Le mobilitazioni di questi giorni in Danimarca ci hanno
offerto la possibilità di attraversare una speranza : la genesi di un nuovo
movimento globale che abbia nella difesa del pianeta e nell’incompatibilità con
il sistema economico i suoi tratti caratterizzanti. Ogni gestazione ha la sua
complessità e, soprattutto in questo contesto, lo si evince nella difficoltà di
fare rete che sappia essere sintesi di condivisione tra diversi sia sul piano
dell’elaborazione sia su quello della prassi.
In questi giorni di mobilitazioni abbiamo purtroppo fatto i conti con questo
tipo di difficoltà, così come con la gioia e la determinazione di provare ad
essere protagonisti dell’apertura di una fase importantissima per i movimenti
globali antisistemici.
Siamo venuti a Copenhagen per coniugare prassi ed elaborazione, ed è per questo
che abbiamo attraversato con le nostre differenze e le nostre chiavi di lettura
della fase globale il Klimat Forum. Allo stesso tempo abbiamo individuato nella
rete CJA climate justice action, un spazio che prova a sperimentare nuove forme
di disobbedienza . La grande manifestazione del 12 dicembre scorso ha
raccontato di come questo pulviscolo biopolitico stia cominciando a prendere le
forme di un movimento globale i cui issues
sono chiari e prioritari. Fuori dal Cop 15 tanto da dire, sulle energie, sul
modello di sviluppo, sulla riduzione dei consumi, dentro al Cop 15 solo una
farsa in cui qualcuno, come la
Cina, l’India ed il Brasile ci vorrebbero raccontare ancora
una volta la favola dei paesi “vittime” del “capitalismo americano”, salvo poi
scoprire che questi stessi colossi mondiali dell’inquinamento e dello
sfruttamento si accordano e si mettono sullo stesso piano della presunta
controparte.
La manifestazione del 12 dicembre con oltre 100 mila persone provenienti da
tutto il mondo c’ha raccontato proprio questo. Le tante cose da dire, le tante
alternative che il movimento costruisce in tutto il mondo, e la pochezza frutto
dell’irrinunciabile difesa del capitalismo che il Cop 15 esprimeva all’interno
del Bella Center.
Ma la pratica e lo spazio della disobbedienza restano senza alcun dubbio il
terreno prioritario su cui agire a livello globale, e soprattutto lo è stato in
questi giorni del Cop 15.
Abbiamo conosciuto diverse realtà provenienti da tutto il mondo che si sono
interrogate insieme sul come declinare la disobbedienza al Cop 15 in questi giorni. Di
fronte ci siamo trovati un apparato repressivo figlio della tradizione liberal conservatrice
della monarchica Danimarca, che si propone oggi come modello di polizia europea
in grado di detronizzare i conflitti, in un paese in cui lo stato delle lotte
sociali risulta impalpabile. Migliaia di arresti, 1300 solo tra l’11 ed il 13
dicembre, gabbie pop-up, isolamento, processi per direttissima senza avvocati.
Di contro massima formalità sulle “regole di ingaggio”, a differenza di come
sarebbe avvenuto nel nostro paese. Una strategia ben precisa che risulta essere
non solo la strategia di gestione di un vertice internazionale da parte della
polizia, ma si propone come modello di controllo sociale e annientamento dei
conflitti.
In questa situazione così caotica, che comprime la partecipazione alle
mobilitazioni e tende ad annullare le espressioni di radicalità, risulta ancor
più complesso, ma allo stesso tempo assolutamente necessario lo spazio della
disobbedienza. Quella espressa nei blocchi stradali del centro cittadino con la
samba, quella della manifestazione no border sotto al ministero della difesa.
Ma sappiamo bene che la stupidità è sempre in agguato. Una stupidità che si
ricopre di ridicolo quando qualcuno vorrebbe farci credere che lo spazio del
conflitto e della radicalità sono due bombette lanciate alla prima vetrina che
capita, scappando a gambe levate all’arrivo della “democraticissima” polizia,
rifugiandosi in altri spezzoni di corteo
coinvolgendo altri in pratiche che non hanno scelto. Altra roba rispetto
a spezzoni autorganizzati che abbiamo visto che scelgono dell’azione diretta
radicale ma organizzata la propria pratica.
Una “stalingrado” che si conclude con la solita e prevedibile fuga all’arrivo della polizia, e la solita e prevedibile vigliaccheria di chi si rifugia in altri spazi coinvolgendo altri in pratiche che sono assolutamente funzionali alle gestione che la polizia ha deciso di applicare in questi giorni. Questo ha portato al fermo di 210 persone, di cui 86 italiani della delegazione See you in Copnehagen, di cui uno, Luca Tornatore, astrofisico, e uno dei principali referenti della rete italiana qui al Cop 15, è stato arrestato con accuse assurde ed improbabili e resterà in carcere fino al 12 gennaio.
Da un lato il modello repressivo danese che si accredita come esempio da seguire, dall’altro l’assenza di una ricerca che provi a coniugare radicalita’ e partecipazione, un mix che tende a restringere lo spazio del conflitto sociale, della disobbedienza per contribuire alla distruzione, con essa, di un’esperienza globale che prova a muovere i primi passi.
La giornata del 16 dicembre, del Reclaim the power ha affermato invece l’esistenza di questo spazio, quello della disobbedienza. Un corteo composto da spezzoni organizzati come Via Campesina, il Clown army, il Samba block, il bike block, il Cja, e la rete See you in Copenhagen, insieme a tanti provenienti da tutto il mondo che hanno deciso di disobbedire alla gabbia preparata dalla polizia danese spingendo con i propri cordoni per invadere la zona rossa intorno al Bella Center. Una determinazione che non si vedeva da tempo in Europa e che ha visto la partecipazione di migliaia di persone, nonostante le manganellate, il pepper spray e gli arresti di massa.
Push…verso un nuovo movimento globale….push verso l’affermazione di quello spazio indispensabile che e’ la disobbedienza, push contro la blindatura e l’annientamento del conflitto.
Intanto all’interno il vertice falliva, delegazioni uscivano dal Bella Center e raggiungevano il blocco blu, altre azioni di disturbo del green block, e del bike block si snodavano intorno al Bella Center.
Un vertice fallito, esattamente come fu quello del Wto a Seattle nel 1999, la genesi di un nuovo movimento globale in difesa del pianeta e che rivendica il change del sistema economico mondiale, di un capitalismo che sta consumando il pianeta ed i suoi abitanti.
Alla fine un’improbabile accordo non vincolante viene spacciato come l’intesa del Cop 15, una farsa che non può riparare il fallimento del Cop 15 ne tantomeno può rappresentare una risposta a ciò che veniva reclamato fuori dal Bella Center.
La prima parte della nostra scommessa politica era quella di attraversare le mobilitazioni di Copenhagen in maniera organizzata provando a surfare in quel magma positivo di movimento, l’altra parte della nostra scommessa era quello di riuscire a capitalizzare quel percorso sui nostri territori. Davanti a questo percorso ci troviamo da oggi, declinare quelle issues qui a casa nostra, avviare percorsi concreti rispetto a quello che avviene nel nostro paese, dalla devastazione ambientale alla privatizzazione dell’acqua, dal tema delle energie a quello dei consumi e dei rifiuti.
* Rete See You in Copenhagen