Tratto da Repubblica Napoli

Imprese e famiglie: l’economia è l’arte del possibile

di Ugo Marani

24 / 5 / 2012

Chi voglia oggi affrontare con un minimo di realismo la natura dei problemi che affliggono le imprese e le famiglie della nostra regione deve porsi tre questioni sostanziali: la tassazione, l’esazione dei tributi e le relazioni con il sistema creditizio. Si tratta di tre fenomeni distinti ma che, tuttavia, operano nella medesima perversa direzione e tendono a vincolare oltre misura il bilancio della collettività.

Partiamo dal primo vertice del triangolo: il sistema creditizio. Fino a qualche lustro addietro comprendere il comportamento delle banche nel Mezzogiorno richiedeva una duplice indagine. Prima si valutavano le tendenze degli intermediari a livello nazionale; poi s’indagava su quanto simili tendenze si estendessero alle regioni meridionali. Era un esercizio difficile ma, in qualche modo, rassicurante: le sfaccettature del sistema creditizio del Mezzogiorno, la presenza d’intermediari diversi per natura giuridica, specializzazione e funzione, impedivano una meccanicistica traslazione dai nostri parti di quanto avveniva altrove. Oggi il sistema creditizio meridionale è il sistema creditizio nazionale, in ragione di un’omologazione di rapporti con le famiglie e con le imprese, derivante dalla presenza, di fatto, di un’unica classe nazionale di banche.

Il dato da cui partire è che i grandi gruppi bancari italiani sono tra i meno solidi tra le poco solide banche di rilievo internazionale. Si tratta di un fenomeno che l’Associazione Bancaria tende a negare, specie in occasione di revisioni internazionali del rating, ma tant’è: i nostri giganti creditizi sono ampiamente sottocapitalizzati. Al lettore, probabilmente, interesserà poco la genesi della fragilità di un sistema tanto protetto quanto avventuristico, tanto incline ai lauti guadagni rischiosi quanto autocommiserantesi in caso di cattiva sorte. Quel che ci interessa è che oggi la loro debolezza è istituzionalmente accertata: la European Bank Association, ovvero il braccio armato della vigilanza creditizia della Banca Centrale Europea, attesta l’inadeguatezza patrimoniale di molte delle nostre banche; Morgan Stanley ce lo ricorda spesso con sadica puntualità. Ebbene tale inadeguatezza può essere ovviata, in linea di principio, tramite due reazioni: incrementi patrimoniali o adeguamento verso il basso dei livelli di attività, impieghi e finanziamenti, al patrimonio oggi esistente. Checché se ne dica o si neghi, le banche stanno seguendo, nei fatti, la seconda strada, e cioè il ridimensionamento del fatturato e la compressione del rischio. E in regime di omologazione gli effetti si riverberano in Campania come in Veneto, per famiglie e imprese allo stesso modo, su famiglie e imprese, con un perverso ricorso, quello dei banchieri, alla terminologia anglosassone per rendere la motivazione oggettiva e immanente. Si sente sovente affermare, dal mondo bancario, che “gli Stress Test evidenziano bassi Tier-1 che comportano un Deleveraging e un Credit Crunch che impongono un più severo Rating e Credit Scoring”. La cui traduzione, nel gergo nostrano, altro non è che l’indisponibilità al finanziamento delle famiglie e i rientri delle imprese dagli scoperti e dagli affidamenti.

Ma, si suol dire, le disgrazie non vengono mai da sole. Così, alle pene inflitte dalla banca, si aggiungono gli inasprimenti fiscali, specie verso un settore, quello delle piccole e medie imprese, la cui imposizione è in Campania paradossalmente superiore di una diecina di punti a quella del Centro-Nord. Il secondo vertice del triangolo (delle Bermuda) è bello e delineato: un’impresa campana ha un carico fiscale più oneroso e tempi di pagamento, per le produzioni fatturate alla Pubblica Amministrazione, più diluiti nel tempo. Un’assenza di solerzia, quella dello Stato nella sua figura di debitore, che scompare per incanto quando esso funge da creditore e delega a Equitalia l’esazione di quanto dovuto.

E’ dunque chiaro che l’azione congiunta di finanza, tassazione e esazione costituisce una miscela socialmente esplosiva e economicamente esiziale, dalle quali, in Campania come altrove, non se ne esce né con il ribellismo né con gli ampollosi richiami ai doveri dei singoli.

Un governo assennato di un’economia in crisi nella quale la contrazione dei redditi e dell’occupazione non rappresenta solo una mancata performance ma è cagione di disperazione e di sofferenza umana, esige la riscoperta pubblica dell’arte del possibile, oltre le certezze della ripetitività burocratica.

E’ possibile, ad esempio, che Equitalia, possa almeno ricevere un input pubblico affinché l’istruttoria e l’esazione siano indirizzate dapprima verso le “cartelle” di maggior rilievo e poi verso i mancati versamenti di famiglie e di piccole imprese? E’ possibile che una qualche autorità pubblica centrale faccia sedere allo stesso tavolo mondo delle banche, Equitalia, Agenzie delle Entrate e enti regionali e prospetti, facendosene essa stessa garante, l’ipotesi di anticipazioni bancarie per i soggetti creditori verso gli enti pubblici e debitori verso Equitalia a tassi d’interesse ragionevoli? Si dirà che si tratta di un’ingegneria di compensazione complessa; ma è quanto ci si deve aspettare da un governo, ci si dice, a elevata competenza tecnica. E’ possibile, infine, che la razionalizzazione e l’efficienza dei rapporti fiscali del cittadino debba riguardare quanto egli deve versare e non anche i crediti e il saldo delle prestazioni fornite? Retorica del dovere del contribuente, atteggiamento pilatesco e negazione della propria competenza sono state, fin qui, le sciagurate risposte a questi quesiti. Ma non ci si meravigli poi che lo Stato sia assimilato allo sceriffo di Nottingham o che l’umana disperazione porti a scelte irreparabili.