Il family day al Quadraro

7 / 3 / 2011

Perché solo gli straricchi sono liberi di fare le orge a casa loro? Bunga bunga per tutti –deve aver pensato il branco del Quadraro, trasferendo in costumi di Arcore alla caserma romana e usando la violenza di Stato su una detenuta al posto dei biglietti da 500 € e dei gioielli generosamente erogati dal loro Capo gerarchico. Whisky al posto del Sanbitter berlusconiano e via con un allegro rapporto “consensuale” fra una “sbandata” che “ci stava” e due CC, mentre l’altra coppia sedicente gay (il terzo militare della Benemerita e un vigile urbano) sarebbe stata a guardare ­come Fede e Lele Mora in contesti più glam. Una vicenda allucinante che comincia con un taccheggio all’Oviesse, la zelante denuncia e la notte da incubo –tutta la parabola della legge italiana, spietata con i deboli, elastica con i raccomandati (Ruby alla Questura di Milano), in entrambi i casi inadeguata alla tutela della società e perfino al rispetto dei princìpi del diritto. Quale senso aveva –anche se tutti si fossero comportati correttamente– far passare una notte in guardina per qualche capo di vestiario a buon mercato (che si può rubare in una catena di serie B come Oviesse?), salvo a essere rimessi in libertà dal magistrato per routine il mattino dopo? E che genere di “servitori dello Stato” sono coloro che, dopo un infame abuso, usano gli argomenti di qualsiasi teppista violentatore (lo voleva lei, ci ha attizzato, non abbiamo neanche dovuto menarla), come se la violenza non fosse già implicita nello stato di carcerazione temporanea? E che ci faceva il vigile ospite in caserma, bel testimonial delle tesi su emancipazione femminile e stupro del suo capo Alemanno? E come mai i rei confessi di un crimine aggravato dalla qualità di pubblico ufficiale sono ancora in libertà, appena spostati di parrocchia per continuare a far danno, come un qualsiasi prete pedofilo? (Il vigile è stato traslocato dal faticoso servizio in strada a un comodo ufficio). E ancora: come si è ripetuta al Quadraro la formazione di un branco di complici simile ai ricattatori di trans e clienti della stazione CC Trionfale ai tempi del caso Marrazzo? Non esiste più per l’Arma una catena di comando, ognuno delinque per conto proprio, neppure per comando dei superiori? A questo punto è arrivata la degenerazione di una macchina statale che non amiamo neppure quando funziona secondo le sue regole?

Il dispositivo del potere in Italia trova in questo episodio, di cui non cessiamo di sottolineare la gravità, la sua espressione esemplare. A livello di propaganda si cerca il consenso diffondendo la paura (il violentatore, il teppista, l’immigrato violento o spacciatore, il rom ladro), stigmatizzando il diverso (il trans, il gay, la prostituta) ed esaltando i valori della famiglia tradizionale (quella dove più alta è, peraltro, l’incidenza dell’uccisione di donne e minori). Nella realtà chi più ha potere massimamente si diletta nelle pratiche sopra condannate, sottraendosi al giudizio, mentendo o invocando, in alternativa, la privacy. Mentre ci sono “intellettuali” come Ostellino che ridacchiano sostenendo ogni settimana sul Corsera che le donne devono rendersi conto di stare sedute sulla loro fortuna. Non meraviglia che l’ultima ruota del carro del potere –la stazione Quadraro del CC e il pizzardone ospite– imitino l’arroganza del conducente, ottenendo favori con alcol e manette invece che con “regalini”. La corruzione, nel gradino più basso, si svela forza bruta e ricatto, trasferendo nello spazio coercitivo della camera di sicurezza lo scambio, largamente diffuso sulla strada, fra tolleranza e abuso delle prostitute e dei trans. Invece del “libero” mercato del corpo, la corvée medievale in natura o la pura e semplice violenza occasionale –sempre gratificante per il potere: non «cummannari è megghiu ‘ca futtiri» ma tutte e due le cose insieme. Il ritorno neo-liberista all’Ottocento regredisce ancora più indietro, a pratiche sbirresche brutali anteriori perfino alla Rivoluzione francese.

Il candido stupore degli amiconi-stupratori (ma era una cosa sciolta, faceva piacere a tutti) indica –a parte, e non è poco, una mentalità maschile che produce vergogna di genere– una perfetta inconsapevolezza della natura delle legge e delle garanzie per gli arrestati. Tutori dell’ordine o del disordine? Addetti alla sicurezza o all’insicurezza? Del resto il caso Cucchi ce ne aveva offerto una versione ancor più feroce e burocratica, culminante con la morte. Con la stessa complicità trasversale fra figure differenti, non coordinate funzionalmente ma associate nella medesima sprezzante indifferenza per il cittadino recluso. Aggiungiamo il fatto che per tutta la notte il branco ha avuto a disposizione la vittima senza alcun controllo. Non si è parlato di provvedimenti per il comandante la stazione CC e per la catena di comando soprastante. Possibile che un appuntato e due carabinieri semplici si ritengano e siano liberi di fare quello che gli pare? Usi a obbedire tacendo? Un cazzo, prima fanno quello che gli pare, poi chiacchierano a ruota libera diffamando la vittima. Al massimo si parla di “mele marce” che infangano l’Arma. In verità stanno infangando una donna e stanno infangando l’Italia. Come, più in alto, il cavalier Pompetta cerca di infangare tutte le donne e l’Italia, trasformandone il Centocinquantenario in un carnevale osceno.

Per questo l’8 marzo il ricordo del massacro del 1911 diventa protesta diretta contro un potere che si alimenta dello sfruttamento dei corpi precari (pagati raramente 7000 € a botta o per lo più 700 € a mese, quando va bene) e della violenza sistematica contro i deboli. Una protesta che parte emblematicamente dalle donne ma non ha confini di genere. Una protesta che elenca le vittime ma non ci fa sentire vittime. Che ricorda il rogo dell’Asch Building e la vergogna della stazione Quadraro, ma guarda a piazza Tahrir, a Tunisi e Benghazi. Che a tutti i livelli gli stupratori di Stato si guardino il culo: flaccido o in divisa.

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