C’è voluto del tempo per portare al centro
dell’agenda politica territoriale e nazionale il tema del disastro sanitario ed
ambientale in Campania. Siamo passati da due Ministri che sputavano sprezzanti
parole di disattenzione e superficialità, come Clini e Balduzzi, a due
ministri, entrambe del Pd, che hanno messo la Campania tra le primissime uscite
nel nuovo ruolo politico indicandone la priorità. Orlando e Lorenzin sono
arrivati a Napoli tra le polemiche e le contestazioni. Dopo poche settimane,
almeno a parole, ci sembra che i picchi di mortalità per tumore e la devastazione
ambientale prodotti dalle ecomafie abbia “scosso” e non poco i due ministri.
Retromarce sugli inceneritori, attivazione di task force e commissioni di
studio sui reati legati alle ecomafie e sullo stato di salute dei cittadini
campani e sullo sfondo l’annuncio di voler aprire una stagione di dialogo con i
comitati.
Già perché è grazie alle esperienze di autorganizzazione ed impegno civico sui
territori che il tema del biocidio è stato portato all’attenzione nazionale.
Grazie al lavoro certosino di informazione, denuncia, lotta, che nel territorio
metropolitano di Napoli, quindi a partire dalla città fino ai comuni di tutta
la provincia, è stato possibile aprire una questione che appena un anno fa era
uno dei tanti “scandali silenziosi” che si consumano nel nostro paese sui temi
della salute e dell’ambiente.
Ma la partita, ebbene dircelo da subito, è solo all’inizio.
Le squadre sono appena scese in campo.
La vittoria resta ancora un’ambizione tutta da conquistare.
Per questo si è fatta strada, su proposta della Rete Commons, uno dei pezzi di
quello che possiamo definire un nuovo movimento, l’idea di costruire una coalizione
sociale per affrontare al meglio la battaglia.
Per capire il perché è necessaria una coalizione sociale contro il biocidio è
opportuno analizzare tre elementi fondamentali : la composizione e la natura
del movimento; il peso dei rapporti di forza; l’efficacia dell’azione dei
movimenti nel cuore della metropoli.
Cominciamo con il dire che le realtà dei comitati, delle reti, dei collettivi,
che si stanno mobilitando da un paio d’anno contro il biocidio in Campania non
sono di diretta derivazione rispetto al ciclo di lotte contro il piano rifiuti
del periodo 2008-2011. Stiamo parlando di una composizione profondamente
diversa. Mentre il ciclo di lotte contro discariche ed inceneritori 2008-2011
ha avuto i suoi centri nevralgici nei territori interessati dai siti (Acerra,
Giugliano, Pianura, Chiaiano, Terzigno, Quarto) questo nuovo movimento nasce
invece dove i picchi di mortalità ed i fenomeni di devastazione ambientale
provocate dall’interramento e dall’incendio di rifiuti industriali è più forte.
In alcuni casi questi territori coincidono con quelli del ciclo di lotta
precedente ma non è sempre così. L’opposizione a discariche ed inceneritori, il
sostegno a rifiuti zero, sono punti di programma irrinunciabili dei comitati
contro il biocidio, ma chi si mobilita oggi non lo fa contro una discarica o
contro un inceneritore, ma principalmente per difendere la salute della propria
comunità contro un nemico spesso invisibile oppure visibile esclusivamente nei
fumi dei roghi tossici che costellano lo skyline a nord di Napoli. Un ciclo di
lotta nuovo non può misurare la sua efficacia solo nell’azione di denuncia o
nei blitz e nelle azioni creative che una parte di questo movimento ha messo in
campo nell’ultimo anno. Non ci si può sottrarre, se si vuole vincere la
battaglia, dal dispiegare una campagna di mobilitazioni permanenti che
rivendichino la bonifica dei territori, il potenziamento del servizio sanitario
pubblico e politiche di sviluppo sostenibile per il territorio. Obiettivi che
non si otterranno per il “buon cuore” dei ministri o del governatore ma per il
peso dei rapporti di forza che saremo capaci di mettere in campo. Se oggi in
Campania la politica “trema” quando deve affrontare l’argomento inceneritore o
se da quattro anni non si costruiscono più discariche è perché quel ciclo di
lotta dal 2008-2011 lo ha imposto con i rapporti di forza. Certo anche con la
potenza della piazza, con la disobbedienza, con l’azione diretta. Ma anche con
figure importanti per quel ciclo di lotta come padre Alex Zanotelli che, da
prete, si metteva davanti ai celerini in assetto anti sommossa, giusto per
ricordare che quando le differenze si fanno ricchezza…si fa presto a capirsi.
