atto quando diciamo di voler fare "come la Grecia". E' questo quello che Podemos deve sperare succeda anche in Spagna, al di là del consenso elettorale. È questa la vera straordinaria partita che può giocare l'Europa in contrapposizione al blocco di potere delle governance finanziarie e dei governi del nord Europa. Ne' imitazione, ne' condanna, ne' il giudizio alla finestra di una storia che in parte non ci appartiene. Piuttosto la costruzione di un senso collettivo di indisponibilità alla subalternità che fa da presupposto a qualunque scelta tattica e a qualcuno strategia elettorale. Se non ci poniamo il problema della ricomposizione, prima che del governo, ragioniamo inevitabilmente nello spazio di manovra concesso della cultura della delega e della rappresentanza o peggio, nel crinale dell'entusiasmo per il carisma e il fascino dei leader. E così, oltre a fare la collezione delle delusioni e a riproporre da tifosi una nuova versione della dicotomia riformismo/rivoluzione, resteremo commentatori alla finestre di storie che hanno scritto le piazze, le strade, gli scontri, gli scioperi a oltranza, gli assedi ai palazzi del governo, le autogestioni delle fabbriche prima che le schede nelle scatole e la guerra delle mozioni. I greci in questi mesi non sono mai tornati a casa, ne' da vinti ne' da vincitori, perché la politica e' innanzitutto cosa del popolo e non di chi governa e al popolo spetta l'ultima parola. È un'antica lezione che viene da più di duemila anni fa ma che si impartiva su una collina proprio a poche centinaia di metri da piazza Syntagma.