Desiderio dissidente

5 / 12 / 2010

Chi non abiti a Roma con difficoltà riesce a immaginarsi l’inferno pomeridiano del Muro Torto, quando i moderni automobilisti si bloccano terrorizzati nel traffico come nel VI secolo i Goti di Vitige e Totila restarono sgomenti all’incombere dello sperone inclinato delle Mura Aureliane che a quel viale di scorrimento ha dato nome. Che gli abitualmente imbufaliti conducenti siano scesi dalle macchine nel pomeriggio del 30 novembre applaudendo i manifestanti che risalivano il vetusto murus ruptus, diretti a occupare i binari di Termini –beh, questo è forse stato ancor più meraviglioso della determinazione, del coraggio e della forza-invenzione con cui gli studenti hanno gestito quella giornata di protesta. Si è ripetuto quel segno storico che addirittura Immanuel Kant, nel 1798, additava per dimostrare che il genere umano poteva progredire verso il meglio. Visto che abbiamo evocato siffatto nume della filosofia, diciamola tutta: signum commemorativum, demonstrativum, prognosticum! Insomma, Kant sosteneva che, per dimostrare la bontà di una causa (della Rivoluzione francese), occorreva valutare non tanto la grandezza degli obbiettivi e delle imprese quanto la reazione spontanea di spettatori disinteressati, che nell’immediato non traevano vantaggi o svantaggi, ma fossero capaci di appassionarsi per il puro carattere liberatorio dell’evento, ovvero una partecipazione di soggetti non coinvoltiche rasenta l’entusiasmo, malgrado un margine di pericolo (nel nostro caso un semplice prolungamento dell’ingorgo), ciò che testimonia una disposizione morale della specie umana.

L’abbiamo menata un po’ lunga, ma credo che tutti i dimostranti l’abbiano presa così, avessero o no letto Kant, che cioè abbiano colto un’immediata rispondenza pubblica alla loro azione, come se il loro gesto avesse rotto un clima di rassegnata depressione mostrando che ribellarsi era possibile e questa ribellione andava oltre il rifiuto della legge Gelmini, oltre la protesta per il degrado della cultura e della scuola, perfino oltre la contestazione del regime di precariato. Al punto da significare molte altre sofferenze, disagi inespressi, voglie di resistenza e cambiamento. Vecchiette alle finestre di via della Vite indignate per le cariche poliziesche sotto casa, pendolari a Termini che battevano le mani, indifferenti a un ritardo che rischiava di cumularsi a quelli ordinari e sorpresi che i manifestanti evitassero di occupare i binari loro dedicati. Un groviglio di aneliti, rabbia, dissenso affermativo di novità. Con una parola familiare: desiderio dissidente.

Vengono in mente queste considerazioni nel leggere il 44° rapporto annuale Censis sulla situazione sociale del Paese, che fotografa con fedeltà quanto era pressappoco vero fino al 29 novembre e dal 30 non lo è più: la morte della Legge e del Desiderio. I riferimenti alti e nobili si sono lasciati dietro solo una scia di delusione. Chi doveva decidere alla fine non ha deciso, le promesse non sono state mantenute. Il mercato vacilla, le specializzazioni un tempo vincenti contano sempre meno. Cosa rimane? Solo «un'onda di pulsioni sregolate», manca «un dispositivo di fondo (centrale o periferico, morale o giuridico) che disciplini comportamenti, atteggiamenti, valori». Non c’è più legge che tenga e neanche un'aspirazione autentica al meglio: rimane «il desiderio esangue», che appiattisce la società. L'Italia 2010 è per il Censis un paese dominato da «un inconscio collettivo, senza legge, né desiderio»; «una società con poco vigore perché abbiamo poco spessore», commenta il suo presidente De Rita, lamentando che la legge conta sempre di meno e il desiderio svanisce, che l’auctoritas (del padre e del potere) non è più rispettata e infine che il permissivismo ha neutralizzato il desiderio. Con il declino della legge del padre i bambini «giocano con giocattoli che non hanno mai desiderato» e i ragazzi non sanno quali scegliere fra 3200 corsi di laurea.

