La versione di Sandrone

18 / 1 / 2011

Ogni tanto mi boicottano.

La mattina scarico la posto o faccio un giro su internet e scopro di essere finito in una qualche lista di cattivi. Di solito non da solo, ma in buona compagnia, una compagnia che varia a seconda di chi lancia il boicottaggio. Quando pubblicai il mio primo romanzo, alcuni centri sociali mi fecero sapere che non ero più gradito, perché lo avevo fatto al di fuori del circuito dell’autoproduzione e invitavano i compagni a non comprarmi più. Poi fui boicottato perché la major in questione era la Mondadori, ed essendo io di sinistra avrei dovuto fare obiezione di coscienza. In seguito fui boicottato dai filoberlusconiani per lo stesso motivo. Un’altra volta fui boicottato per non aver aderito al boicottaggio contro gli scrittori israeliani al salone del libro di Torino, che è un boicottaggio al quadrato. Di solito lascio che la cosa si sgonfi da sola, perché preferisco occuparmi d’altro  e perché penso che uno ha il diritto di pensarla su di me come gli pare. Altre volte mi tocca lasciare il mio lavoro e difendere il mio diritto di continuare a farlo liberamente. Come adesso. L’ultima campagna di boicottaggio nei confronti miei e di un altro centinaio di autori (qui la lista) è stata lanciata dall’assessore della cultura della Provincia Di Venezia Raffaele Speranzon,  per aver firmato nel 2004 l’appello alle autorità francesi perché non estradassero Cesare Battisti.

Lo chiamo boicottaggio, ma il termine giusto sarebbe lista di proscrizione, perché il suddetto assessore si è rivolto direttamente ai gestori delle biblioteche della Regione chiedendo che siano ritirati i libri di tutti quelli che hanno firmato l’appello, definiti amici di Cesare Battisti e, in qualche modo, fiancheggiatori morali di un assassino. Un bel salto logico, ammettiamolo. Immagino che per aver firmato l’appello contro la condanna a morte di Sakineh, si potrebbe boicottarmi dicendo che fiancheggio l’uxoricidio, e per aver firmato contro la condanna a morte di numerosi prigionieri americani, per lo più poi giustiziati, di essere complice morale di numerosi reati, che vanno dallo stupro, all’omicidio multiplo. Vorrei anche dire che molti dei miei scrittori preferiti, presenti nelle biblioteche, hanno fatto le peggio cose in vita loro: rapinatori, ladri e assassini, ma io continuo a leggerli con grande gusto.

Ma torniamo al caso Battisti. Non mi sono mai espresso pubblicamente sul perché della mia firma all'appello. Era una firma a un appello, si commenta da sola e ho sempre rifiutato di parlarne in pubblico. Ma a voi posso raccontare tutto, visto che voi leggete quello che scrivo. E quello che leggerete sarà la pura verità, senza filtri, perché altrimenti dovrei starmene zitto. 

Ho conosciuto Cesare Battisti in Francia credo alla fine degli anni novanta (non farò ricerche, ve lo dico subito, vado a memoria), subito dopo aver pubblicato il mio primo romanzo. Fui invitato a un convegno di giallisti da qualche parte Oltralpe, mi presentarono Battisti come uno di quelli che stava lì e non poteva rientrare. Non ci feci molto caso. Ce n’erano parecchi. Battisti non mi stava particolarmente simpatico. Non perché aveva fatto questo e quest’altro, ma perché era stato un militante  degli anni settanta, e come quasi tutti i militanti politici di quegli anni, vedeva quelli come me come degli ingenui, che non sapevano niente del mondo. Da parte mia, invece, pensavo che quelli che avevano partecipato a esperienze in gruppi armati, assassini o meno, avessero fatto un mare di porcate e avessero contribuito a chiudere gli spazi a chi non si allineava. Io ho cominciato a fare politica negli anni ottanta, e ogni volta che in corteo voleva una pietra ci davano dei brigatisti. Se occupavamo una casa eravamo sulla strada per ammazzare qualcuno. Quello era il clima. Non mi stavano simpatici quelli delle P38, proprio per niente. 

Tornando a Battisti, ero quindi diffidente su di lui, ma la terza volta che lo incontrai, sempre in Francia e sempre a qualche tavola rotonda sul giallo (o polar come si dice da quelle parti), gli chiesi che cazzo avesse combinato davvero. E lui mi raccontò la sua vicenda processuale, che trovate qui spiegata molto meglio di come potrei fare io, e io mi feci la seguente opinione: aveva fatto sicuramente un mucchio di cazzate, ma gli credevo quando mi diceva di essere innocente degli omicidi che gli erano stati attribuiti. Era uno sfigato preso in mezzo e per quello aveva già pagato abbastanza con vent'anni di esilio.