Ed allo stesso modo probabilmente senza le grida della piazza Orlando e
Lorenzin non si sarebbero affrettati a chiarire le loro posizioni. E’ chiaro
però che è l’unione di pratiche diverse a determinare i rapporti di forza
favorevoli. Strumenti di mobilitazione diversi che vanno riconosciuti e
condivisi da tutti. Al tempo stesso il peso dei rapporti di forza va esercitato
nelle modalità più efficaci verso le controparti adeguate. In questo anno sono
scese in piazza decine di migliaia di persone nella provincia tra Napoli e
Caserta. Frutto del lavoro intenso dei comitati di quei territori. Ma nel cuore
della metropoli, sotto i palazzi del potere la mobilitazione ha sempre
stentato. Va dato merito agli sforzi fatti nella lunga rincorsa ai Ministri
(Balduzzi, Orlando, Lorenzin). I cicli di lotta precedenti ci dimostrano come solo
portando la mobilitazione nel cuore della metropoli i rapporti di forza
riescono ad essere incisivi.
Una coalizione non annulla i singoli percorsi. Anzi, come potrebbe. I comitati
sono le interfacce immediate sui territori, il primo strumento di aggregazione
e costruzione di conflitto sui territori. La nostra coalizione non può che
partire proprio dal rafforzamento dei singoli percorsi dei comitati e delle
reti territoriali. Ma stare in coalizione significa condividere l’orizzonte. In
questa condivisione si consuma il processo di riconoscimento politico reciproco
tra percorsi di lotta culturalmente diversi ma con obiettivi uguali e
convergenti. Nel comune orizzonte c’è la valorizzazione delle pratiche diverse
che diventano arricchimento reciproco e quindi ricchezza collettiva. E’ nella
coalizione la forza dell’unità delle lotte che per la conformazione
organizzativa e peculiare del movimento campano sui temi ambientali e sanitari,
significa anche unità dei territori. E’ evidente che una coalizione deve avere
oltre alla condivisione degli obiettivi, la condivisione delle controparti che
in questo momento non possono che essere, come sempre, il governo nazionale e
la Regione Campania. Controparti chiare e definite senza ambiguità. Al tempo
stesso una coalizione deve saper difendere con i denti, anche in virtù della
molteplicità di sensibilità e percorsi che contiene, la sua completa autonomia
dalle istituzioni e dalle forze che partecipano ai processi di governance.
Questo vale anche per quelle forze politiche o istituzionali che sembrano
convergere sugli stessi obiettivi. Con la loro azione rafforzeranno la lotta
complessiva, ma l’autonomia e l’indipendenza di una coalizione sociale di lotta
è uno dei fattori costitutivi di quel activist’s
agreement che ne costituisce la genesi.
Una coalizione contro il biocidio può essere dunque il primo determinante passo
verso una mobilitazione diffusa, capillare e vincente. A partire dalle
esperienze di lotta che ci saranno a fondamento, che non vanno ricercate solo
nei comitati territoriali e nelle reti ambientali. Come non ricordare lo sforzo
costante dei lavoratori del settore sanitario contro la dismissione del
servizio pubblico, quelle dei lavoratori delle società pubbliche addetta alla
bonifica dei territori che le istituzioni stanno dismettendo, quello dei centri
sociali, delle comunità di base, dei circoli di provincia spesso punto di
riferimento di quell’orizzonte condiviso che non può essere solo caratterizzato
dallo stop al biocidio, ma, necessariamente, deve tendere verso un altro mondo
possibile.
L'urgenza di una coalizione sociale contro il biocidio in Campania
Verso un orizzonte comune
di Antonio Musella
8 / 7 / 2013