Biotecnologie e capitale al tempo del neoliberismo

La vita come plusvalore di Melinda Cooper.

Melinda Cooper, La vita come plusvalore. Biotecnologie e capitale ai tempi del neoliberalismo, Introduzione e cura di Angela Balzano, Postfazione di Rosi Braidotti, ombre corte, Verona 2013, pp. 155

18 / 9 / 2013

La temperatura delle città postindustriali possiamo misurarla sulla nostra pelle, tentando una media tra i giorni che brucia e i giorni che ghiaccia. Ma la media non c'è. La linea retta disegnata dal mercurio nel termometro è metafora che non regge le metamorfosi in corso. Si spacca in mille punti e il mercurio s'espande tutt'intorno. Il clima è schizofrenico. I nostri corpi lo avvertono, mutano per meglio sopravvivere. La misura è ciò che resta di una morale che non ci serve a uscire dalla crisi. Dentro la crisi, il comando neoliberista si esprime nella rottura di ogni argine, sposta la crisi stessa dentro e oltre i limiti della vita. Crisi che non sapremo più dire quando è iniziata, o quando finirà. Crisi Politica, militare, civile, economica, sociale, ambientale, climatica...un interminabile appello allo stato d'allerta viene pronunciato ogni dì, almeno dagli inizi degli anni ottanta del XX sec. in poi, almeno da quanto biotecnologie e capitalismo hanno iniziato a svilupparsi simultaneamente. Per questo molti e molte hanno pensato questa fase tecnologicamente guidata del capitalismo avanzato come una fase di crisi permanente, caratterizzata dall'economia della catastrofe: la politica come sistema di gestione della passione negativa, della paura. Eppure, sotto la spinta delle nuove tecnologie della vita, molto è cambiato da quando nell'immaginario sociale la catastrofe era associata al nucleare. Oggi l'incidente fatale ha sempre più a che fare con il disastro ecologico, la malattia e lo scalpitare di virus incattiviti dalla libera circolazione di merci e individui. Aviaria, AIDS e influenza suina sono solo alcuni esempi di paradossi che ci riguardano da vicino: più la vita è il fulcro di sapere e innovazione tecnologica, più aumenta la sua capacità di ritorcersi contro. Coincidenza ambigua: ora che la vita in sé diviene oggetto privilegiato di molte scienze, essa si trova anche a funzionare come enzima catalizzatore delle spinte neoliberiste alla sicurezza, alla privatizzazione, alla creazione di debito, al controllo e alla privazione di diritti. Melinda Cooper dimostra in questo suo attualissimo libro, La vita come Plusvalore, che la storia delle biotecnologie non può essere compresa senza tener presente l’ascesa, simultanea, dell’economia neoliberista come forza politica. Indagando gli sviluppi delle tecnologie del DNA ricombinante del 1970, le politiche dell’amministrazione Bush sulla ricerca sulle cellule staminali, Cooper fa risalire l’utopia polemica del libero mercato alla crescita delle sue contraddizioni interne, alla privatizzazione delle scienze della vita.

Analizzando i nessi tra le nuove ricerche biotecnologiche, la finanza e la governance, e al contempo soffermandosi sulla nuova forma imprenditoriale rappresentata dalle start-up biotech, la Cooper, seguendo Foucault, sposta la critica alla proprietà privata intellettuale dall’ambito della produzione a quello della riproduzione e della circolazione del sapere.

La rivoluzione biotech ha ricollocato la produzione economica a livello genetico, microbiologico, cellulare. La riproduzione biologica di donne e uomini, di piante e animali, di molecole, geni e microbi è oggi sempre più immessa nei circuiti dell’accumulazione capitalista, e perciò stesso acquista sempre più anche una dimensione normativa.

Partendo dall’assunto che la vita è stata catturata dai circuiti di valorizzazione economica, la Cooper, con le sue acute analisi sulle politiche della scienza nel periodo reaganiano, sulla militarizzazione del settore delle biotecnologie, sull’imperialismo farmaceutico, sul movimento per la vita, mette sotto esame l’impulso speculativo che ha animato lo sviluppo della bioeconomia.

Al centro della nuova economia postindustriale c’è la trasformazione della vita biologica in plusvalore, processo che la Cooper descrive senza dimenticare mai che l’espropriazione è da sempre fattore immanente alla produzione capitalista. L’elemento innovativo che ella si propone di cogliere è costituito dal passaggio dalla valorizzazione economica della vita umana e discorsiva, del bios, alla valorizzazione della vita tutta, della vita in sé, ovvero di zoè, la vita intesa nella sua stessa capacità riproduttiva e nella sua stessa potenza generativa.

I reali meccanismi del capitalismo avanzato mal si adattano ai vecchi dispositivi di produzione e controllo del welfare state occidentale, dal momento che il bersaglio dell’espropriazione oggi non è più rappresentato dal mero tempo di lavoro del cittadino astratto. Genetica, microbiologia, medicina umana riproduttiva, nuove tecnologie dell’informazione, facilitano l’espropriazione, senza limiti, di ogni tipo di corpi e corpuscoli, dagli embrioni agli estremofili, rendendo fonte di plusvalore soprattutto i poteri riproduttivi delle donne, e quelli affettivi-comunicativi della specie umana. La Cooper ci restituisce così ambivalenze e contraddizioni delle nuove tecnologie della vita: grazie ad esse potremmo forse migliorare la nostra vita, quella delle specie e della terra in generale, o potremmo forse mettere a punto nuovi dispositivi di controllo e assoggettamento al debito. Se è vero che tecnologie della vita vuol dire sia fecondazione assistita che trapianto d’organi, non possiamo tacere che entrambe prevedono un potenziale di liberazione, come la possibilità di avere figli per coppie lesbiche, e un potenziale di assoggettamento, come la miseria che induce le donne dei paesi del sud est asiatico a vendere i loro organi al mercato nero.

Grazie alla Vita come Plusvalore capiamo che non c’è alcun rapporto di causa-effetto tra il grado di sviluppo economico e tecnologico di un paese e il grado di libertà di cui godono le soggettività che vi risiedono (o vi transitano). L’ossessione comune a neoliberismo e neoconservatorismo sembra essere oggi quella di una paura atavica: i sono i nostri corpi capaci di resistere alla capitalizzazione della vita in sè?

La risposta della Cooper alimenta speranze: «a fronte di una politica che sceglie di lavorare in modo speculativo, quello che ci vuole oggi è un sabotaggio creativo del futuro; una pragmatica delle resistenze possibili e capaci di attualizzare il futuro al di fuori dei confini controllati del diritto alla proprietà. E di fronte a politiche che troppo spesso adottano atteggiamenti di rassegnazione davanti alle catastrofi biosferiche, è essenziale per noi non attribuire a ciò il senso dell’inevitabile1».

Angela Balzano

Melinda Cooper, La vita come plusvalore. Biotecnologie e capitale ai tempi del neoliberalismo, Introduzione e cura di Angela Balzano, Postfazione di Rosi Braidotti, ombre corte, Verona 2013, pp. 155