Il giornalista si trova in Italia per presentare il suo libro "Nel baratro"

Con Michele Giorgio parliamo del complesso contesto egiziano

Le opposizioni e la ricerca di un'alternativa nel paese

13 / 12 / 2012

Con Michele Giorgio in Italia per presentare il suo libro "Nel Baratro" edizioni Allegre dedicato agli articoli di dieci anni dalla Palestina, vogliamo prima di tutto parlare di quello che sta succedendo in Egitto.

D. Fino a pochi giorni fa anche nei mass media si parlava tantissimo di quel che sta succedendo in Egitto, adesso in questi giorni cruciali perchè si sta arrivando al dunque per quanto riguarda il referendum sulla costituzione, l'argomento sembra sparito.

Questa sembra un pò la malattia del giornalismo contemporaneo, quella di seguire gli eventi quando sono particolarmente esplosivi e di non approfondirli poi a sufficienza. Per cui quando questa nuova devastante crisi egiziana, che si fonda su problemi che sono assolutamente concreti e reali,  ha avuto degli esiti molto drammatici come l'uccisione di persone, grandi manifestazioni e così via c'è stata una grande attenzione dei media mainstream. Ora che si sta discutendo in Egitto di che sbocco dare a questa crisi e si è entrati nel merito delle questioni e cioè cos'è la costituzione, cosa significherà per gli egiziani, per la maggioranza e per l'opposizione, i decreti, le forme dello stato, ecco che tutto questo diventa meno interessante per un certo tipo di informazione, che è poi quella che coinvolge il maggior numero delle persone. E' la conferma che c'è un giornalismo contemporaneo che è molto superificiale e meno approfondito verso chi ascolta o legge le notizie.

Sulle vicende egiziane con il tuo contributo ci sembra importante tracciare il contesto di quelle che vengono definite le opposizioni, un termine a volte generico. Opposizioni  alla scelta costituzionale che hanno dimostrato quanto sia ancora forte la voglia di cambiamento in Egitto anche se in un contesto diverso da quello della cacciata di Mubarak.

Non c'è dubbio. I protagonisti di quella che è stata la rivoluzione contro Mubarak del 25 gennaio, così come la chiamiamo noi, hanno sognato e soprattutto si erano impegnati per costruire un Egitto molto diverso da quello che aveva costruito Mubarak per 30 anni. Un Egitto lontano dalla corruzione, un Egitto di libertà, un Egitto, ed anche questo è bene dirlo, fondato su nuove regole dell'economia, della critica dell'economia, un Egitto che doveva finalmente redistribuire la ricchezza, un Egitto che doveva dare soddisfazioni a tanti lavoratori, milioni di lavoratori, che venivano e vengono ancora sfruttati dagli imprenditori locali e dalle multinazionali. Tutto questo però si è scontrato con un Egitto che ha avuto una trasformazione solo parziale e che ha visto tra l'altro l'ascesa al potere di forze islamiste che hanno come programma la trasformazione con un orientamento islamico della società piuttosto che andare a trasformare, a cambiare, a sovveritire quello che è l'ordine di determinate cose, in economia come nella politica, come nella società.

Per questo oggi ci troviamo di fronte ad un momento che io considero un bivio per l'Egitto.

La costruzione di un Egitto che sia plurale e che tenga conto di tutto questo, di tutti quelli che erano i sogni e le ambizioni di chi ha contribuito in maniera determinate a buttar giù Hosni Mubarak oppure un Egitto che tende ad entrare in quel gruppo di nazioni con una forte connotazione islamica, con delle forze islamiste che controllano il potere. Un Egitto più vicino alle petromonarchie del Golfo e più lontano invece da quelle realtà, anche del mondo arabo, che parlano di rinnovamento, che parlano di grandi trasformazioni.

Tutto questo ha avuto una rappresentazione forte nelle strade del Cairo e di tutte le altre città. Queste manifestazioni dove abbiamo visto gli oppositori del Presidente Morsi ma anche i sostenitori del capo di stato egiziano scontrarsi, rivelare sicuramente una ricchezza per l'Egitto, perchè c'è un dibattito molto forte, ma ci deve far capire che nella società egiziana, nelle strade, nella politica è in corso un dibattito che dovrà avere un esito.

Noi naturalmente ci auguriamo che l'esito sia quello che desideriamo per l'Egitto, di quell'Egitto diverso a cui facevamo riferimento prima, ma allo stesso tempo dobbiamo essere coscienti che forse l'esito potrebbe essere ben diverso e sicuramente una data importante è quella del 15 dicembre quando gli egiziani andranno a votare.

In quel caso vedremo se andranno a votare la maggioranza degli egiziani? Ci sarà una forte astensione? Il boicottaggio del voto funzionerà? Tutto questo ha un importanza fondamentale per capire quali sono i reali rapporti di forza tra queste formazioni in campo, sia quelle islamiste che quelle che combattono nelle strade laiche, progressiste e liberali per un Egitto diverso.

