Secondo Diario dalle carovane Un milione di trappole

3 / 12 / 2010

Attraversando le strade del Messico capita di essere colpiti da strani agglomerati urbani. Distese di piccoli cubi tutti uguali, ravvivate appena dall'uso di colori brillanti, spuntano all'improvviso alle porte delle città. A guardarle con più attenzione si capisce che si tratta di piccole case affastellate l'una sull'altra.

Costruite in nuclei di decine di migliaia di unità, questi moderni loculi rappresentano l'ultima frontiera di espansione del capitale messicano. Complici le corporation dell'edilizia, per rilanciare l'economia gli ultimi due governi messicani hanno promosso la costruzione di immensi quartieri. La gente le chiama “casitas Auschwitz”, trappole destinate ai milioni di persone progressivamente costrette ad abbandonare le zone rurali del paese. Sono quartieri dormitorio senza luoghi di incontro e neppure chiese, fatti di casupole realizzate in materiali tanto scadenti da garantirne il deterioro in pochi anni, al contrario dei mutui accessi per comprarle che invece restano da estinguere.

Lina Quevedo ha 56 anni, è un donna con quattro figli grandi e partecipa con noi alla carovana verso Cancun. Viene da Tecamac, una cittadina non distante dalla capitale. Ha deciso di interrompere per qualche giorno lo scorrere tranquillo della sua vita e unirsi alla rotta delle carovane perchè è preoccupata. A Tecamac c'è in ballo un progetto per la costruzione di un polo abitativo di dimensioni inedite. Un milione di case. Che vorrebbe dire: occupazione dei terreni agricoli rimasti, deforestazione, prosciugamento delle risorse idriche in una zona già provata dalla siccità. Le comunità che circondano l'immenso terreno destinato al progetto sono insorte. “Sono qui per il futuro dei miei figli” – dice Lina. ”La casa è un diritto, ma queste case i nostri diritti li calpestano, li cancellano”.

Pubblicato il 2 dicembre 2010 - Il Manifesto

Marica Di Pierri

Responsabile Comunicazione Ass. A Sud