Napoli - Per una giornata dell'indignazione e della rabbia

19 / 3 / 2011

La nostra generazione non conosce il significato vero di uno sciopero generale. Negli ultimi anni nel nostro paese non ricordiamo che sfilate, evocazioni di quello che uno sciopero generale dovrebbe essere, ovvero uno strumento di lotta dei lavoratori e delle categorie sotto attacco per riconquistare dignità e diritti. Accade invece in questi anni di osservare come in altri paesi, soprattutto dell'area euro-mediterranea, gli scioperi siano riusciti a canalizzare il dissenso complessivo delle popolazioni alle politiche di austerity che i governi hanno adottato per uscire dalla crisi. Grecia, Francia, Tunisia, Egitto. In alcuni di questi paesi si sono raggiunti livelli molto alti di generalizzazione, coinvolgendo, come in Francia, anche tutte quelle soggettività precarie che sono l'elemento decisivo della nuova composizione del lavoro e della produzione di valore. Qui lo sciopero è durato per giorni, sviluppando pratiche radicali come il blocco delle raffinerie, delle stazioni, portando la controffensiva direttamente al cuore della produzione e della circolazione, alle reti di comunicazione per le persone e per le merci. Le rivolte nord-africane hanno invece mostrato agli occhi del mondo intero come ormai le forme di organizzazione della lotta e la rete (nello specifico i social network) siano inscindibili.

Al di là della visione euro-centrica, ciò rivela una dimensione tutt'altro che tribale: lavoratori, studenti e precari hanno portato un attacco complessivo al cuore della restaurazione neo-liberale, trovando nella rete il meccanismo organizzativo su cui far espandere la protesta e nelle classi dirigenti locali la materializzazione delle politiche di austerity che gia dieci anni fa in sud-america avevano scatenato altrettante rivolte.

Non a caso qui in Italia il movimento degli studenti e dei precari ha fortemente spinto in questi mesi affinché si proclamasse uno sciopero generale, cosciente dell'importanza e dell'opportunità che per la nostra generazione potrebbe rappresentare uno strumento di lotta di questo tipo. Il 14 dicembre a Roma è stato la dimostrazione che c'è l'esigenza di una rottura forte , e di come sia urgente prendere di petto la situazione senza ulteriori attese o tatticismi. Riconosciamo al percorso di “Uniti contro la crisi” la capacità di aver aperto uno spazio di discussione pubblica nel paese sullo sciopero, tenendo dentro sia la specificità studentesca e precaria del 14 dicembre sia la composizione classica del lavoro. Questo spazio ha messo in discussione la stessa forma-sindacato scavalcandone la lenta macchina della burocrazia interna e coinvolgendo all'interno della dinamica di movimento anche un pezzo importante della Cgil, ovvero la Fiom. Sicuramente la convocazione del 6 maggio è un importante risultato di questo percorso, ma riteniamo, come scrive lo stesso Cremaschi su Liberazione, che la data sia troppo lontana, che si accavalli in manieral confusa col 1 maggio confederale, che le 4 ore siano insufficienti alla gravità dell'attacco padronale, e che non ci sia nessuna discussione vera sulla generalizzazione e sul coinvolgimento di pezzi reali del paese come il lavoro precario e il non lavoro. Carenza tanto più grave a fronte dell'incidenza che potrebbe avere invece una giornata intera di blocco, visto che la stessa Confindustria ha posto il veto sulla possibilità di una giornata festiva il 17 marzo in occasione delle celebrazioni dell'Unità d'Italia.

Oggi nel paese c'è un sentimento di forte delusione per questa modalità di proclamazione da parte della Cgil, ed è compito nostro, da qui in avanti, provare a canalizzare questo sentimento per la costruzione di una giornata di rabbia autentica, che scavalchi i limiti che esprime il sindacato classico e provi a dare un rappresentazione reale della situazione nel paese.

Abbiamo due mesi di tempo per far vivere una discussione vera all'interno del movimento su cosa significa in primis per noi, “generazione zero”, che non conosciamo forme garantite di lavoro, scioperare. Una discussione che inneschi un ragionamento sulle forme di generalizzazione che non sia solo evocativo ma che sviluppi delle pratiche nuove di blocco, che riescano a tenere dentro di sé soprattutto chi il diritto di sciopero non ce l'ha, ovvero i precari e chi non lavora. Dobbiamo provare a mettere al centro l'indignazione per come il governo Berlusconi sta gestendo il paese senza governarlo, e al tempo stesso la distanza da quelle forze che preparano una possibile transizione al dopo-Berlusconi. La vicinanza del 6 maggio alle elezioni amministrative è sicuramente un elemento problematico, e il nostro sforzo deve essere quello di provare a costruire una piazza che porti con sé un discorso politico costituente che si smarchi dalle opposizioni incarnate nelle figure dei vari Fini, Bersani, Montezemolo, o culturalmente dall'asse banalmente legalista Fazio-Travaglio-Saviano.

Per questi motivi ci auguriamo che il 6 maggio sia una giornata nazionale a Roma di sciopero generale e generalizzato, contro l'ipotesi di uno sciopero dislocato e territoriale, e che possa significare, per chi in questo paese vuole un cambiamento reale, la nostra giornata della rabbia. Perciò crediamo da qui al 6 maggio che sia necessario far vivere questo discorso in tutte le piazze di opposizione sociale. Per questo saremo in piazza il 26 marzo, manifestazione in sostegno della campagna referendaria, e in tutte le date che verranno in questa primavera. Invitiamo anche il sindacato di base, che ha confermato la data dello sciopero del 11 marzo, a non abbandonare questo ragionamento, a non lasciare la piazza come il 14 dicembre, provando a costruire insieme la sfida di quella giornata.

Siamo convinti che la pochezza di questo sciopero, debba costituire una grossa opportunità per tutti noi, una scommessa su cui puntare collettivamente, con tutte le insidie che un discorso cosi complesso può trovare, ma i fratelli e le sorelle dell'altra sponda del mediterraneo ci hanno insegnato che tutto può cambiare.

 

Zero81 occupato