Un anno e mezzo dopo l’uscita sul mercato ispanico, è arrivato anche in Italia Corte de caja. Entrevista al Subcomandante Marcos, una lunga intervista della giornalista messicana Laura Castellanos al volto più mediatico dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). E’ un libro che aiuta a tracciare un bilancio dell’esperimento autonomo delle Juntas de Buen Gobierno, iniziato 7 anni a, e dell’iniziativa politica della Otra Campaña, alternativa dal basso al sistema politico fondato sulla rappresentanza dei partiti tradizionali, lanciata 4 anni a. Il titolo italiano del libro è Punto a capo. Presente, passato e futuro del movimento zapatista (ed. Alegre,13 €, on-line su lafeltrinelli.it e ndanet.it), il ricavato delle vendite servirà a sostenere il movimento zapatista; la traduzione è a cura di Fabrizio Lorusso, blogger di lamericalatina.net e latinoamericaexpress.blog.unita.it, da otto anni a Città del Messico, che ha accettato di rispondere via email ad alcune domande di Rotta a Sud Ovest. Ecco le sue risposte
- Come è stato tradurre questo libro in italiano?
Da un
punto di vista personale è stata un’avventura piacevole ed entusiasmante dato
che da anni mi occupo di temi politici e sociali latino americani, quindi i
movimenti sociali e l’esperimento zapatista in Chiapas mi hanno sempre
appassionato. Dal punto di vista “tecnico” il lavoro di trasposizione
linguistica e soprattutto culturale dell’idiosincrasia della varietà messicana
dello spagnolo è stata la sfida più interessante. Spesso tradurre un “¡Orale
pues!” messicano con un semplice “Dai va!” italiano è limitante, però ho cercato
di fare del mio meglio in tutti i casi simili!
- Per buona parte
dello scorso decennio il subcomandante Marcos è stato uno dei volti più
carismatici del movimento anti-globalizzazione. Poi i riflettori, almeno quelli
internazionali, si sono spenti. Cosa è successo?
Nel libro Marcos
spiega la progressiva ritirata mediatica del movimento. Un primo silenzio inizia
dopo la Marcia del Colore della Terra nel 2001, con cui gli zapatisti hanno
“conquistato” Città del Messico e la sua gente con tre obiettivi strategici:
liberare il Chiapas dalla militarizzazione, chiedere la libertà dei detenuti
politici del movimento e, la più importante, dare rango costituzionale agli
accordi di San Andres, negoziati e rimasti lettera morta nel 1996. Il
“tradimento” dei partiti politici in parlamento porta al ripiego e alla
riflessione sul futuro del movimento, che nel 2005-2006 lancia la Otra Campaña,
come reazione al sistema dei partiti e della politica messicani. A partire dal
2006 e dalle discusse elezioni presidenziali, l’EZLN si propone come elemento di
unificazione di diverse anime della protesta sociale nazionale ed estende la sua
presenza, e, parallelamente, Marcos comincia a ridurre la presenza negli spazi
mediatici sempre più rari concessi dai media. La prassi politica dei
caracoles comincia a rappresentare un’alternativa rilevante, mentre
l’aspetto militare della lotta passa in secondo piano. I riflettori si sono
relativamente spenti, quindi, per molti motivi diversi: perché l’EZ sembra
“passato di moda”, perché ha mollato i partiti tradizionali e ha favorito una
politica “subalterna” e di base o forse perché vengono trascurate le notizie dal
Chiapas dove quotidianamente si registrano nuovi soprusi, detenzioni e
violazioni dei diritti umani.
- Vivi in Messico e quindi hai contatto diretto con la sua realtà: cosa è oggi del movimento zapatista? Continua ad avere una sua presenza o Marcos non fa più “paura” all’establishment come quando portò migliaia di persone nello Zocalo? Dall’estero si ha come l’impressione che violenza e narcotraffico abbiano messo un po’ da parte le cause degli indigenas nelle preoccupazioni della società messicana.
Sì, come dicevo poco fa, l’EZLN ha deciso di riconvertirsi alla politica del
buon governo, della trasparenza e dell’autonomia, che sta dando buoni risultati
anche se limitati dai problemi secolari e strutturali e dall’ostilità delle
istituzioni statali nella regione. Non credo sia corretto parlare di “paura”
generata dall’EZLN nell’élite, anche se è vero che nella classica lista delle
preoccupazioni della popolazione, il narcotraffico, l’insicurezza nelle città, i
sequestri, scalano le classifiche dei temi caldi. Un esperimento sociale e
politico come quello dei caracoles attira più l’attenzione di altri
paesi, mentre viene ignorato in Messico o nella nostra Italia, arenata su stessa
e sul suo immobilismo gerontocratico.
- Nelle anticipazioni uscite un
paio di anni fa, ai tempi dell’uscita del libro nel mercato latinoamericano,
Marcos esprimeva giudizi taglienti anche su leaders che sarebbero a lui vicini
come Chavez, che non esita a considerare a rischio caudillo, Cristina
Fernandez o Evo. Gli unici che sembrano avere la sua stima sono Fidel e il Che.
