Da dove ha votato l'Italia?

Qualche considerazione dopo le elezioni europee

27 / 5 / 2014

Ha tanti nomi l'ingiustizia

e sono tante le grida che provoca.

E non dimenticare

che mentre alcuni sussurrano

altri gridano.

L'ascolto deve trovare la strada che lo faccia fertile .

Basta abbassare lo sguardo e alzare il cuore

(Tra la luce e l'ombra - Le ultime parole del Subcomandante Marcos prima di cessare di esistere)



Comincerei con una premessa di metodo: nel quadro complessivo di delegittimazione delle istituzioni politiche tutte ( e dunque anche di quelle comunitarie), di spostamento e decentramento del ruolo esecutivo dei Parlamenti e di produzione continua di formule di gestione del governo non legittimate da voto, i risultati elettorali, di qualsiasi natura essi siano, non possono rappresentare una discontinuità troppo profonda nella lettura delle processualità sociali e politiche. Questo non significa non attribuirvi importanza o non sentire la necessità di leggere la cartografia europea che è emersa lunedì mattina. Significa piuttosto abbandonare i toni apocalittici che hanno accompagnato, soprattutto in Italia, le ultime tornate elettorali, quei toni lamentosi degli affezionati alle x sulle schede colorate, che si preoccupano insistentemente dei sintomi e non dell'individuazione della malattia. Una malattia che in Italia ha sempre delle manifestazioni più inquietanti, ma che, non per questo, può farci assumere una lettura provincializzata dello stesso voto europeo.

Certo alcune cose rendono il nostro paese, che è pur sempre lo scenario primo con il quale facciamo i conti, il posto in cui saltano le letture complessiva per lasciare posto a delle specificità locali, che né possono essere semplificate dentro un'analisi post-voto, né possono essere banalizzate attraverso paragoni con il passato recente o remoto della nostra storia politica.

Quello che tuttavia si può cogliere, a partire dalla volontà di sperimentare una lettura transnazionale delle tendenze espresse dal voto, ha molto a che fare con la società viva e reale e proprio per questo è sconcertante e pericoloso.

Da questo punto di vista l'Italia è perfettamente in linea con le principali tendenze europee, più nord-europee che sud-europee, nostro malgrado. Il trionfo dei partiti che possiamo definire “dell'austerity” o del “governo della crisi” è un dato incontrovertibile. I partiti di centro o centro-destra tengono o trionfano quasi dappertutto, affiancati (o nel caso drammatico della Francia) scavalcati dalle destre conservatrici o euroscettiche. L'Italia conferma questo dato con enfasi particolare. L'attuale Presidente del Consiglio, l'enfant prodige fiorentino Matteo Renzi, sbanca letteralmente e risulta essere tra i più votati in Europa. Complici, ma non sufficienti, l'operazione 80 euro, la giovane età e il piglio da eroe gentile, la stanchezza di un paese che negli ultimi anni si è lasciato scegliere senza avere la forza sufficiente per pretendere diritto alla decisione. Complici ma non sufficienti tutte la malattie leaderistiche e neo-autoritarie che stanno dietro i sistematici innamoramenti degli italiani nei confronti degli uomini soli al comando. C'è dell'altro. Renzi è espressione di un governo di larghe intese, un governo che nelle ultime settimane, soprattutto attraverso alcuni dei suoi Ministri, ha espresso modalità e pratiche di governo che nulla hanno a che vedere con la democrazia. Il cieco attacco all'illegalità, quando questa stessa significa alternativa alla disperazione sociale, la chiusura coatta degli spazi del dissenso, sono solo alcune delle cose vere e crude che questo governo stava praticando silentemente prima di questa tornata elettorale e che questo plebiscito ha innegabilmente legittimato. Di fatti, al di là dell'astensione che non ha però nulla a che fare con il PD, un bel pezzo del paese ha sottoscritto un mandato di fiducia nei confronti non solo del giovane yuppie, ma anche nei confronti del suo estabilishment che puzza di vecchio e di reazione. Questa cosa è successa in tutta Europa. La reazione nelle sue forme educate ed austere, ha tenuto dappertutto, assorbita e arginata in gran parte da quelle forze che in forme diverse raccolgono il dissenso e lo traghettano verso le semplificazioni identitarie. Ogni paese ha la tua espressione euroscettica e destrorsa e quasi ognuna di questa ha sbancato: il Front National di Marie Le Pin che è addirittura in testa all'UMP e al socialisti di Hollande con il 24% , l'Ukip di Farage in Gran Bretagna con il 31%, il Danish People Party danese con il 23% , l'FPOE austriaco con il 20%, il Knp polacco con il 7%, il PVV olandese con il 13,2% e l'immancabile Alba Dorata con il suo 9,3%, ma la Grecia racconta un'altra storia, polfonica e costituente.

