"La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio.” (Pablo Neruda)

1 / 2 / 2010

Nel vuoto abissale della politica e nel collasso culturale dell’Italia berlusconiana, non ci si indigna più per l’oscenità della guerra (che non produce eroi, solo morte e menzogna), ma ci si scaglia contro gli ultimi contro chi, nel cercare pane e dignità, patisce una crudele negazione dei suoi diritti alla vita.
Così gli immigrati sono diventati i responsabili di ogni violenza, in particolare sulle donne.
Interessa a pochi che l'80% della violenza sulle donne sia tutta italiana e domestica e provenga dai familiari o conoscenti delle vittime, da bianchissimi e rispettabili italiani.
È il dilagare della doppia morale, che piace a così tanti.
Dio, patria e famiglia, si predica nascondendo il rovescio della medaglia, che è l’allegra, e privatissima, pratica del bordello; per cui il "piacere" va soddisfatto a pagamento, visto che un corpo umano è merce sul mercato, mentre la famiglia è la cellula della società, da salvaguardare, pilastro dell’economia e dell’ordine pubblico.
Inevitabile chiedersi come mai tutto questo gode del consenso di molti cittadini; di chi come il "Piccolo Cesare" e della sua corte dei miracoli, continui a portare in superficie i peggiori istinti del paese.
Il problema non è però la personalità del "Piccolo Cesare", ma il fatto che una nutrita maggioranza sembra identificarsi in pieno in ciò che rappresenta. È riuscito a dar forma all’immaginario di una gran massa di persone. Lui e il suo modo di vivere rappresentano la "libertà". Se si vuol essere liberi bisogna aspirare a diventare più o meno come lui e ha fatto credere che il suo governo offre la possibilità di riuscirci. Queste persone naturalmente non hanno i suoi privilegi, ma fingono di non sapere che non godranno mai di una condizione anche soltanto mille volte inferiore alla sua. Sono sudditi, o peggio ancora servi, senza sapere di esserlo. Anzi, sembrano sempre più convinti che proprio il padrone premier li possa emancipare dal servaggio, perché ha l’astuzia di proporsi come il paladino della libertà, rifiutandosi di capire che invece ha la capacità di estinguerla insieme alla stessa democrazia.
Così dopo il colpo sferrato dal provvidenziale Tartaglia, tutto è più difficile, anche il solo criticare; mentre la nostra fragile democrazia sfregiata, colpita negli anticorpi non riesce ad arginare l’estendersi dell’infezione.
Mai come in questi tempi è stato così evidente il rapporto tra crisi della politica, dei grandi obiettivi e ideali, e crisi della democrazia. Senza democrazia la politica si riduce ad affari privati di gruppi di potere, e questa caduta in basso della politica mortifica, porta sempre più in basso il valore della democrazia. La degenerazione democratica nasce nelle stanze del potere, e non essendo cosa astratta, si traduce in vita concreta, ricade a cascata in mezzo a tutti noi, prende corpo nella strade e nei rapporti tra persone.
Cosi si è smarrito non solo il senso di una opposizione, (tragicamente evidente nello spappolamento della sinistra), ma il senso minimo dell’essere civili, dell’essere semplicemente umani. Abbiamo subito un vero e proprio mutamento antropologico, per cui la paura si infila nelle relazioni umane, la convivenza incattivisce nell’odio sociale sbarrando la strada a idee e speranze. "Siamo ancora capaci, in molti di solidarietà per i nostri connazionali colpiti da catastrofi naturali, ma non vediamo più, come accadeva in una stagione felice, la disperazione di nostri fratelli colpiti dalla crudeltà di un sistema economico su cui si basa la nostra agiatezza" (Ettore Masina).
Rimanere umani, perciò, è la cosa fondamentale, come già ci ammoniva Rosa Luxemburg nelle sue lettere dal carcere nel 1916: "… ah, non so scrivere una ricetta per essere umani, so soltanto come si è umani".
Si è umani se non cediamo al razzismo, ai poteri criminali, al regime della corruzione ed alla distruzione della biosfera; se sappiamo costruire una opposizione al patriarcato e al femminicidio ed a qualsiasi sfruttamento, che difenda tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani; una società in cui all’uomo l’uomo sia fratello e non lupo.
"Enormi parti dell'umanità hanno creduto e sperato nella giustizia, amato e lottato per l’uguaglianza di tutte le persone nella dignità effettiva, hanno pagato anche con la vita per la liberazione dalla fame e dalla soggezione ai bisogni che abbrutisce. Tutto questo non è stato solo nel movimento operaio e socialista nei due secoli precedenti all'attuale, ma già era nelle sapienze e nelle morali antiche, che sono radice e anima, spesso non riconosciuta, di quel movimento contemporaneo. Oggi quella fede sembra perduta. Chi ci ha tanto derubato? Chi ci ha tolto la fede nella giustizia? Chi ha distrutto quest’anima, senza la quale l’umanità non è viva? Se riusciamo a vedere chi e che cosa, anche in noi stessi, ci ha avvelenato la speranza, chi ci ha falsificato l’ideale in illusione, per potere spararci addosso il colpo mortale della delusione e della rassegnazione, allora potremo tornare a fare analisi della realtà alla luce della intelligenza disincantata e con la forza dell’anima (satyagraha) e potremo vedere dove sta l’inganno e come si può cercare di diventare veramente umani, soci o fratelli, più giusti" (Enrico Peyretti).
È necessario, quindi, reagire a questo senso di impotenza, collettivo e personale, che quotidianamente ci paralizza.
C’è disillusione, per quanto motivata, ed è grave, perché quando un popolo perde la speranza perde la capacità di lottare, di organizzarsi. Dire: "Tanto non c'è niente da fare" non lascia vie d’uscita; e buttare tutto nel cestino significa incenerire anche ogni velleità di cambiamento futuro.
"Dici: / per noi va male. Il buio / cresce. Le forze scemano. / Dopo che si è lavorato tanti anni / noi siamo in una condizione / più difficile di quando / si era appena cominciato. // E il nemico ci sta innanzi / più potente che mai. / Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso / una apparenza invincibile. / E noi abbiamo commesso degli errori, / non si può negarlo. / Siamo sempre di meno. Le nostre / parole d'ordine sono confuse. Una parte / delle nostre parole / le ha stravolte il nemico fino a renderle / irriconoscibili. // Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? / Qualcosa o tutto? Su chi / contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti / via dalla corrente? Resteremo indietro, senza / comprendere più nessuno e da nessuno compresi? // O contare sulla buona sorte? // Questo tu chiedi. Non aspettarti / nessuna risposta / oltre la tua".
("A chi esita" di Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg, 1939).
È certo che chi legge il futuro sulla base di quel che esiste, senza progetti di cambiamento, finisce per darne una visione ristretta e spesso sbagliata. Senza la speranza di tempi migliori il "desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano (Kant); parole che ricordano le altre parole di "un altro mondo è possibile", che hanno animato, in questi ultimi anni, le lotte internazionali dei movimenti. Ecco perché continuiamo a scommettere sulla speranza, con i piedi ben piantati in terra e con il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà, in senso gramsciano.

Giulio Vittorangeli Ass.Italia - Nicaragua circolo di Viterbo