Cultura a costo zero

Al Global Beach si è parlato di fabbrica della cultura durante il periodo della crisi. Interessante dibattito anche alla luce dell'inchiesta avviata da Sale Docks sul lavoro che non c'è. Un mondo fin qui difficilmente esplorato e esplorabile.

6 / 9 / 2009

Giovedì sera a Global Beach si è parlato di fabbrica della cultura nella crisi. Hanno partecipato la filosofa Judith Revel e l'economista Andrea Fumagalli. Interessante il dibattito anche alla luce dell'inchiesta avviata da Sale Docks sul lavoro nella fabbrica della cultura. Un mondo fin qui difficilmente esplorato e esplorabile. E che per molti versi riflette i cambiamenti che si sono verificati nelle fabbriche tradizionali.

Spezzatini, esternalizzazione, precarizzazione e anche lavoro nero.«Da una parte - dice Tommaso Cacciari - assistiamo in particolare a una riqualificazione dell'offerta formativa universitaria i cui effetti maggiormente visibili sono stati la creazione della nuova facoltà di Art e Design dello Iuav, la nascita di inediti corsi di gestione emanagement dei beni culturali di Ca' Foscari, il progetto della creazione di una sorta di Dams interfacoltà e interuniversità che coinvolgesse anche l'Accademia di Belle Arti». A questa riqualificazione ha corrisposto anche un superamento delle modalità tradizionali di organizzazione della docenza. «Il caso più evidente - dice ancora Cacciari - è quello della facoltà di Arti eDesign che ha scelto di dotarsi di un corpo docente con un numero di figure strutturate assai ridotto, espandendo invece a dismisura la docenza a contratto, attraverso l'ingaggio temporaneo a suon di decine di migliaia di euro, di artisti e curatori di fama mondiale, circondati da numerosi "assistenti all'insegnamento", giovani, precari e sottopagati».

L'università dunque è riuscita in tal modo a garantire che l'offerta formativa sia posizionata in un mercato molto veloce e sintonizzata con una domanda in permanente evoluzione. «Accanto alla riorganizzazione delle istituzioni universitarie pubbliche - insiste Cacciari - abbiamo assistito a un fiorire di strutture private della formazione. Un peso significativo anche per il numero annuo di visitatori e la rilevanza del patrimonio che si trovano a gestire ce l'hanno comunque le istituzioni della conservazione museale».

Il polo più consistente è rappresentato dai musei civici veneziani recentemente trasformati in Fondazione. «Parliamo di un polo - dice Cacciari - che può contare su di un fatturato di oltre 60 milioni di euro l'anno e che è un grande bacino di lavoro precario con più di 450 lavoratori, formalmente inquadrati nella figura del "socio-lavoratore" e così sfruttati grazie al ricorso allo strumento delle cooperative». Oltre ai musei c'è naturalmente la Biennale. «Anche la Biennale - dice Cacciari - lavora con un nucleo molto ridotto di lavoratori garantiti da contratti a tempo indeterminato che assicurano la continuità operativa dell'organizzazione e con un amplissimo polmone di lavoro precario, non solo per l'allestimento e la guardiania, ma anche per funzioni qualificate di lavoro cognitivo: non a caso quattro anni fa per la realizzazione del grandi eventi quali laMostra del Cinema o Arti Visive è passata dal tradizionale rapporto contrattuale stagionale a chiamata presso l'ufficio di collocamento ad un mix tra meccanismo delle cooperative e ricorso alle agenzie di lavoro interinale».

Entrando nel vivo dell'inchiesta del Sale, emerge fin dai primi passaggi sulla ricostruzione dei percorsi soggettivi un dato: l'enorme massa di lavoro non retribuito di cui si appropriano le istituzioni culturali. «È significativo che tutti gli intervistati - dice Cacciari - abbiano alle spalle anni di stage totalmente volontari, sicuramente esperienze formative ma che spesso vedono studenti qualificati assorbiti da attività dequalificate: la Guggenheim per esempio funziona per i suoi servizi diguardaroba, bookshop, guardiasala, esclusivamente utilizzando questo tipo di manodopera gratuita». 

Ma l'appropriazione di lavoro gratuito è fondata sullo scambio ineguale dell'internità e accessibilità ai circuiti del mercato. Questi stage infatti sono ritenuti la chiave d'accesso all'inserimento progressivo nella fabbrica della cultura.Il secondo dato che emerge dall'inchiesta è il moltiplicarsi del numero di lavori svolti simultaneamente per arrivare a un livello di reddito adeguato. «Molto spesso - dice Cacciari - si fa un lavoro gratuito o sottopagato in questo settore elettivo, "quello che mi piace fare" dicono gli intervistati, nei musei e nelle gallerie e si sopravvive grazie a un lavoro dequalificato nell'industria turistica, dimostrando come, al di là delle buone intenzioni della governance cittadina, ci sia un rapporto di vasi comunicanti tra questo nuovo settore creativo e l'economia turistica anonimizzante e massificata».

Il terzo elemento emerso dalle interviste è la casualità. «È infatti il caso - conclude Cacciari - a definire molto spesso la collocazione e il ruolo in questo mercato. Incontri fortuiti, relazioni che si costruiscono sul caso e sull'occasione colta o lasciata possono orientar in un senso o nell'altro un percorso individuale».

Fonte: Il Manifesto 06.09.2009