Certo, c’era una sentenza del tribunale che diceva il contrario, ma io ho il diritto di formarmi una mia opinione anche in contrasto con le sentenze passate in giudicato. Di pensare, anche, che una persona a trent'anni di distanza da fatti di cui si dichiara innocente sia cambiata, e che ficcarla in galera oggi, ripeto, con il dubbio della sua innocenza, non sia giustizia, ma un modo per chiudere brutalmente un capitolo ed evitare di farsi domande. E finché non assalto un carcere armi in pugno per liberare qualcuno, o ficcarci dentro qualcun altro, credo nessuno me lo possa contestare questo diritto. Per esempio, non credo alla sentenza su Pinelli, quella che dice che si buttò dalla finestra per un malore attivo. Così come non credo che Sofri sia colpevole per l’omicidio Calabresi. Altro assassino, per lo stato italiano, per il quale ho firmato una pigna di appelli alta così, ma quello era più fashion e non ho avuto grossi problemi. O che Pasolini sia stato ucciso da Pelosi. Oppure, vediamo, non sono d’accordo sulle assoluzioni per Piazza Fontana, o sull’archiviazione dell’omicidio di Fausto e Iaio. Di sicuro questo fa sicuramente di me un cattivo cittadino e un pericoloso sovversivo, ma non ci posso fare nulla. Ho l’abitudine di pensare con la mia testa. E anche di sbagliare, eventualmente. 

Però stiamo su Battisti.

La mia opinione su Battisti valeva quello che valeva, ma nessuno mai me la chiese. Lui stava lì, io qui.  Un paio di anni dopo che l’avevo visto per l’ultima volta, il governo italiano chiese l’estradizione alla Francia, e amici e colleghi che rispettavo mi chiesero di firmare un appello al governo francese perché si opponesse all’estradizione.

Mi presi un giorno di tempo per rifletterci. Avevo ancora ragionevoli dubbi sulla sua colpevolezza, ma sapevo che se avessi firmato mi avrebbero rotto le palle a manetta e sapevo che, per rispondere a quanto mi sarebbe piovuto sul capo, avrei dovuto intorcinarmi in discussioni sugli anni settanta, la violenza, la rivolta eccetera, e ne avevo voglia zero.  Perché è difficile, oggi, parlare di anni settanta con qualcuno che non si è mai occupato della questione o legge solo il Giornale. Perché non capisce, per esempio, che gli anni di piombo non furono quattro assassini che sparavano a destra e a manca, ma furono anche  depistaggi, infiltrazioni, progetti di golpe, P2, Piano Solo, Strategia della Tensione, leggi speciali. 

Stragi impunite. Di cui non si sa niente, né esecutori, né mandanti. Piazza Fontana. Ustica. Piazza della Loggia. Italicus.

E' difficile spiegare che c'era chi voleva abbattere lo stato con la violenza, ma  anche chi lo voleva cambiare in modo pacifico e creativo, e che finirono tutti quanti in galera, nelle stesse galere. Che c'era chi difendeva lo stato con la propria vita, e a loro va il mio rispetto, ma anche chi difendeva la sua idea dello stato con i servizi segreti deviati e con le bombe. Chi pensava che lo stato fosse "cosa loro". Che se lo voleva mangiare, lo stato. 

Ed è ancora più difficile far capire che, nel gran bordello degli anni settanta, c'erano gruppi armati deliranti, ma  anche i servizi segreti di mezzo mondo, ognuno con il proprio obiettivo. Che in quel gran calderone i giudici mettevano in galera i delinquenti, ma anche centinaia di persone che non c'entravano un tubo, presi in mezzo perché il loro nome era sull'agendina dell'amico di qualcuno, o aveva fatto un corteo contro la repressione. E finivano nei carceri speciali. E in questi carceri magari venivano massacrati di legnate. 

Leggetevi gli Invisibili di Balestrini. Il protagonista era un amico mio. 

Che c'erano gli assassini che venivano abbattuti armi in pugno, ma che c'erano anche quelli che si prendevano un proiettile semplicemente per essere sembrati sospetti a un posto di blocco.

Leggetevi, se lo trovate, un libro che si chiama 625, pubblicato dal comitato Luca Rossi, sui cosiddetti morti di Legge Reale. 

Sapevo che oggi, nel post post moderno televisivo, è impossibile dire queste cose, senza passare per giustificazionisti di chi ha fatto la guerriglia armata. Sapevo che provare a spiegare che un certo processo è una bruttura giuridica e che hai dei dubbi sul mostro di turno,  significa diventare immediatamente un fiancheggiatore, un cinico, amico dei cattivi e nemico dei buoni.  Filoterrorista cui non importa niente delle vittime.   

Sapevo che sarebbe accaduto se avessi firmato. Però sono una testa di cazzo. Continuo a fare quello che mi sembra giusto quando mi sembra giusto farlo. 

Firmai. 

Questa è la storia. Vorrei avere la certezza che Battisti sia innocente, averne le prove materiali e darvele. Ma non ce le ho. Ho solo i miei ragionevoli dubbi, non solo su di lui, che vi ho espresso. 

Non c'è altro da dire.