L'arcano della riproduzione nella "normalità capitalista"

L'intervento di Stefania Barca (Università di Coimbra) al webinar "Covid19 e crisi climatica"

3 / 6 / 2020

Come piccola introduzione, vorrei allacciarmi alla visione generale che va data a questa pandemia, ovvero il risultato di una crisi ecologica planetaria e di una crisi di relazioni tra la produzione di beni e servizi e la riproduzione del vivente. Lo sconvolgimento del rapporto di queste due sfere (produzione e riproduzione) su scala globale è proprio ciò che spiega l'attuale pandemia.

Questa crisi ecologica planetaria, a sua volta, va vista come il risultato di un lungo trand storico cominciato con l'intreccio inscindibile tra il sistema patriarcale e il capitale all'interno del continente europeo. Tale intreccio ha dato inizio allo sfruttamento capitalista dei corpi, della natura e alla colonizzazione del mondo con tanto di genocidi, ecocidi ed epistemicidi, ovvero l'omogeneizzazione delle forme di conoscenza del mondo.

Questo è un trand di durata secolare che termina oggi con una crescita senza precedenti dell'economia globale, durata dal 1945 in poi in un periodo che gli storici definiscono della “Grande accelerazione”, ovvero l'ultima fase di questo già citato trand storico, iniziato all'incirca quattro secoli fa. Anche quest'ultima fase di grande accelerazione, guardando i dati sui consumi e sulla degradazione dei sistemi terrestri, ha il suo picco proprio nella fase che parte dal primo dopoguerra e arriva fino ai giorni nostri.

Ciò di cui dobbiamo essere consapevoli è che si tratta di una parte della quale stiamo vivendo gli ultimi spasmi. Il fatto marcante che ha portato a questa situazione è uno, ovvero la sottomissione del vivente al capitale, quindi la subordinazione della sfera della produzione a quella della riproduzione. Produzione intesa in un senso ben preciso, quella proiettata al mercato e alla crescita del Prodotto Interno Lordo.

Questa è quella “normalità” che da più parti sentiamo invocare: la “normalità del capitale”. Per molti questa sembra essere l'unica via possibile e l'unica realtà, quella che Mark Fisher ha chiamato il Realismo Capitalista, ovvero l'idea che non esistano alternative e che questa sia l'unica realtà possibile. Per capire questa trama del realismo capitalista dobbiamo fare un passo indietro, e guardare a questi decenni di grande accelerazione che abbiamo alle spalle, in quanto epoca della globalizzazione economica che ha in qualche modo acuito e accelerato quella crisi ecologica cominciata secoli fa, dandole un ritmo che non ha precedenti nella nostra storia.

Questa accelerazione della crisi ecologica è legata alla globalizzazione economica, alla crescita dei consumi e alla grande crescita dell'economia mondiale, concentrata in gran parte nei Paesi del nord del mondo.

Ritengo sia estremamente importante concentrarsi sul consenso sociale di cui questa crescita ha goduto, questo è un problema sul quale non è possibile girarci intorno. La questione va affrontata perché il consenso sociale generalizzato è il nodo del problema, in quanto fattore che ha sostenuto questo modello che ha avuto le sue origini grazie al regime fordista basato su un patto tra capitale e lavoro con il grande sacrificio dell'ambiente e della salute. Patto fordista che si può tradurre nell'accettazione da parte delle classi lavoratrici dei Paesi industrializzati di questo scambio perverso tra benessere materiale – portatore tra l'altro di emancipazione e politiche sociali, di un'espansione senza precedenti dello Stato sociale e dell'accesso ai servizi collettivi da parte della classe lavoratrice (un mondo, quello del dopoguerra, completamente nuovo rispetto a quello precedente) – in cambio della nostra salute e dell'ambiente.

Per capire però questa accettazione dobbiamo fare i conti con due aspetti che forse non sono strettamente collegati alla problemática del patto fordista e del ricatto ambiente-lavoro. Tale patto non si basava solo su relazioni tra classi sociali, ma anche su disuguaglianze di razza e di genere. Va dunque considerato il fatto che del patto fordista hanno beneficiato in particolare le società industrializzate del nord globale. Ha poi prodotto emancipazione sociale anche e soprattutto per le classi lavoratrici, tuttavia le disuguaglianze di classe hanno comportato per la classe operaia in particolare un costo molto superiorie in termini di salute. Esempio emblematico di ciò è la storia delle patologie legate all'amianto, che comportano la grande tragedia dell'industrializzazione degli ultimi decenni. L'aumento delle patologie legate all'aumento della produzione industriale non è un fattore da cui estraniarsi.