Dove collochiamo, allora, il movimento zapatista nello scacchiere
latinoamericano?
Una tendenza un po’ semplicista lo colloca in un
pentolone unico, magari con il ruolo di precursore, insieme a tanti altri
movimenti identificati per la loro opposizione a una o più tendenza della
globalizzazione o al neoliberismo. Non credo molto in queste etichette e
preferisco avvicinarmi alle peculiarità di ogni movimento sociale e alle sue
rivendicazioni. Credo che il Sub e l’EZ guardino con interesse e simpatia alle
esperienze politiche delle “nuove sinistre progressiste” venezuelane, argentine
e boliviane o, in generale, latino americane che, anche loro, mostrano vari
livelli e forme d’antiamericanismo e d’opposizione alla globalización
neoliberal.
- La definizione che dà del Che è a suo modo poetica: appartiene a
una generazione che non è ancora nata. La condividi? nascerà mai la generazione
del Che? E, soprattutto, l’America Latina ne ha bisogno?
Probabilmente il Che e Fidel sono i personaggi, i volti e i miti
che più hanno contraddistinto l’America Latina a livello internazionale dagli
anni 60 in poi e hanno forgiato l’identità regionale militante, insieme a altri
grandi come Simon Bolivar, il General San Martin, Benito Juarez, Garcia Marquez,
Mario Benedetti, Ruben Dario, Villa, Zapata, i fratelli Flores Magon,
Mariategui, Josè Martì, Salvador Allende, eccetera (e davvero chiedo scusa se
solo ne nomino alcuni qui a titolo d’esempio). L’appropriazione delle lotte
sociali e culturali di questi personaggi varia però da paese a paese e tra i
diversi gruppi, partiti e movimenti, decennio dopo decennio. Penso che l’America
Latina abbia bisogno della sua storia ma soprattutto di un rinnovamento
ideologico e culturale, non tanto di figure forti e carismatiche, che possono
avere un impatto importante, ma non fanno la differenza se prese così da
sole.
- Nel libro Marcos fa sfoggio di umorismo, di ironia e di
autoironia (ricordo che Angelina Jolie suo amore impossibile finì anche sui
giornali italiani), quali sono le pagine in cui l’hai più apprezzato per
questo?
Un po’ in tutto il testo Marcos fa dell’ironia e del
sarcasmo su sé stesso, sui mass media e anche sui momenti difficili della sua
storia come personaggio pubblico e privato. Scherza amaramente sull’amore
clandestino e sulla donne, forse mostrando un po’ di quel maschilismo che gli
viene spesso rimproverato e che costituisce un’altra importante sfida culturale
in evoluzione che devono affrontare le comunità autonome e la società per
democratizzare effettivamente i loro sistemi di governo.
- Una delle
cose che dice e che mi hanno colpito, sempre dalle anticipazioni, è che se
tornasse indietro cercherebbe di apparire meno sui media. Perché? In fondo hanno
dato visibilità (e dunque potere) alla sua causa…
Sicuramente l’EZLN
e Marcos sono stati uno dei primi movimenti globali, che hanno convogliato
un’attenzione mediatica senza precedenti, anche grazie a Internet e
all’interesse che ha risvegliato in tutto il mondo. Simultaneamente è nato un
movimento no global articolato in decine, anzi centinaia di anime postmoderne
accomunate da uno spirito di ribellione e protesta. Quindi le casse di risonanza
e il potere che ne poteva derivare sono state molte e potenti. D’altro canto
anche le possibili distorsioni della realtà e delle strutture del neozapatismo
sono state pregiudicate, dato che la creazione di un leader non era prevista,
anzi, indeboliva il movimento, scaricando tutte le responsabilità, i successi e
le inquietudini su una sola persona, che poteva essere colpita più facilmente
per screditare il lavoro di tutti. C’è quindi un trade off difficile da
controllare e da gestire per i movimenti sociali che possono passare dal
silenzio alla iper-presenza mediatica in pochi mesi, senza comunque aver potuto
trasmettere integralmente le ragioni della loro lotta.
- Un tuo
bilancio della parabola di Marcos, dopo aver tradotto questo libro in italiano?
Come è cambiata, se è cambiata, la tua opinione su di lui?
Il libro
ha chiarito alcuni punti oscuri della storia dell’EZLN e di Marcos. Sia che lo
vediamo come un illuso o un sognatore che come pensatore politico, scrittore o
sperimentatore autonomista e democratico, resta chiaro che il lavoro che viene
svolto nei caracoles e nelle Juntas de Buen Gobierno trascende
i confini del Chiapas e del Messico. Marcos chiarisce inoltre la sua relazione
con gli altri gruppi armati del Messico come l’EPR ed evidenzia il carattere
pacifista in questa fase dell’EZLN. L’opinione su Marcos diventa quindi un
giudizio sul suo percorso, sugli errori del movimento e i suoi risultati, che si
è arricchito durante la lettura e la traduzione di questa lunga intervista, ma
vorrei lasciare aperta la risposta per invitare i lettori alla riflessione e al
dibattito su Punto e a capo.