L'Italia di queste europee, dal punto di vista parziale della rappresentanza politica, sveste i panni del Pigs, non tanto perché la sinistra radicale legata a Tsipras ce l'ha fatta per il rotto della cuffia mentre negli altri paesi del sud-europa oscilla tra il 26,7% greco, il 7,9 di Podemos e 10% dell'Izquierda Unida/Plural spagnoli e il 13% della sinistra portoghese, ma perché vede l'affermazione di un modello politico maggiormente in continuità con il codice mittel-europeo. Stravince Renzi, ovvero il post-ideologico ma con una mano allo schieramento socialdemocratico europeo e l'altra all'asse delle grosse intesemerkeliane. Perdono nel contempo spazio le destre populiste, clientelari, filo-mafiose e corrotte di stampo berlusconiano, quelle destre tipicamente meridionali nella postura e nella modalità di costruzione del consenso.

Gli euroscettici nostrani, in buona parte razzisti, identitari e sufficientemente ignoranti si muovono agevolmente tra il 20% di Grillo e il 6 della Lega Nord. Due forze certamente diverse ma che si aggiudicano il consenso dell'indignazione larga e della rabbia dai bersagli confusi. In questo caso quella che qualcuno definisce la debacle di Grillo non può essere considerata in assoluto e senza tenere conto del forte astensionismo. Quello che è certo che è che la veemenza del comico contro tutto e tutti, contro tav, migranti, banchieri, politici, moneta unica e tedeschi, rappresenta la forza più simile agli euroscettici sparsi per l'Europa, al di là della difficoltà interna allo stesso movimento, di scegliere una collocazione politica a destra, che comunque in Italia, inciderebbe negativamente sui consensi.

L'Italia vota insomma come se non fosse un PIIGS, come se le agenzie di Rating, la Bce e il Fondo Monetario, non l'avessero mai trattata come tale, come se i dati sulla disoccupazione sul welfare non la facessero scivolare dalla parte del meridione d'Europa. Dalla campagna elettorale questo tema importantissimo e che avrebbe reso veramente europea la campagna stessa, è stato bandito e ne è venuta fuori una storia deterritoralizzata che fa tabula rasa di questi anni trascorsi pagando la crisi e pagandola da sud. E' esattamente l'assunzione di questa prospettiva, non servile nei confronti della Germania, ma anche aperta alla costruzione di un'Europa alternativa, un' Europa dei diritti, del welfare, , quella che ha permesso agli altri paesi del sud Europa di tenere testa alle destre e ai p0pulisti. E' esattamente questa la prospettiva che una sinistra vera dovrebbe assumere anche da queste parti, semmai il progetto de L'altra Europa decidesse di proseguire in una forma stabile.

Su questo tema molto hanno da sperimentare anche,e forse soprattutto gli stessi movimenti sociali, perché non va dimenticato che gli altri Pigs hanno visto durante tutti questi anni l'emersione e la riemersione costante di conflitti sociali e plurali veri e moltitudinari, che hanno quanto meno dato il sentore, che esiste un'alternativa costituente e non identitaria all'Europa delle lobby e delle governance. Questo sentore poi può tradursi nel dato elettorale, anche sì, ma non solo. L'importante è che si traduca nella società, che serpeggi nei quartieri e che abiti le città. Perchè quello che è veramente pericoloso è il quadro di un'Europa abitata da odio razziale, che chiude le frontiere, che mortifica le marginalità sociali, che opprime e occlude gli spazi della democrazia reale.

Evitare questa riformulazione neo-autoritaria dello spazio transanazionale che abitiamo è compito dei movimenti, perchè per farlo e farlo efficacemente bisogna stare nelle strade e nelle piazze reali, rifuggire la virtualità e l'auto-referenzialità dei salotti. Bisogna abitarla l'Europa e per abitarla, come l'esercito di sognatori che di fatti siamo, dobbiamo costruire un linguaggio pieno di connessioni, attaccato alle contraddizioni, sporco e vero., come sporche e vere sono le biografie dell'Europa devastata dalla crisi.