Vogliamo raccontare una storia. Che parla di carcere. Di condizioni di detenzione disumane. Di sovrappopolazione. Di aumento di suicidi. Di proteste dei detenuti e di scioperi della fame. Vogliamo raccontare la storia di una città che si mette in ascolto. Che si mette in gioco e in discussione. Che per essere una città degna non può accettare che il carcere di Santa Maria Maggiore, in pieno centro storico, sia una vergogna. Uno degli esempi meno dignitosi delle condizioni di detenzione. Un carcere dove si continua a morire. Dove i progetti di reinserimento meno funzionano e meno parlano alla città. Vogliamo raccontare una storia che parte dal basso. Dove società civile, associazioni, gruppi musicali, singoli cittadini, spazi sociali si organizzano, drizzano le antenne e quelle proteste ascoltano e da quelle stesse proteste si fanno ascoltare. Le scope fuori dalle finestre con attaccati gli specchietti per vedere cosa succede fuori, dalle celle. I cartelli disegnati dentro che parlano di dignità. Gli applausi. I "grazie", urlati dalle celle. Gli "ancora", quando inizia la musica.
Oggi vogliamo raccontare la storia di una città che per essere degna non accetta che una parte della sua popolazione, quella detenuta, viva condizioni disumane. E' una storia che si narra a modo suo, si riappropria di linguaggi diversi. Che legge De Andrè e Majakovskij. Che parla di Kociss e di ska. Che rappa e scrive di dignità e di libertà. Una storia che davanti al carcere costruisce ponti e nei fazzoletti bianchi appesi dalle finestre, dentro, sa commuoversi e confrontarsi. Una storia che parla attraverso le sbarre e i muri. Affronta le sue contraddizioni. E finisce con un applauso. Con "questa è per voi, non siete soli".
Intervento di Tommaso Cacciari
Intervento di Giovanni Dell'Olivo
