Sarajevo attraversata sottotraccia

La campagna Lesvos Calling lungo la rotta balcanica

25 / 2 / 2020

4 febbraio 2020 - A Sarajevo se sei un migrante, la prima cosa che devi ricordarti è di non apparire come tale. Nella mattinata di oggi, nei pressi della stazione, la prima cosa che abbiamo notato sono i piccoli gruppi che abbandonano velocemente l’area, cercando di non lasciare traccia del loro arrivo in città. A differenza di Tuzla, non esiste alcun accampamento informale immediatamente visibile poiché qui sembra vigere una legge non scritta: o nascosto o nei campi ufficiali.

Girando per la città, anche nelle zone più turistiche, solo prestando attenzione si può notare la loro presenza, caratterizzata da piccoli dettagli: un sacco a pelo legato alla cintura e gli occhi puntati sulla mappa del telefono. Unica eccezione sono i migranti, spesso minorenni, che per qualche soldo vendono fazzoletti agli angoli delle strade in modo da poter continuare il loro viaggio o perlomeno garantirsi una sistemazione dignitosa per la notte.

Una condizione fortemente precaria, sempre potenzialmente sottoposta sia all’attacco delle autorità locali che delle organizzazioni criminali, come denuncia nel rapporto di gennaio di Border Violence Monitoring Network.

sarajevo

Realtà locali e IOM

Dopo il colloquio con Nidzara Ahmetasevic (giornalista bosniaca specializzata in diritti umani, politica estera e fenomeni migratori) e alcuni attivisti di Fresh Response, abbiamo potuto constatare che non c’è alcun coordinamento tra le realtà organizzate che operano in città in supporto ai rifugiati; la loro composizione spazia da cittadini bosniaci, attivisti internazionali e membri di comunità religiose.

Nel campo della solidarietà risalta, seppur sottotraccia, la spinta spontanea dei singoli che spesso costituiscono la prima linea di appoggio per i migranti in difficoltà. È facile ipotizzare che questa particolare propensione derivi dal vissuto della popolazione bosniaca derivante dal conflitto del 1992-1995.

Questo sostegno autorganizzato e dal basso, ci è stato spiegato, risulta scomodo all’IOM che, tramite finanziamenti diretti alle associazioni locali, impone una serie di criteri di controllo con l’intento di centralizzare su di sé l’azione solidale nel territorio bosniaco.

I fondi internazionali che stanno giungendo in Bosnia non lasciano indifferente il neo-governo, che ha cominciato un’opera di propaganda atta a rappresentarsi come “stato forte” in grado di gestire, se opportunamente sovvenzionato, il fenomeno migratorio. [1]

Questi processi in atto sembrano essere il primo passo verso un possibile accordo dell’Unione europea con la Bosnia, sulla scorta dei vergognosi trattati stipulati in precedenza con la Turchia e la Libia.

Nell’ambito della campagna #Lesvoscalling in questi giorni alcune attiviste/i dell’Associazione Open Your Borders di Padova e di Bozen solidale saranno nei principali luoghi di transito e confine tra Croazia, Bosnia e Serbia per continuare l’azione solidale e di monitoraggio.

Lesvos calling è una campagna solidale per la libertà di movimento dalle isole confino del Mar Egeo alla Balkan route (seguici a questo link).

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[1] Al link una delle ultime dichiarazioni del ministro dell’interno bosniaco