Era nell’aria e da questa mattina è un fatto concreto. Il CIE di Gradisca va verso la chiusura. Si tratta di un provvedimento certamente temporaneo e parziale per il quale circa 35 migranti già in queste ore sono in via di trasferimento verso il CIE di Trapani con un aereo di Poste Italiane.
La conferma ufficiale, con tempi e modalità certe ancora non c’è, ma lo scenario che abbiamo di fronte è palese e certo.
Centinaia di denunce, decine di rapporti, molte delibere e prese di
posizione, hanno contribuito in questi anni a svelare la natura del CIE,
la sua brutalità e la sua ingiustizia.
La realtà di queste ore ci racconta però come la sua chiusura sia
conseguenza diretta di altro: della sua distruzione, delle rivolte di
chi, privato della libertà in condizioni disumane, abbia materialmente
rotto le gabbie dentro cui era confinato.
Non è poco. Si tratta di
far tesoro di questa lezione perché nelle prossime settimane non
prendano il sopravvento la retorica e le ambiguità.
Si apre infatti oggi la partita più importante. Perché
se il Viminale ha scelto di chiudere temporaneamente la struttura lo ha
fatto per la sua comprovata ingestibilità ed il rischio è quello di
trovarci di fronte o ad una sua riapertura frettolosa, una volta
sistemato in maniera approssimativa, oppure ad una sua ristrutturazione
funzionale al contenimento delle rivolte, così come già indicato dal
documento programmatico di indirizzo del Viminale all’inizio del 2013.
Un CIE più umano e per questo accettabile?
Non sappiamo quale siano le decisioni delle prossime ore, ma forse poco importa.
Ciò che invece sembra importante è che in questo momento prenda forma, anche nel concreto, l’ipotesi di chiusura definita: l’idea che il CIE non debba riaprire più.
Già il prossimo 16 novembre a Gradisca, il
Movimento contro il CIE si è dato appuntamento per chiedere la
cancellazione definitiva del capitolo CIE dalla storia dell’isontino.
Sembra proprio il momento giusto. Quello per far valere in concreto
anche quelle posizioni istituzionali che negli scorsi mesi si erano
espresse contrariamente alla presenza del CIE. Senza ambiguità, senza se
e senza ma, è il momento per far si che questa chiusura temporanea si
trasformi in chiusura definitiva.
Lo dobbiamo a chi da dentro ha chiuso la gabbia in cui era costretto.