D. Parlando delle forze dell'opposizione, ci sono forze cosidette classiche e forze nate attorno a Piazza Tahir.

C'è una tendenza a generalizzare, si parla di opposizioni laiche e progressiste. In realtà l'opposizione laica è molto articolata e sicuramente questo è una grande ricchezza dell'Egitto post-Mubarak.

Abbiamo visto che non solo sono nate nuove formazioni laiche, liberali, magari anche non progressiste ma laiche, che hanno spesso preso il posto di altre formazioni che esistevano al tempo di Mubarak e cioè quella opposizione decorativa a cui ha fatto spesso riferimento il grande scrittore egiziano Ala Al  Aswani. Queste forze anche liberali non necessariamente progressiste ma laiche hanno saputo prendere il posto di questi gruppi e  formazioni.

Allo stesso tempo a sinistra però è avvenuto anche qualcosa di particolarmente importante perchè le vecchie formazioni della sinistra, che naturalmente vivevano del lavoro e della presenza di determinate nomenclature, di una burocrazia che non aveva limiti, sono state sostituite o per lo meno messe in disparte da nuove formazioni, che hanno meno struttura di partito e meno organizzazione, ma che riscuotono però grande interesse nelle fasce giovanili del paese. Tra i giovani di Piazza Tahrir, (sicuramente non sono pochi quelli che sono scesi in piazza in tante occasioni e li abbiamo visti tante volte)  ci sono tanti che hanno interesse verso una sinistra che non solo deve avere dei contenuti forti ma deve avere anche delle azioni incisive per scardinare certi modelli di potere.

Ecco perchè la sinistra è scesa in campo in questa nuova crisi egiziana, particolarmente importante, con rinnovata energia. Sono formazioni di vario orientamento ideologico ma molto incisive e molto agguerrite ma anche che sanno quello che stanno facendo, che sanno quali sono i pericoli che corre l'Egitto e sanno quali devono essere gli esiti e le soluzioni di questa situazione. Questo è molto importante anche perchè sono forze che non ricercano il compromesso, ma non nel nome del radicalismo ma semplicemente perchè sanno che il compromesso su determinati punti può essere devastante per il futuro dell'Egitto. Quindi stanno cercando di condurre una battaglia fino ad un risultato positivo dal loro punto di vista.

Se tutto questo poi avverrà, se potranno raggiungere questi risultati e queste mete non è facile dirlo, ma il fatto stesso che ci sia un opposizione di sinistra con tante sue manifestazioni, spesso non di partito o di organizzazioni ben strutturate, ci fa ben che l'Egitto comunque vada questa vicenda continui ad avere un dibattito politico e sociale particolarmente intenso.

D. Dal punto di vista dei sostenitori del governo, l'accanimento nel voler fare il referendum si configura come una mossa per dire "se la costituzione viene confermata dal referendum è stato un processo democratico, per cui non c'è niente da protestare." La determinazione di Morsi sul referendum è anche per cercare di togliere ogni dubbio intorno ad una costituzione che contiene in sè dei pericolosi germi. Come vedi le mosse del presidente.

Lo hai spiegato bene tu, questa è la strategia da parte di quella che si definisce la maggioranza islamista. Da parte di queste forze, i Fratelli Musulmani, si ritiene, forse a ragione, che una maggioranza di egiziani stia con loro, con una costituzione di orientamento islamista. Ecco perchè il presidente, i Fratelli Musulmani, i vertici dei Fratelli Musulmani hanno insistito molto per raggiungere compromessi su altri temi, (i famosi superpoteri che Morsi si è attribuito e che poi ha revocato, anche se parzialmente perchè comunque ha conservato l'inappellabilità delle sue dichiarazioni costituzionali) però sulla costituzione invece non c'è stato alcun passo indietro.

Questo perchè queste forze islamiste e i Fratelli Musulmani ritengono di avere una maggioranza dalla loro parte e appunto credono che il giorno dopo il referendum se vinto, se passeranno i sì alla costituzione, la democrazia ha sancito un risultato e che quindi la minoranza dovrà accettare il volere della maggioranza.

Questo naturalmente è molto pericoloso perchè una costituzione, una legge fondamentale viene fatta per tutti i cittadini di un paese, per tutto un popolo e non solo per la maggioranza. quindi ci sono delle gravi limitazioni alle libertà, alle minoranze, per non parlare dei diritti delle donne e stiamo parlando solo delle cose più evidenti e però sta di fatto che loro puntano molto su questo.

Questa è in generale è una strategia della Fratellanza Islamica, di una forza islamista molto moderna che crede in quella che noi chiamiamo la democrazia parlamentare nelle elezioni come strada per raggiungere il potere e dunque puntano molto su questo per avere una legittimazione.

D. Per chiudere queste riflessioni sull'Egitto, prima di passare al tuo libro, come vedi il ruolo dell'eserecio, che in maniera sibillina nei giorni scorsi ha fatto un comunicato basato sul concetto della necessaria stabilità del paese. L'esercito che in Egitto ha un ruolo non solo politico da sempre ma è anche un forte attore economico.

