Taranto-una mattina di Giugno.

10 / 6 / 2010

Il protagonista principale di questa storia è il Cloro Rosso, oltre due anni di iniziative politiche, culturali e sportive in uno spazio assolutamente periferico e dimenticato da tutti, nel contesto di un tipico quartiere dormitorio ai margini della città di Taranto, un esempio perfetto della peggiore tradizione urbanistica degli anni ottanta. Case e cemento su cui con forza picchia il sole e il vento, da quelle parti carico della morte prodotta dall’Ilva e dall’insieme del più grande e inquinante stabilimento siderurgico d’Europa. Il co-protagonista è il comune di Taranto, uscito dal  dissesto economico più grave della storia della Repubblica Italiana, retto da una maggioranza vagamente eterogenea guidata dal sindaco Ezio Stefàno, pediatra della porta accanto, esponente di Sinistra ecologia e libertà, per tutti una biografia da Libro Cuore. Insomma, anche Taranto, con tutti i suoi problemi, sembra un pezzo di quella Puglia esempio nazionale della buona politica, la Puglia che si pone come un grande laboratorio politico che trova espressione nella figura carismatica di un leader, Nichi Vendola, e legittimazione nelle sue Fabbriche. Un mondo nuovo che suscita la curiosità generale degli osservatori più o meno accreditati, quella stessa curiosità che ad agosto si prova nel guardare un documentario caraibico, prigionieri nell’appartamento del più caldo condominio di una città maledettamente afosa. Il contenzioso comincia, come deve essere, per la questione della messa a norma della struttura. Certo, è necessario che nella città dove fino a pochi anni fa non era a norma neanche la sede della Questura, che qualcuno si muovesse in questo senso. Tocca al Cloro Rosso cominciare la normalizzazione.
La trattativa comincia con i migliori auspici, sulla base delle parole più volte pronunciate dal sindaco in favore degli occupanti, le assicurazioni fatte alla stampa di voler trovare una casa a “questi ragazzi”. Questo dura fino a quando gli stessi, dopo poco tempo, vengono a sapere di essere sotto sgombero. Da questo momento i personaggi di questa storia si moltiplicano e molti tra questi non avranno probabilmente mai un volto e un nome.
L’ordinanza di sgombero firmata sulla scrivania del sindaco, sembrava scongiurata con l’annunciato protocollo d’intesa che avrebbe dovuto chiudere definitivamente quello che cominciava ad assumere i contorni del peggiore degli incubi. Il protocollo, comunicato in anticipo alla stampa, prevedeva da parte del comune l’onere del “recupero” della struttura in collaborazione con gli occupanti stessi, ormai veri e propri “fiduciari”. Non solo, veniamo adesso al passaggio più grottesco. Agli occupanti il comune avrebbe messo a disposizione addirittura un teatro, posto in un altro quartiere, altro grande esempio di lungimiranza urbanistica, pronto da anni e mai affidato ad anima viva.
Intanto una mattina di giugno, percorrendo via Scoglio del Tonno, dove un tempo sembra convivessero gli autoctoni e un primo nucleo di Micenei dediti alla pesca in un mare straordinariamente generoso, qualcuno si accorge della presenza massiccia di polizia e carabinieri in assetto antisommossa. Mentre le forze dell’ordine irrompevano nella struttura, con i muratori prontissimi alla tumulazione, si precipitano sul posto un assessore e un consigliere comunale con la revoca immediata dello sgombero firmata dal sindaco, ancora una volta più enigmatico dell’oracolo di Delfi. Grande è lo sconcerto in particolare tra i combattivi e motivatissimi vigili urbani. Sempre quelli che erano orgogliosi negli anni ’90 di ripulire “la città infestata dai migranti” a colpi di manganello, guidati dal sindaco sceriffo Giancarlo Cito. Mai visti migranti in città, forse perché spaventati dalla povertà e dalla guerra tra bande che in quegli anni macchiava di sangue i marciapiedi di Taranto . Duole pensare che ancora oggi molti tarantini pensano a Cito come esempio di statista cittadino, quasi al pari di Archita, che nel IV secolo rese questa stessa città la prima tra quelle della Magna Grecia, una volta tanto semplicemente a colpi di buona agricoltura e filosofia.
Grazie all’intervento di alcuni passanti e dei compagni/e che vivono da quelle parti, insieme all’arrivo tempestivo dell’assessore e del consigliere comunale, lo sgombero viene interrotto, tra le proteste dei vigili incredibilmente determinati nel portare a termine il loro lavoro.
Si ferma lo sgombero e il momento è surreale. La calce ancora bollente dovrà miracolosamente aspettare nei magazzini vuoti della questura, prima di raffreddarsi sulla porta della ex Martellotta. Giusto il tempo di altri quindici giorni mentre ancora nessuno avanza nuove proposte. L’incredulità ci ha avvicinato per la prima volta al “sentire” delle forze dell’ordine. Insomma una confusione sensoriale terribile, un viaggio allucinante per i presenti quasi soffocati dal sole .
Lo sgombero doveva partire, ed era vagamente concordato, per questo i documenti che avremmo dovuto e voluto firmare prevedevano effettivamente la consegna delle chiavi, ma anche la concessione del tristemente abbandonato teatro Mignon. Oggi sappiamo che il teatro deve restare nello stato in cui si trova, non può rientrare nella trattativa e nessuno può spiegarci il perché.
Siamo forse ancora all’inizio. Intanto, per adesso, almeno qui tra i Due mari, lunga vita al buon governo, alle Fabbriche e alla Puglia migliore, esempio di quella buona politica che vuole legittimarsi dal basso.