Allo stesso tempo, i costi sociali sono stati pagati non soltanto dalla classe operaia in questi termini, ma anche dalle donne, ancora una volta per mezzo di differenziazione. Questo perché nel momento stesso in cui, soprattutto nel modello fordista e in quello industriale, i lavoratori nell'industria più tecnologicamente avanzata sono maschi – i quali hanno beneficiato dei vantaggi dell'emancipazione sociale, pur pagandola con la propria salute –, le donne delle classi operaie si sono ritrovate ad essere sacrificate a tale modello. Sacrificate sull'altare del cosiddetto arcano della riproduzione, cioè dando loro all'interno della società il ruolo di riproduzione e di cura, svolgendo quindi mansioni non retribuite e non riconosciute come lavoro. In questo mancato riconoscimento del lavoro delle donne c'è stato dentro tutto un sistema di valori che ha comportato la negazione di valore alla sfera della riproduzione e del vivente.

Dall'altro lato, c'è la questione dei rapporti e disuguaglianze razziali e coloniali che si concretizzano nella grande crescita economica del Nord industrializzato, pagata però a caro prezzo da tutto il resto del mondo colonizzato nel primo periodo post bellico, e poi decolonizzato ma mantenuto in condizioni di dipendenza e sfruttamento rispetto al mondo industrializzato.

Ciò che non va dimenticato è che questi rapporti coloniali e questa divisione sessuale del lavoro sono stati connaturati al modello della crescita economica del benessere del Nord, poiché senza di esse non sarebbe stato possibile, visto che i costi dello sviluppo capitalistico e industriale sarebbero stati troppo alti. Ciò che ha permesso tale sviluppo è stata l'esternalizzazione, ovvero lo scaricamento di tali costi sui soggetti citati. Soggetti differenziati quindi per razza e genere che hanno funzionato come lavoro e natura a basso costo. Sono stati di fatto questi due fattori quelli che hanno contribuito in gran parte consentendo la crescita economica.

Tutto questo per dire che, anche se ormai siamo agli ultimi spasmi di questa fase, questo sistema entrato in crisi ormai da decenni e che da tempo non produce più emancipazione sociale nemmeno per le classi lavoratrici del Nord, continua invece a produrre una distruzione degli equilibri, con cambiamenti climatici e pandemie. È ormai chiaro a tutti che lo scopo dell'azione politica non può essere quello di ripristinare quella forma di benessere e di crescita economica che ha avvantaggiato pochi soggetti con enormi costi sociali, svantaggiando moltissime parti e distruggendo il pianeta.

Questa è la normalità capitalista che da più parti si invoca e a cui, secondo molti, dobbiamo tornare. Tale normalità è quella a cui tutti i movimenti sociali con i quali ci riconosciamo stanno dicendo di non voler tornare. Si chiede invece una nuova normalità; una normalità alternativa che rifiuti il diktat del realismo capitalista. Ci sono delle modalità d'attuazione che sono in via di costruzione. Sono modi intesi come prassi che hanno alle spalle riflessioni, dibattiti e lotta politica.

Contestualizzando il discorso all'Europa, è utile menzionare una di queste alternative in via di costruzione che è il Green New Deal europeo. Si tratta di un piano di investimenti per le società post carboniche, fatte in modo tale da eliminare le cause stesse che hanno portato alla attuale crisi ecologica, cioè quella divisione razziale, sociale, sessuale, di classe e del lavoro che produce l'ingiustizia ambientale. Tale piano è stato elaborato sulla base di idee e lotte provenienti da movimenti sociali che hanno portato ad una convergenza straordinaria in questi anni che non si vedeva da decenni, ovvero il mondo della ricerca e quello dei movimenti sociali. Tale convergenza d'intenti è fatta con l'idea che questo piano venga condiviso e usato come piattaforma per la lotta politica, e che metta al centro la giustizia climatica e la riproduzione sociale. Un modello chiaramente estraneo a quello promosso dalla Commissione europea, che è invece un modello di ricrescita del capitalismo “verde”, quindi l'intenzione di mantenere il modello attuale con qualche piccola pennellata ecologica.