Ecuador, il presidente Noboa dichiara lo stato di guerra interno

Violenti scontri, scatenati da gang di narcotrafficanti, hanno causato almeno 10 vittime. Il presidente ha mobilitato l’esercito e definito la situazione «una guerra interna».

10 / 1 / 2024

Si aggrava la crisi securitaria nel piccolo stato sudamericano: a seguito di gravissimi atti di violenza da parte di gruppi criminali organizzati, ieri il nuovo presidente Daniel Noboa ha dichiarato che nel paese è in corso un conflitto armato interno e segnalato ventidue gruppi del crimine organizzato come organizzazioni terroristiche.

L’escalation di violenza è iniziata tre giorni fa nelle carceri di tutto il paese con ammutinamenti e rivolte da parte di membri dei gruppi criminali in carcere che hanno portato alla fuga di due pericolosi criminali, José Adolfo Macías Villamar (alias Fito), leader dei Choneros e Fabricio Colón Pico, leader dei Los Lobos.

A seguito di queste fughe, il presidente Noboa ha decretato lo stato d’emergenza in tutto il Paese attivando anche il coprifuoco notturno, decisioni che hanno provocato la reazione dei gruppi criminali sfociata con la violenza esplosa in almeno sei carceri e nelle strade e con il sequestro di quattro poliziotti, numerosi veicoli dati alle fiamme e attacchi con esplosivi.

Nella giornata di martedì 9 gennaio poi, un gruppo di uomini armati hanno assaltato gli studi della TC Televisión a Guayaquil obbligando i giornalisti a dare loro i microfoni per trasmettere un messaggio alla nazione. Dopo una mezz’ora di terrore, la polizia è riuscita ad intervenire liberando gli ostaggi e arrestando parte del gruppo assaltante. 

Il presidente Noboa ha quindi dichiarato lo stato di conflitto interno emanando il decreto 111 con il quale riconosce lo stato di guerra interno e indica ventidue gruppi criminali come gruppi terroristi da combattere. Una misura che permette di «mobilitare le forze armate e la polizia nazionale per garantire la sovranità e la integrità territoriale contro il crimine organizzato transnazionale». Nello stesso decreto inoltre il Presidente «ordina alle forze armate di eseguire operazioni militari sotto il diritto umanitario internazionale e rispettando i diritti umani per neutralizzare i gruppi criminali».

Lo “stato di guerra” è entrato così di prepotenza nella vita degli ecuadoriani: nel giro di poche ore sono state annunciate la chiusura delle attività scolastiche, la sospensione dei trasporti pubblici e di tutte le attività sportive nel paese che implichino la riunione di persone. 

Come riporta il “medio digitale comunitario” Wambra, questa misure di Noboa quando si dichiara un obiettivo militare il rischio è di «dichiarare guerra alle persone di diversa origine e impoverite dei settori popolari che, avendo quelle caratteristiche possono essere riconosciute tali camminando per strada».

Le reazioni all’acuirsi della crisi sono state diverse. Già diversi giorni fa il sociologo David Suarez segnalava che lo Stato non riesce a controllare le carceri e la «loro brillante strategia è quella di trasformare il paese in un gigantesco carcere dalle 23 alle 5». Sempre Suarez segnala che alle recenti elezioni «non solo hanno votato un fantoccio di cartone ma hanno avvallato la continuità della barbarie» legando l’attuale governo a quello disastroso di Guillermo Lasso, tra i principali responsabili della crisi nel paese. 

L’ex presidente Rafael Correa, ha invece pubblicato sui social un messaggio alla nazione promettendo pieno sostegno al governo di Noboa e ribadendo che questo è il momento dell’unità nazionale per far trionfare lo Stato contro i gruppi criminali narcotrafficanti. 

Preoccupati i vertici della maggiore organizzazione indigena e sociale del Paese, la CONAIE che hanno pubblicato un comunicato dove si precisa che questo «è il risultato di un problema strutturale originato per la radicalizzazione delle politiche neoliberiste che hanno distrutto lo Stato e le sue istituzioni lasciandolo senza capacità di rispondere […]. Di fronte a questo panorama – prosegue il comunicato – lanciamo un appello ai popoli e alle nazionalità perché mantengano attive le guardie comunitarie, controllino l’ingresso ai propri territori e proteggano la vita e l’integrità delle comunità».