L’intenzione è quella

8 / 6 / 2011

Lo storico incontro di Arcore fra Berlusconi, Bossi e Tremonti si è chiuso, a quanto pare, con un nulla di fatto. Ne sono scaturite pensose dichiarazioni, tipo «E' programmata la riforma fiscale, poi vedremo cosa si potrà fare», meglio ancora «Noi vogliamo sempre farlo [il taglio delle aliquote], ma bisogna vedere se le condizioni ci consentiranno di farlo. L'intenzione è quella». L’intenzione. E chi ne dubita. Anche a me piacerebbe il taglio dell’aliquota marginale. Ma Tremonti sembra poco d’accordo. Anzi, qualcosa mi dice che la pressione fiscale in Italia sia destinata a salire. L’esito della riunione è sintetizzabile nelle confidenze del Premier al suo arrivo in serata al carosello dei Carabinieri a piazza di Siena: «È andato tutto bene, tranne che per Tremonti». Come dire: facciamoci un bloody Mary senza la vodka. L’intenzione, appunto.

Del resto, che la situazione economica non quadrasse con la disperata ricerca di regalìe elettorali lo si sapeva in partenza. Cos’altro intendeva il sottosegretario Gianni Letta alla vigilia del summit nella sede bunghesca di Villa San Martino, dopo aver parlato di giornate molto calde per i rapporti fra Pdl e Lega? Rivolgendosi a Mario Monti ha dichiarato: «Ti ringrazio per il richiamo alla responsabilità, quando hai detto che le prossime tre settimane saranno settimane chiave per l'Europa. Temo che lo saranno anche per l'Italia». Viene in mente una finanziaria da 46 miliardi, imposta da Europa, Fmi e agenzie di rating, altro che riforma fiscale, trasferimento del carico dalle imposte dirette a quelle indirette (con la Bce arcigna nemica dell’inflazione!) e allegre spese clientelari per rimpolpare l’elettorato “responsabile“ e acquietare i padani con «uffici di rappresentanza di ministeri altamente operativi» –cioè senza portafoglio, di seconda fila. In ogni caso, è confermato il pareggio del bilancio per il 2014. Stavolta la barzelletta l’ha raccontata il “libero servo” Alfano, non il Cav.

Evidente, però, che qualcosa di più concreto se lo saranno detto in quelle tre ore e passa. Che in pericolo non è soltanto Berlusconi ma anche Bossi e il redde rationem riguarda tutta l’alleanza di centro-destra. Come passare il cerino acceso del “risanamento” a un’altra maggioranza (tutelando i processi del caro Leader) oppure rischiare elezioni anticipate sulla sola promessa di sgravi fiscali e fumose riforme. Come reggere una maggioranza in via di sfaldamento senza compromettersi troppo –in tal caso la soluzione obbligata è governare il meno possibile, chiagnere senza fottere, aspettare che passino i referendum, ecc.

Lo stile del “vertice” di “verifica” –lo dice la terminologia stessa– era prima Repubblica e democristianeria che più non si può. L’ingessato Alfano ricordava i più impagabili portavoce di un tempo che fu. Forse solo Pionati, quando era un mezzobusto Tv, ne è un pallido eco, perdonate la digressione, mentre Capezzone sembra avere per modello quel ministro irakeno che proclamava l’incrollabilità di Saddam Hussein con alle spalle nello schermo già i primi carri armati Usa.

Ma tanto...Dopo l’episodio pilota (e ultimo) della serie di Sgarbi e il concerto senza Gigi D’Alessio per la Moratti, l’incontro di Arcore è stato il maggiore flop mediatico del presente Eone. Il pubblico medio era distratto dallo scandalo del calcio scommesse, quello “intellettuale” dai dolori del giovane Santoro (quale precario non vorrebbe essere “cacciato” a quelle condizioni contrattuali?), i salutisti angosciati dall’Escherichia coli clandestina, mentre i pensionati sudano agli sportelli postali in tilt. Il tramonto del berlusconismo assomiglia più al marasma senile che alla morte di Sansone con tutti i filistei, ma la drammaticità si sposta sulla situazione economica e istituzionale, perché a pagare i conti del non-governo e delle cattive scelte di governo precedenti rischia di essere sicuramente un’intera generazione, forse anche le generazioni più anziane se la crisi (chiunque la gestisca) dovesse coinvolgere anche posizioni lavorative e reddituali in apparenza garantite. Basterebbero una modica dose di inflazione e tagli sulla sanità. Allora lo sghignazzo per i torcimenti di budella berlusconiani e l’attesa di redentori centristi e centro-sinistri risulterebbe davvero inadeguata.

In un articolo su Repubblica del 6 giugno Ilvo Diamanti, documentato e acuto come al solito, ha controbattuto la tesi berlusconiana (e simmetricamente santorista) per cui la sconfitta alle comunali sarebbe dovuta al nefasto (o simmetricamente salvifico) influsso di Anno Zero e dei media in genere, attribuendola invece a un più generale mutamento di opinione in cui si mescolano insoddisfazione sociale nei confronti del mercato e del lavoro, divario fra le preoccupazioni dei cittadini e le priorità del governo, crescente insofferenza per il protagonismo berlusconiano e verso la vita e la politica, sempre in diretta. Giusta constatazione psico-sociologica, che andrebbe però integrata in una gerarchia: quello che mette in moto il processo non è l’insoddisfazione non espressa, la preoccupazione, la stanchezza, ma l’azione che trova un terreno favorevole negli stati d’animo predetti. Sono stati gli studenti e i precari del 14 dicembre 2010, i metalmeccanici del 28 gennaio e le donne del 13 febbraio 2011, gli scioperanti del 6 maggio a innestare la riscossa. L’opinione e il voto, come l’intendenza, segue. E questo vale anche per la campagna referendaria e per l’imminente opposizione alla stolta politica economica tremontiana e (sospettiamo) bipartisan che ci aspetta in quelle tre famose settimane chiave lettiane ed europee.

Per certi aspetti, l’improvviso entusiasmo di opinione che ha accolto i prima trascurati referendum ci offre tre insegnamenti.

Primo, detto francamente da un ateo, il ruolo persistente e stavolta positivo di un’opinione cattolica indipendente in una mobilitazione sui beni comuni che non interferisce su questioni etiche che (giustamente) dividono.

Secondo, la capacità di una mobilitazione sul comune di attestarsi in forme istituzionali apprezzabili anche se ancora lontane da quanto intendiamo per istituzioni del comune.

Terzo, la volatilità dell’opinione di sinistra, bruscamente orientabile quando le cose sono messe in moto dall’insofferenza dei più oppressi. Il consenso referendario di Repubblica e del Pd è, come nella definizione canonica dell’ipocrisia, l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Ma che gliene frega del vizio alla moltitudine virtuosa. Raccogliamo l’omaggio, poi si vedrà.

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