Jailbreaking

13 / 12 / 2010

Non c’è bisogno di essere uno smanettone per conoscere il termine: sblocco illegale di un Iphone o IPad. Come faremo a evadere dalla prigione della crisi di governo? Della compravendita di “rappresentanti” che non riescono neppure più a spartirsi la rappresentanza ordinata del centro-destra –di questo infatti si tratta, tolta qualche folkloristica acquisizione di rottami dipietristi e veltroniani (Calearo, I care). A questo punto fiducia o sfiducia dipendono dalla privata potenza economica del Premier e dai ricatti sulla durata del mandato parlamentare e vitalizi connessi, nulla hanno a che vedere con gli equilibri politici, tanto meno con le lotte in corso. Bisogna davvero craccare il programma, spostare il terreno di lotta e considerare la vertenza dimissioni solo un passaggio per lo smantellamento di un sistema politico il cui marciume è ormai vistoso (e olezzante).

Nell’ambito di una generica tendenza di tutti i paesi europei a gestire con modalità autoritarie e amministrative l’erosione dello Stato sociale e l’applicazione di diktat neoliberisti e deflattivi l’Italia presenta una caratteristica avanzata o, se volete, di frontiera: Berlusconi vuole salvarsi la pelle (affari e processi), quindi subordina ogni scelta politica alla sopravvivenza del ruolo impunibile di Premier (con o senza consultazioni anticipate). Donde il ricorso alla corruzione parlamentare, che altera il gioco politico, sovrapponendo la compera dei voti al normale esercizio di pressioni e ricatti economici di gruppo e di partito, che c’è sempre stata in ogni tempo e paese. Donde anche l’assoluta imprevedibilità degli esiti dello scontro in atto, stante il rapporto fra la ricchezza personale del Premier e il tariffario piuttosto esiguo dei peones da acquistare –due anni e mezzo di sopravvivenza dell’esecutivo costano per ogni rappresentante solo 50 volte una notte di escort con prestazioni di prima categoria (350.000 € vs 7.000). Daniela Santanchè e Lele Mora ne sono i rispettivi agenti esecutivi o papponi che dir si voglia. «Libera dialettica parlamentare» la chiama il piduista Cicchitto. Una volta scattato il meccanismo che viene dal cuore della rappresentanza –l’assenza di vincoli del mandato–, tutto è possibile, ma il prezzo è il discredito totale della rappresentanza, cioè la rivelazione della corruttela implicita di un sistema ora sputtanato in piazza, caduta ogni cautela e decorosa mistificazione. Il mercato politico viene a coincidere in modo imbarazzante con quello economico, la verità profonda viene in superficie. Di rimosso non c’è più traccia...

In altre parole: la battaglia per le dimissioni di Berlusconi il 14 magari non registrerà un risultato immediato e il governo sopravviverà per entrare in una foresta di imboscate e tranelli senza fine, ma il movimento, oltre a supplire il vuoto dell’opposizione parlamentare, si sta facendo carico diretto, nella sua irrappresentabilità, della contestazione frontale di una rappresentanza irrimediabilmente decaduta. Questa la differenza fra il 14 dicembre a venire e l’attacco del 9 a Westminster, con cui si contestava un semplice tradimento delle promesse politiche, non l’avvento del calciomercato.

Del resto siamo realisti, su cosa verte il mercato in corso? Sulla scelta fra due governi di destra, entrambi legittime espressioni di una maggioranza paludosa nel paese per il duplice e combinato effetto della corruzione berlusconiana e del disarmo della “sinistra”. Per favorire la disgregazione di quell’orientamento inerte ma tenace servono in primo luogo fratture indotte dalla lotte dal basso, in secondo luogo una smagliatura del ceto politico dominante (di governo ma anche di opposizione). L’assedio del 14 a Montecitorio vuole sconnettere un blocco di potere, non promuovere un ricambio al suo interno. Un altro governo di centro-destra riguarda Fini. Una coalizione all-inclusive è il sogno futile di Bersani. A noi non interessa. Al massimo possiamo seguire con attenzione le dinamiche nazionali e internazionali e scommettere sulle probabilità di acutizzazione delle contraddizioni secondo la minore o maggiore durata del gabinetto in carica –dando per scontato che ne risulteranno sempre danni per il Paese in caso sia di paralisi dell’esecutivo che di alternativa centrista supportata dal Pd.

