L'obbedienza non è una virtù

7 / 7 / 2009

In queste ore chi guarda a Vicenza dovrebbe segnarsi queste parole. Che non sono state pronunciate da un pericoloso “noglobal che cerca lo scontro”, ovvero da una delle figure ricorrenti e stereotipizzate che animano titoli e occhielli della stampa; ne, per guardare al giardino di casa nostra, da un testardo NoDalMolin che si è incaponito nell’andar contro la volontà dello stato la quale ha ormai assunto la dimensione sacrale della parola incontestabile.

A parlar così è stato un uomo di chiesa e un educatore, Don Lorenzo Milani. Ma, si sa, certe parole sono buone – talvolta, se ricordate - per ipocriti editoriali e variopinte quanto inutili discussioni. Si dimenticano, invece, quando si tratta di commentare la quotidianità di una città divisa tra la sua comunità, in gran parte contraria alla nuova base militare, e coloro che la vogliono calpestare e che, per farlo, sono pronti a far sfilare nelle sue strade migliaia di scarponi chiodati e centinaia di mezzi blindati.

Il 4 luglio Vicenza è stata posta sotto occupazione militare; nella città del Palladio si sono schierati i carabinieri di ritorno dall’Afganistan, con il compito di difendere, ad ogni costo, il perimetro di un’area vuota, ma dal grande valore simbolico. Perché quel prato verde, ma soprattutto la sua recinzione di filo spinato, rappresentano l’imposizione della volontà statunitense che lì vuol far costruire una nuova base militare nonostante l’opposizione degli abitanti di questa terra.

E lo schieramento di forze dell’ordine era la rappresentazione di quest’imposizione. “Il sopruso del forte” può tollerare i canti e gli appelli, le manifestazioni e le petizioni fino a quando esse non mettono in discussione la sua realizzazione; ma non sopporta la tenacia di una città che non si arrende alla sua volontà. Ed è per questo che sabato scorso, a Vicenza, si è tentato di impedire l’espressione pacifica del dissenso. Che prevedeva, alla vigilia, la volontà di entrare nell’area militare, ma che ha scoperto nella calda giornata di sabato che il dispositivo organizzato dal questore Sarlo non si limitava a contrastare questo desiderio di riappropriazione, ma la stessa legittimità di manifestare in difesa del proprio territorio e, soprattutto, del diritto a rivendicare cittadinanza laddove c’è esclusione e sopraffazione.

L’abbiamo già scritto altre volte: nella città berica è in gioco il futuro della terra e dei beni comuni; ci si mobilita per la pace e contro la guerra e i suoi strumenti; ma, soprattutto, Vicenza rappresenta uno dei tanti luoghi in cui si sperimenta, con varie forme, la volontà di trattare i cittadini come sudditi.

Il divieto di una consultazione popolare; il rifiuto di realizzare una Valutazione d’Impatto Ambientale; e ora, di fronte, alla determinazione di una comunità che non accetta quest’arroganza autoritaria, l’esibizione della forza come strumento di intimidazione. Istantanee minacciose già viste ovunque i cittadini si oppongano al “sopruso del forte”; al quale migliaia di vicentini e di amici provenienti da tutta Italia hanno risposto con la calma determinazione di chi sa che, nonostante tutto, le ragioni e i principi che stanno alla base della propria mobilitazione alla lunga saranno più forti delle minacce e delle intimidazioni di chi, privo di argomentazioni convincenti per giustificare la propria arroganza, si abbandona all’esibizione della forza come ultima carta del proprio mazzo.

Vicenza, il 4 luglio, ha vinto una partita difficile e pericolosa: difficile, perché serviva il coraggio di osare la speranza per mettersi in cammino di fronte a quel dispositivo militare; pericolosa, perché di fronte c’era l’umiliazione di abbassare per sempre la testa o la forza di continuare a resistere. Volevano sradicare alla radice il dissenso locale; volevano impedire l’espressione del dissenso chiudendo le strade che avrebbe dovuto percorrere il corteo; e quella parte di Vicenza che difende la propria terra ha disobbedito a chi, con un manganello in mano, pretendeva di far accettare alla città una base militare che i suoi abitanti non vogliono.

Se volevate stupirci, ci siete riusciti: oggi, infatti, siamo più incazzati di ieri. Pensavate di “convincerci” esibendo caschi e manganelli, maschere antigas e scudi; parcheggiando i vostri blindati ai bordi delle nostre strade e sugli alberelli del nostro parco della pace e posando cavalli di frisia e reticolati. Ci avete fatto vedere come volete trattare Vicenza: una colonia da occupare. E noi, non ve lo permetteremo: l’obbedienza non è una virtù.