Giovedì sera a Global Beach si è parlato di fabbrica della cultura nella crisi. Hanno partecipato la filosofa Judith Revel e l'economista Andrea Fumagalli. Interessante il dibattito anche alla luce dell'inchiesta avviata da Sale Docks sul lavoro nella fabbrica della cultura. Un mondo fin qui difficilmente esplorato e esplorabile. E che per molti versi riflette i cambiamenti che si sono verificati nelle fabbriche tradizionali.
Spezzatini, esternalizzazione, precarizzazione e anche lavoro nero.«Da una parte - dice Tommaso Cacciari - assistiamo in particolare a una riqualificazione dell'offerta formativa universitaria i cui effetti maggiormente visibili sono stati la creazione della nuova facoltà di Art e Design dello Iuav, la nascita di inediti corsi di gestione emanagement dei beni culturali di Ca' Foscari, il progetto della creazione di una sorta di Dams interfacoltà e interuniversità che coinvolgesse anche l'Accademia di Belle Arti». A questa riqualificazione ha corrisposto anche un superamento delle modalità tradizionali di organizzazione della docenza. «Il caso più evidente - dice ancora Cacciari - è quello della facoltà di Arti eDesign che ha scelto di dotarsi di un corpo docente con un numero di figure strutturate assai ridotto, espandendo invece a dismisura la docenza a contratto, attraverso l'ingaggio temporaneo a suon di decine di migliaia di euro, di artisti e curatori di fama mondiale, circondati da numerosi "assistenti all'insegnamento", giovani, precari e sottopagati».
L'università dunque è riuscita in tal modo a garantire che l'offerta formativa sia posizionata in un mercato molto veloce e sintonizzata con una domanda in permanente evoluzione. «Accanto alla riorganizzazione delle istituzioni universitarie pubbliche - insiste Cacciari - abbiamo assistito a un fiorire di strutture private della formazione. Un peso significativo anche per il numero annuo di visitatori e la rilevanza del patrimonio che si trovano a gestire ce l'hanno comunque le istituzioni della conservazione museale».
Il polo più consistente è rappresentato dai musei civici veneziani recentemente trasformati in Fondazione. «Parliamo di un polo - dice Cacciari - che può contare su di un fatturato di oltre 60 milioni di euro l'anno e che è un grande bacino di lavoro precario con più di 450 lavoratori, formalmente inquadrati nella figura del "socio-lavoratore" e così sfruttati grazie al ricorso allo strumento delle cooperative». Oltre ai musei c'è naturalmente la Biennale. «Anche la Biennale - dice Cacciari - lavora con un nucleo molto ridotto di lavoratori garantiti da contratti a tempo indeterminato che assicurano la continuità operativa dell'organizzazione e con un amplissimo polmone di lavoro precario, non solo per l'allestimento e la guardiania, ma anche per funzioni qualificate di lavoro cognitivo: non a caso quattro anni fa per la realizzazione del grandi eventi quali laMostra del Cinema o Arti Visive è passata dal tradizionale rapporto contrattuale stagionale a chiamata presso l'ufficio di collocamento ad un mix tra meccanismo delle cooperative e ricorso alle agenzie di lavoro interinale».
Entrando nel vivo dell'inchiesta del Sale, emerge fin dai primi passaggi sulla ricostruzione dei percorsi soggettivi un dato: l'enorme massa di lavoro non retribuito di cui si appropriano le istituzioni culturali. «È significativo che tutti gli intervistati - dice Cacciari - abbiano alle spalle anni di stage totalmente volontari, sicuramente esperienze formative ma che spesso vedono studenti qualificati assorbiti da attività dequalificate: la Guggenheim per esempio funziona per i suoi servizi diguardaroba, bookshop, guardiasala, esclusivamente utilizzando questo tipo di manodopera gratuita».
Ma l'appropriazione di lavoro gratuito è fondata sullo scambio ineguale dell'internità e accessibilità ai circuiti del mercato. Questi stage infatti sono ritenuti la chiave d'accesso all'inserimento progressivo nella fabbrica della cultura.Il secondo dato che emerge dall'inchiesta è il moltiplicarsi del numero di lavori svolti simultaneamente per arrivare a un livello di reddito adeguato. «Molto spesso - dice Cacciari - si fa un lavoro gratuito o sottopagato in questo settore elettivo, "quello che mi piace fare" dicono gli intervistati, nei musei e nelle gallerie e si sopravvive grazie a un lavoro dequalificato nell'industria turistica, dimostrando come, al di là delle buone intenzioni della governance cittadina, ci sia un rapporto di vasi comunicanti tra questo nuovo settore creativo e l'economia turistica anonimizzante e massificata».
Il terzo elemento emerso dalle interviste è la casualità. «È infatti il caso - conclude Cacciari - a definire molto spesso la collocazione e il ruolo in questo mercato. Incontri fortuiti, relazioni che si costruiscono sul caso e sull'occasione colta o lasciata possono orientar in un senso o nell'altro un percorso individuale».
Fonte: Il Manifesto 06.09.2009