Lo stallo politico fa precipitare la situazione a Hong Kong

20 / 11 / 2019

Nei giorni scorsi, la protesta che da diversi mesi è in atto ad Hong Kong, è precipitata sul piano repressivo. La polizia ha sgomberato con estrema violenza il Campus Universitario, occupato alcuni giorni prima dai manifestanti e si sta moltiplicando il numero degli arresti e delle persone ferite. Abbiamo intervistato Simone Pieranni (qui l'audio dell'intervista), giornalista de Il Manifesto, che già lo scorso agosto dava su Globalproject un quadro molto complesso di quanto sta accadendo nell’ex colonia britannica.

Al momento ad Hong Kong la situazione è parecchio tesa perché negli ultimi giorni -soprattutto nel weekend, ma ancora oggi – è in corso quella che ormai è stata definita la “battaglia del campus” universitario. Tra domenica e lunedì la polizia ha fatto irruzione arrestando un centinaio di persone, pur avendogli sostanzialmente promesso che li avrebbero lasciati andare una volta arresi. Però c’è ancora una parte di manifestanti che è all’interno dell’università.

In realtà questo rappresenta in maniera molto chiara lo stallo che esiste in questo momento ad Hong Kong. Da un lato si denota un’assenza completa da parte del governo di Hong Kong nella gestione di questa situazione, che è stata totalmente consegnata alla polizia. Questo fa emergere un problema che nasce come politico complessivo: le richieste dei manifestanti iniziate con il ritiro della proposta di legge sull’estradizione, che in effetti è poi stata ritirata anche se con molto ritardo, nel tempo si sono sommate ad altre rivendicazioni: l’amnistia, l’indagine sulle violenze della polizia, il suffragio universale, e la derubricazione giudiziaria di quanto stava accadendo da rivolte a proteste. La politica è stata completamente assente, soprattutto da parte del governo, ed è diventato tutto una questione di ordine pubblico di cui vediamo oggi i risultati.

Dall’altra parte c’è una dimensione sociale, soprattutto riguardante la composizione dei manifestanti, che fin dall’inizio hanno avuto il supporto della popolazione e di intere zone della città, creando un grande problema alla Cina. Questa ha immediatamente fatto emergere l’immagine violenta e quasi delinquenziale dei manifestanti, che invece viene difesa da loro difesa come una risposta ovvia alla violenza commessa da parte delle forze di polizia locale.

Quindi lo stallo è politico, ma è anche legato a un contesto economico. Oggi Hong Kong sta vivendo quella che tecnicamente è una recessione, con un incredibile aumento della disoccupazione. Da un lato le istanze sociali che all’inizio facevano parte del movimento sembrano un po’ annacquate rispetto al nuovo contesto, con l’aggravante che una richiesta più autonomista e indipendentista non sarà mai accettata da Pechino. Dall’altra le caratteristiche di questo movimento, cioè orizzontale e senza leader, pongono adesso un problema molto forte, perché se non è il governo che propone delle soluzioni politiche serve, da parte dei manifestanti, trovare dei rappresentanti capaci di aprire un dialogo e una mediazione, a meno di non voler essere davvero massacrati dalla polizia di Hong Kong e da un potenziale intervento di polizia ed esercito cinese. Perché, ricordiamolo, davanti non c’è solo Hong Kong, ma c’è la Cina che ha già fatto capire che non ha una pazienza infinita.

Io non credo arriverà un intervento, come fu ad esempio a Tieanmenn, ma non c’è solo quello strumento per fiaccare e contrastare in maniera energica una protesta come quella che è ormai in corso da 5 mesi.

In definitiva, lo stallo è principalmente  politico e le scene a cui assistiamo, gli scontri e la forte contrapposizione tra le parti, dal punto di vista politico non porterà a niente, se non all’aumento ancora della repressione e degli arresti che sono ormai oltre le centinaia di persone (in media 80 persone al giorno). Se continua a essere questo il percorso di questa protesta, purtroppo la situazione potrebbe essere destinata a finire molto male.