Verona - Il rischio è quello di fare i conti senza l’oste. E che quel «subito» pronunciato dal sindaco Tosi in merito alla realizzazione di un Cie - il centro d’identificazione ed espulsione per i clandestini - nel Veronese altro non diventi che un imperativo da lasciare a futura memoria. Già, perché qui - a quanto pare - ci sono almeno due variabili che quel «subito» rischiano di vanificarlo. La prima è assolutamente «temporale». Perché quel «subito» stride alquanto, visto che è trascorso più di un anno (era il luglio del 2008) da quando, sempre in uno di quegli incontri con il suo mentore ministro degli Interni, Tosi proferì le parole «Se ti serve noi a Verona ci siamo. Il centro lo potremo fare lì». Trascorse qualche mese e a febbraio il caudillo Flavio si mise a fare di logistica, indicando i siti. Prima Villafranca, poi Bovolone. Il silenzio, guarda caso, cadde come un velo di piombo giusto nel periodo delle elezioni. Con le veline romane che dicevano come i giochi all’epoca fossero già stati fatti e il foglio con il fatidico nome del Comune «ospitante» fosse tenuto nel cassetto di Maroni in attesa dello spoglio. Tempi e luoghi che con il «subito» pronunciato da Tosi hanno poco a che fare. Ma l’avverbio non casca a fagiolo anche per un altro elemento. Non esattamente trascurabile.
E se alla costruzione del Cie a Bovolone a quanto pare manca solo il crisma dell’ufficialità, la stessa è assicurata sul fronte opposto. Quello della contestazione. «Quella di Tosi - dice Max Gallob portavoce dei centri sociali del Nord Est - potrebbe sembrare una boutade agostiana tipica del suo partito, se non fosse che si dovrebbe vergognare solo a pensare all’eventualità di costruire un centro del genere, mentre c’è gente che muore tentando di arrivare qui per avere una vita migliore tra il silenzio assordante di questo governo e le lacrime di coccodrillo del centrosinistra che questi centri li ha voluti». Poi il guanto di sfida. «Come centri sociali del Nord Est diffidiamo Tosi dal continuare su questa strada, facendo la propria campagna elettorale per le elezioni regionali sulla pelle di gente che scappa dalla propria terra per fame. Il suo e quello sui Cie è uno spettacolo indecente della politica». Dire che si preannuncia un autunno caldo sul fronte del centro di identificazione ed espulsione non è cosa da grandi veggenti. Anche perché sulla barricata del «no» si schiera tutta l’area antagonista. «L’unico ad essere sicuro che qui si farà un Cie è Tosi», taglia corto Roberto Malesani di Cittadinanza Globale e legale di Adl, l’associazione sindacale di difesa dei lavoratori. «Noi ci batteremo con tutte le nostre forze perchè non venga costruito. Quel centro dimostra come il razzismo si stia istituzionalizzando sia a livello amministrativo che normativo. Da mesi nei centri già esistenti sono in atto rivolte da parte degli stessi stranieri reclusi. Non capisco come Tosi possa dimostrare tutta questa sicurezza. Si deve aspettare la massima contrapposizione possibile. Si confronterà come le lotte che partono dal basso, quelle degli stessi immigrati, che avranno tutto il nostro sostegno per qualsiasi forma di lotta e anche quello delle associazioni antirazziste». Insomma, il Cie non ha ancora il crisma dell’ufficialità ma ha già ricevuto il battesimo della contestazione. Quella che non accetta transigenze di nessun tipo. E che si muove anche sul fronte politico.
«Piuttosto che costruire un Cie si spendano i soldi per realizzare nuovi alloggi e andare incontro alla crisi delle famiglie e del reddito», dice il collettivo Metropolis che proprio stamattina sarà impegnato a Bovolone contro uno sfratto. «Noi quei centri li riteniamo illegittimi. Posti dove la gente viene imprigionata per sei mesi, quando non si capisce che quello della migrazione è un fenomeno inarrestabile. Faremo di tutto per contrastare la costruzione del centro, ma i primi ad opporsi dovranno essere i residenti. Porteremo in quella zona gli abitanti di Lampedusa, quelli di Modena, quelli di via Corelli a Milano. E gli faremo raccontare cosa vuol dire vivere vicino a un Cie. Perchè quei centri sono un problema anche per le comunità che li "ospitano". La Lega che si sporca la bocca con la parola democrazia, che dice di fare il bene dei cittadini, indica un referendum. E faccia scegliere a loro se vogliono un Cie o no». Che quel centro non s’ha da fare è opinione anche del centro sociale La Chimica e della rete cittadina antirazzista. «È un provvedimento grave, che porterà a reazioni come quelle che si sono viste a Vicenza per la base americana. Ci sarà la mobilitazione e le realtà antirazziste non si gireranno dall’altra parte, in un momento come questo in cui le ronde sono usate come specchietto per le allodole, facendo passare sotto silenzio quanto sta accadendo negli altri Cie, con gente che non avendo commesso alcun reato se non quello di immigrazione clandestina può essere trattenuta per 180 giorni». Perché quel «subito» di Tosi potrebbe avere il decorso dello stesso avverbio usato per un’altra struttura. La base americana a Vicenza. «Subito» doveva essere pronto anche il Dal Molin. Sono trascorsi oltre tre anni, la base è ancora sulla carta, ma le contestazioni non si fermano.
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