Inherent Vice

21 / 2 / 2011

C’è proprio un difetto strutturale che invalida tutti i piani arzigogolati stesi per costringere Berlusconi alla dimissioni. Pensare che ci siano due vie alternative o complementari: il ribaltone parlamentare per un governo emergenziale di larghe intese o le elezioni anticipate con un vasto fronte di tutte le opposizioni. L’esperienza ha invece dimostrato che le spallate parlamentari si sono infrante contro le capacità acquisitive e corruttive del Premier (chi paga 7.000 € a marchetta avrà ben i mezzi per comprare qualche peone con mutuo) e la fragilità strutturale dei futuristi, che consente deflussi ben maggiori di ingaggi occasionali. E’ ormai chiaro che l’ipotesi sempre fumosa di un governo di transizione per fare una legge elettorale decente (quale poi? non è stato mai raggiunto un accordo sul meccanismo!) è tramontata a partire dal 14 dicembre scorso, lasciando spazio al prima flebile poi insistente appello alle elezioni anticipate. Esse però presentano un duplice problema: primo, che per ottenerle dovrebbe cadere il governo, che invece regge sebbene incapace di qualsiasi scelta che non sia l’affannosa ricerca di trucchi per bloccare i processi di Papi (ipotizzare uno scioglimento autonomo da parte di Napolitano è peggio che pericoloso: è stupido), secondo, che anche in tal caso si ripropone il problema dello schieramento, che già aveva afflitto le scommesse sul governo d’emergenza. Le forze di opposizione hanno perso l’occasione delle elezioni anticipate quando le chiedeva con forza la Lega e Berlusconi pensava di utilizzarle per stroncare sul nascere la secessione finiana, ma tanta era la paura di un cattivo risultato –e nel caso del Pd il terrore aggiuntivo di dover tenere le primarie– che se ne sono astenute, a parte le sparate demagogiche dell’IdV. Adesso che i sondaggi mostrano il declino del PdL e il rafforzamento della Lega, Berlusconi preferisce comprarsi una maggioranza “responsabile” piuttosto che andare a consultazioni dall’esito meno certo e che soprattutto non gli consentirebbero di promettere seggi parlamentari né a i suoi né ai deputati corrotti o corrompibili, con il bel risultato di vedere squagliare gli ascari fidati e di rischiare un ribaltone.

Eppure tutti continuano a strologare sulle coalizioni elettorali, secondo due ipotesi: il famoso schieramento repubblicano o emergenziale o ciellenistico, da Vendola a Fini, con improbabili primarie di coalizione o più semplicemente con la designazione di un candidato di centro (Casini), la presentazione dei due poli separati (Fini-Casini-Api rutelliano) e sinistre (Pd-Idv-Sel), con sotto-ipotesi parziali ed eventuale aggiunta della federazione Rifondazione-Pdci e schegge assortite, sempre con il tormentone delle primarie. La prima ipotesi continua a sedurre Scalfari e De Benedetti ed è stata fuggevolmente fatta propria anche da Vendola, ma viene falsificata dalle posizioni assunte da Fini e Casini, ben decisi a mantenere l’autonomia del terzo polo. Per Fini è obbligatorio: se si unisce al Pd perde più di metà dei parlamentari che gli rimangono e vede svanire il suo elettorato, che lo ha seguito per fedeltà personale e odio a Berlusconi, ma non reggerebbe a uno spostamento a sinistra troppo radicale. Per Casini (che anche lui perderebbe voti alleandosi a sinistra, ma senza disastri) si tratta di un calcolo astuto: lasciare un faticato premio di maggioranza alla Camera per il Pdl e rendere ingovernabile il Senato. A quel punto tutti dovrebbero rivolgersi a lui come l’unico mediatore e così governerebbe l’Italia con il 6-8%, promettendo al Pd la salvezza da Berlusconi e al centro-destra la continuità governativa. Ragionamento che in complesso fila, tranne il dettaglio che Berlusconi a maggior ragione vorrà evitare qualsiasi anticipo delle urne. Osserviamo incidentalmente che questa strada ha un leader, seppure poco entusiasmante, mentre i progetti di Cln e pure quelli di polo di sinistra al momento difettano di un candidato leader o meglio ne hanno sin troppi e francamente improbabili –da Draghi e Monti a Bindi e Saviano. Bersani, lasciamolo perdere. Notazione incidentale: ma come gli è saltato in testa al rimboccatore di maniche di proporre un patto con la Lega (sappiano che non siete razzisti, sic!), smentendo tutta la strategia dell’accordo con i centristi, per non parlare dei sentimenti della base, ammesso che respiri ancora.

Situazione bloccata su entrambi i versanti, dunque, e governo non solo paralizzato ma costretto, per le note scadenze giudiziarie, a un’insopportabile tensione istituzionale, sempre al limite dell’eversione. Con Tremonti e Maroni sempre più infidi e in agguato. Appare chiaro che l’unico modo per mettere alle strette Berlusconi è il passaggio su un terreno diverso dalle manovre parlamentari ed elettorali, unico modo perfino per rilanciare quelle fumose operazioni finora ingloriosamente fallite. Parliamo delle lotte sociali, che a sorpresa hanno aperto processi costituenti sull’altra sponda del Mediterraneo e in Europa si sono rivelate l’unica alternativa alla palude politica e al pensiero unico.

Il 14 dicembre, che ha registrato il fallimento della pressione per un nuovo centrodestra sostenuto aggratis dal centro-sinistra, è stata una prima prova della forza di movimenti estranei a una logica rappresentativa. Le piazze delle donne (e non solo) il 13 febbraio hanno riprodotto e ampliato quella logica. Lo sciopero generale auspicato per aprile delinea uno scenario ulteriore. Nelle forme soft di un paese immiserito ma ancora scoglionato, potrebbe essere la strada per sparigliare i giochi e uscire dalla stagnazione e dalla vergogna. Gli ostacoli interni (i peggiori) non sono insormontabili –visti l’insussistenza del Pd, il declino dei viola e l’incapacità della Cgil a controllare la Fiom– ma l’elaborazione di una strategia di riorganizzazione del precariato in senso lato lascia ancora a desiderare e la veemenza dell’indignazione antigovernativa è favorita ma insieme ipnotizzata dalla personalizzazione sugli scandali berlusconiani.

Il percorso avviato con Uniti contro la crisi è promettente ma gli sviluppi sono imprevedibili nella tempistica: le cose precipitano veloci (lo stiamo vedendo giorno dopo giorno) ma in modo inaspettato. I tumulti, inoltre, non sono risolutivi all’istante ma aprono processi tortuosi. Importante è fare il primo passo, tenere il ritmo fino al primo successo, che nel nostro caso è imporre una battuta d’arresto alla gestione mafiosa e avventurista del governo senza che la caduta di Berlusconi innesti un facile ricambio di centro-destra. La stessa ostinazione del Papi, per fortuna, rende improbabile tale ipotesi –e questo è il rovescio positivo della sua tenace e immonda resistenza. Non passeremo senza scosse alla governance neoliberista europea che in tanti sognano. Grazie Ruby...

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