Ma che colpa abbiamo noi se godiamo più di voi?

di Stefania Voli, cs Tpo

4 / 11 / 2010

Se ancora avessimo avuto qualche dubbio, Berlusconi con le sue ultime dichiarazioni ha finalmente provveduto a fare piazza pulita di ogni brandello di incertezza: “Io conduco un'attività ininterrotta di lavoro e se qualche volta mi succede di guardare in faccia una bella ragazza, meglio essere appassionati di belle ragazze che gay”.

Dal Salone del ciclo e motociclo alla Fiera di Milano il premier consegna quindi l'immagine definitiva del Maschio Italiano: grande lavoratore, buongustaio di “carne femminile” (così come ha definito le donne Buttiglione solo alcuni giorni fa) a sua disposizione nelle (poche) ore di riposo, portatore insano di una maschilità violenta, offensiva, gretta, fascista.

La macabra genialità delle parole del premier sta nella sua, purtroppo nota, capacità di sintesi e comunicazione, nella semplicità con cui riesce a formulare messaggi rapidi, sintetici, in presa diretta con le viscere di molti e molte.

In un batter di ciglia è stato capace di confermare, rafforzare, legittimare il ruolo maschile in una società, la nostra, che restringe i diritti di cittadinanza di tutt* a colpi di sessismo, machismo, omo-trans-lesbofobia, xenofobia e fascismo.

Ma ha anche avuto la cura di ricordarci che nel nostro paese le donne altro non sono che corpi in prestito, “bene” pubblico da possedere (anche a costo della morte delle donne stesse, a migliaia, ogni giorno), nonché conquista da sbandierare a garanzia della salvezza di una purissima virilità, dall'onta dell'omosessualità, vista come deformazione, forma d'esistenza non legittima, non legale, da controllare e punire (esattamente come l'evasione dalle tasse, vedi ancora una volta Buttiglione).

Infine, le parole di questo vecchio piccolo macabro uomo fanno sparire, sotto le risatine e gomitatine di consenso strappate dalle battute di strada e da bar, gli “altri” uomini che, forse proprio tutta questa goduria davanti allo scenario offerto non la traggono. Magari anziché  darsi pacche sulle spalle un po' di vergogna e indignazione la sentono eccome.

Ovvio quindi che in tutta questa macabra danza i corpi che si vorrebbero lasciare sul campo, a volte riuscendoci, sono i nostri, inermi e muti. I corpi di donne, gay, lesbiche, trans, migranti, precari, non conformi, non assimilabili.

Che godono (o almeno ci provano) delle differenze dalle quali sono attraversati, in quantità pari a quanta è la paura che queste disseminano in tutti coloro che tentano e ritentano di trasformare una tale ricchezza (spesso l'unica rimasta) in reato.

Cosa ci aspetta dunque? Permesso di soggiorno a punti per tutt*?

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