A livello internazionale c’è un’evidente incertezza fra critica dell’ormai insopportabile personalizzazione berlusconiana (con tutte le ambigue implicazioni verso la Russia di Putin) e timore che la sua eliminazione comporti lo scatenamento di una crisi politico-sociale dagli esiti imprevedibili. Per quanto concerne gli Usa fanno testo i dispacci diplomatici rivelati da WikiLeaks. Il Vaticano cerca di contrattare, sotto la deprecazione morale, la concessione di benefici fiscali e bio-giuridici fino ad auspicare la “stabilità” dell’attuale governo, durante il pranzo giorni fa fra il cardinale yes man (WikiLeaks) Bertone e lo psiconano. Obbiettivo: staccare Casini dal troppo laico Fini e incastrarlo in un rimpasto post-14, in caso di esiguo mantenimento della fiducia. Più complicato l’atteggiamento europeo: il taglio dei deficit e una generale austerità vengono al momento proposti su tre ipotesi: governo attuale, purché retto con mano di ferro da Tremonti, newco Tremonti, newco Draghi. Ovvero: un piano B come bordello (senza spese elettorali aggiuntive) a carico dei contribuenti, emarginazione benevola dell’Italia sotto tutela franco-tedesca, associazione volenterosa dell’Italia al predetto modello. Elezioni anticipate forse inconcludenti e certo foriere di incertezza e regalie sconsiderate indurrebbero invece un tracollo economico sicuro e una grecizzazione dell’Italia La perplessità risiede nell’aggancio diretto (sebbene subalterno) di un’economia ragguardevole ma depressa all’ansimante locomotiva europea.

Tanto per non sbagliarsi, Draghi si è rumorosamente allineato alla Merkel contro l’ipotesi Tremonti-Jucker di eurobond rilanciando la propria candidatura politica. La Confindustria resta indecisa, dilaniata com’è dalla vicenda Marchionne, che introduce una pesante ipoteca americana nei traffici europei. Ribadiamo che tutte le ipotesi in questione sono violentemente antipopolari –pensiamo appunto al “riformismo” Marchionne-Marcegaglia o alle origini Banca Mondiale e Goldman Sachs, cioè Washington Consensus, del Governatore di Bankitalia– e il loro rilievo consiste esclusivamente nell’aprire contraddizioni dentro il blocco di potere, proprio per tale carattere antipopolare che suscita resistenze diffuse senza risolvere la crisi strutturale del capitalismo finanziario. L’unica differenza riguarda le sorti della legge Gelmini: condannata a sicura morte dalla sfiducia, forse salvata in caso di agonia governativa dall’impegno finiano a votarla in quanto privatizzante e meritocratica, seppur poco finanziata. Tanto per capirci sui nuovi alleati...

Le improvvise preoccupazioni del Corsera per Votopoli tradiscono un mal di pancia che sarebbe arduo ricondurre a scrupoli morali. L’incubo è quello del giorno dopo, come governare uno scenario di crisi dall’alto di una debolezza conclamata, dato che ogni allargamento verso le altre componenti del centrodestra provocherebbe difficoltà con la Lega senza attenuare la protesta sociale. E ci sarà un giorno dopo anche per il Pd, agitatissimo da venti di scissione centrale e locale: Roma, Milano, Napoli, Bologna –non proprio quisquilie. Il vero giorno dopo, però, è per i movimenti che, in caso di mancata sfiducia costituirebbero l’unica linea antagonista rimasta nel plausibile sbriciolamento del fronte centrista, in caso di sfiducia diventerebbero il punto di riferimento a sinistra nel marasma generale. In entrambi i casi con una gigantesca assunzione di responsabilità.

E allora: jailbreaking! Mentre i secondini si ubriacano, litigano fra loro, invitano nottetempo puttane negli uffici, i detenuti tentano la fuga. Tanti saluti, superiore!

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