E' un esercito nei suoi vertici un pò diverso da quello che abbiamo visto in azione alla caduta di Mubarak e subito dopo quando hanno represso manifestazioni etc ...

Questi vertici delle Forze Armate egiziane erano comunque figli del periodo di Mubarak e hanno capito che per garantire la propria sopravvivenza e soprattutto per mantenere i loro poteri nel campo economico, i monopoli che hanno ed i vari controlli che hanno dei vari settori economici, dovevano fare anche delle scelte forti, anche liberarsi del dittatore ed infatti avevano mantenuto un atteggiamento diciamo abbastanza particolare.

Da un lato avevano favorito o quanto meno imposto la caduta di Mubarak e dall'altro lato nel periodo successivo hanno cercato di capire inanzittutto dove avrebbe potuto portare questa grande avanzata islamista che le elezioni stavano mostrando nel corso dei mesi successivi alla caduta di Mubarak.

Comunque anche in quel caso l'esercito non ebbe un attegiamento ostile verso gli islamisto perchè capi che erano una forza importante per la stabilità del paese quindi si ricercarono delle alleanze, però non erano alleanze così strutturate come invece io credo che esistano oggi.

Questi  militari egiziani di adesso sono invece figli dei cambiamenti al vertice che proprio Morsi ha voluto la scorsa estate.

Qualcuno forse ricorderà che Morsi all'improvviso ha licenziato il ministro della difesa Tantawi ed anche il capo delle Forze Armate venne messo da parte. Erano uomini forti del passato regime e del periodo post Mubarak. Vennero scelti altri uomini come Al- Sisi l'attuale ministro della difesa che è una figura molto diversa da quella di Tantawi. Non parlo nè in meglio nè in peggio. Tantawi era un personaggio assolutamente negativo sotto tutti i punti di vista. Però sta di fatto che Al-Sisi se è stato nominato capo di stato maggiore ha dei legami con le  nuove autorità, quelle islamiste.

Quindi pensare che l'esercito egiziano possa scendere in campo per aiutare il fronte dell'opposizione ad avere una costituzione che sia più garantista verso tutti secondo me è improponibile come idea.

Io credo che questo esercito abbia voluto semplicemente far capire soprattutto alle forze d'opposizione, ma soprattutto ai ragazzi giovani e meno giovani che erano nelle piazze a protestare, che di fronte ad una azione che possiamo definire dal loro punto di vista sovversiva, loro sarebbero scesi in campo per mantenere la stabilità, ma non avrebbero rovesciato Morsi. Queste Forze Armate non sono antislamiste come quelle di qualche anno fa.

D. Torniamo all'inizio, tu sei qui in Italia per presentare il tuo libro che contiene articoli sulla vicenda palestinese degli ultimi dieci anni. Cosa ti ha portato a pensare di riproporli tutti insieme.

L'idea è che sicuramente di scrivere un percorso. Il libro è dedicato soprattutto ai palestinesi non parla in modo specifico dei motivi delle ragioni del conflitto israelo- palestinese che già è stato abbondantemente affrontato e viene affrontato ogni giorno

E' un libro che si rivolge in particolare ai palestinesi e tanto è vero che questa selezione di pezzi, di articoli di reportage che alla fine ho fatto a mio avviso vuole descrivere un percorso che i palestinesi hanno fatto verso il baratro, che è il titolo del libro.

Perchè? Perchè si tratta di ripercorrere  tutto quello che è successo con la seconda intifada e cioè la violenta repressione d'Israele, tutto quello che ha rappresentato anche in termini culturali e sociali internazionali l'11 settembre con l'islamofobia e via  dicendo, poi la morte di Arafat e le politiche ovviamente sempre perenni di occupazione e sempre più devastanti di Israele che sono la ragione, la causa principale di tutto. Ma allo stesso tempo però i palestinesi hanno anche delle responsabilità al loro interno. La spaccatura che c'è tra Al Fatah e Hamas, l'incapacità di ricucire questa spaccatura e a mio avviso l'incapacità di trovare un linguaggio comune, il mettere insieme una piattaforma politica nazionale per tutti i palestinesi nei territori occupati e fuori, determinano questa situazione in cui i palestinesi a mio avviso si ritrovano in questo baratro e non credo che la proclamazione dell'accoglimento dello stato di Palestina come osservatore alle Nazioni Unite abbia modificato in maniera signiicativa qusta condizione. Tutto altro. Netanyau ha reagito annunciando nuove forme d'occupazione, di espansione delle colonie, le confische di fondi palestinesi. Ci sono state delle moderate proteste occidentali per questo ma tutto sommato i vari fattori delle occupazioni non si sono modificati anzi si sono addirittura aggravati.

Per questo motivo questi 12 annni di articoli a mio modesto parere raccontano questo lento procedere ma costante verso un baratro dal quale i palestinesi potranno e dovranno uscire, dovranno anche essere capaci loro stessi di dare delle risposte ai problemi che in questo momento li dividono.