Il richiamo alle strategie del tardo capitalismo secondo Marcuse non attenua una certa banalità dell’analisi, tanto meno il nostalgico rimedio consistente nel «rilanciare la legge, ridare senso allo Stato, alla figura paterna, alla dimensione sociale del peccato, ma anche di ridare fiato al desiderio». Senza beninteso scivolare nel bullismo, nello scatenamento delle pulsioni bullistiche e nei «facili godimenti sessuali», insomma nella sregolatezza nichilistica e asociale. Troppo consumismo e troppo indebitamento per futilità, leaderismo e carisma non seducono più. Anche qui tutto è diventato piatto e non fa neppure presa la personalizzazione della politica. Il decisionismo ha fallito su tutti i piani, dalla social card che avrebbe dovuto tamponare la povertà, alle grandi opere pubbliche e al rilancio edilizio, nessun chiede di formare ronde (meno male!) e le riforme tanto strombazzate sono rimaste sproloqui negli studi Tv.

A parte discutibili rimpianti e velleità di riforma morale, il Censis denuncia la depressione delle energie vitali, magari sottovalutandone le cause materiali –l’impoverimento dei redditi, la crescita dei pignoramenti, la contrazione delle aspettative, il degrado dei servizi, la disoccupazione giovanile e la descolarizzazione. Segnala il punto più basso dell’effetto combinato del berlusconismo e del collasso della sinistra, il grado zero da cui è improvvisamente ripartito il desiderio –un desiderio che non vuole affatto restaurare antichi valori e non si produce a controparte di una nuova legalità, piuttosto intende porre nuovi valori, farsi legge nel senso di autoriforma dell’università, per esempio, di nuovi criteri di merito fondati sulla cooperazione inclusiva più che sulla selezione esclusiva.

E non si tratta di una svolta limitata alla presa d’atto della crisi del capitalismo cognitivo: non si valuta ancora abbastanza quanto sta succedendo alla Fiat, il fallimento clamoroso del ricatto Di Marchionne e Sacconi e la penosa retromarcia degli scissionisti Cisl e Uil. Dove sono finiti gli alti lai per il terrorismo delle uova? Che ne è delle chiacchiere su Fabbrica Italia? Licenziamenti e messe in cassa integrazione di proporzioni inaudite si stanno addensando sull’inesorabile ascesa del saggio ordinario di disoccupazione, mentre i colpi più duri della speculazione finanziaria e della manovra correttiva imposta da Bruxelles devono ancora arrivare. Monta, nel cono d’ombra dell’attenzione mediatica, una protesta sociale di cui in Europa abbiano già avuto consistenti assaggi. Chi ha detto che il desiderio sarà gentile? Vedrete come i mass media di regime rimpiangeranno i book block...

E tutte le grandi manovre del grande centro, la compravendita dei voti, elezioni sì elezioni no, le prerogative presidenziali, le “rivelazioni” WikiLeaks, le notti selvagge dello psiconano, gli intrighi con Putin? Ma che si fottano fra loro, oggi non fanno problema. Domani sì, perché i successori ci costringeranno a lotte molto più dure cui dovremo prepararci. Per adesso godiamoci il successo e il decollo di una configurazione autonoma e vittoriosa dei movimenti, un primo passo in cui abbiamo sentito ed sperimentato di essere vivi e di suscitare consenso, solo un’avanguardia ma in progresso, in sintonia tendenziale con una riscossa di massa.

Il 14 dicembre, comunque vada la commedia dei voti di fiducia e sfiducia, e non il 9 febbraio proclamato dal governo pro-life sarà la giornata nazionale degli stati vegetativi: di Berlusconi e del centro-destra. Stacchiamo la spina!

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